Settanta e Ottanta
Il caso di Cristina Mazzotti
Il periodo compreso tra gli inizi degli anni Settanta
e la fine degli Ottanta del secolo scorso è tristemente definito come quello degli “anni di
piombo” e del terrorismo. La memoria collettiva corre immediatamente agli anni
della strategia della tensione, all’eversione neofascista, a quella delle Brigate
rosse, agli omicidi eccellenti compiuti dalla Mafia e dalla criminalità
organizzata, in danno di magistrati e politici, in particolare al sequestro ed
alla uccisione di Aldo Moro nel 1978.
Ma non è di questo che si intende parlare
in questo articolo, anche se la stagione della violenza “politica” rappresentò
il più pericoloso attacco alla nostra ancor giovane democrazia. Si intende,
invece, parlare del fenomeno dei sequestri di persona a scopo di estorsione,
che imperversò su tutto il territorio nazionale, a partire dalla fine degli
anni Sessanta, per raggiungere la massima intensità nel decennio successivo, per poi
proseguire negli anni ’80 con andamento discendente.
Furono complessivamente 671 i sequestri (fonte sito
del Ministero degli Interni) e 694 il numero dei sequestrati, poiché è anche
accaduto che a volte con un singolo sequestro si prendessero come ostaggi più
persone. Le vittime furono 564 uomini e 130 donne. Alcune decine erano bambini
o adolescenti. 80 furono coloro che non fecero più ritorno perché deceduti per
malattie, privazioni e stenti subite durante la lunga prigionia (a volte
superiore a due anni), oppure perché anziani e già sofferenti per malattie
cardiache e altro, e mai i loro corpi furono restituiti alle famiglie, né venne
mai data notizia dei luoghi nei quali erano stati seppelliti. Il triste primato
di durata venne toccato dal giovane Carlo Celadon, rapito dalla ‘ndrangheta il
15 gennaio 1988, ad Arzignano, provincia di Vicenza, portato in Aspromonte,
liberato il 4 maggio del 1990, dopo 831 giorni di prigionia, dalla quale uscì
dimagrito di trenta chili e ridotto a una larva umana. Il riscatto, pagato in due
rate, ammontò a ben sette miliardi di lire.
Quanto alle organizzazioni criminali che si occuparono
di tale tipologia di reato, va osservato che i sequestri avvenuti in Sardegna e
in parte nel Lazio e nella Toscana meridionale, furono compiuti da esponenti
del banditismo sardo; quelli compiuti in Veneto (ma non tutti) dalla cosiddetta
Mala del Brenta, facente capo a Felice Maniero e dalla banda dei giostrai, ma
non solo in Veneto; pochi da Cosa Nostra e tutti i rimanenti sono da
attribuirsi alla ‘ndrangheta calabrese.
L’anno in cui il numero dei sequestri raggiunse il suo
massimo fu il 1977, nel quale avvennero ben 75 sequestri di persona. Un numero
oggi impensabile, che se si ripetesse, creerebbe altissimo allarme sociale con
ripercussioni politiche e sociali di fortissimo impatto sulla vita del Paese.
Si tenga conto che l’Italia fu l’unico paese europeo che conobbe un genere di
fenomeno criminale barbaro e violento, quasi a segnarla come patria indiscussa
di fenomeni mafiosi unici e assai potenti, di fronte ai quali la risposta non
era pari all’altezza della minaccia. Mentre al Nord gli obiettivi erano quasi
sempre imprenditori operanti nelle ricche province lombarde e venete, in
Calabria le vittime furono scelte tra i farmacisti e i professionisti. Non mancarono
casi di ostaggi illustri, da Gianni Bulgari a Roma, a Fabrizio De André e Dori
Ghezzi in Sardegna, al piccolo Farouk Kassam, sempre in Sardegna, al re delle
pellicce, Giuliano Ravizza, titolare della pellicceria Annabella di Pavia, per
finire con una delle prime vittime della ‘ndrangheta calabrese, Paul Getty III,
nipote dell’omonimo miliardario americano, rapito a Roma e liberato dietro
pagamento di una ingente somma di danaro, dopo che la ‘ndrangheta aveva
recapitato al padre il lobo di un orecchio del sequestrato.
Differenti erano le motivazioni che spingevano le
varie organizzazioni operanti sul territorio a compiere questo tipo di reato.
Solo la ‘ndrangheta, a differenza di tutte le altre, che avevano il solo fine
di arricchimento immediato fine a sé stesso, aveva usato tale genere di odioso
reato con un fine ben preciso, di costituire cioè la provvista di denaro
necessaria per entrare nel ricco mercato del traffico di sostanze stupefacenti,
che richiedeva la disponibilità di ingente liquidità finanziaria. Peraltro,
questo fu uno dei plurimi motivi che, una volta raggiunto l’obiettivo, rendeva
inutile proseguire su quella attività criminosa sempre meno sicura e ormai
rischiosa. Dal 1972 in poi, nella maggior parte dei casi le indagini avevano
avuto esito positivo, con l’arresto di tutti, o almeno buona parte, dei
sequestratori. Va detto che questo tipo di reato richiede necessariamente il
concorso di numerose persone: il basista che segnala l’obiettivo, i suoi
spostamenti e le sue abitudini, gli incaricati della cattura, altri del trasporto
dell’ostaggio anche a centinaia se non migliaia chilometri di distanza, e
ancora i custodi della prigione, i vivandieri, i telefonisti incaricati di
tenere i contatti con le famiglie, sino ai riciclatori del riscatto. In 152
casi, invece, le indagini non diedero alcun risultato. Sono stati arrestati,
processati e condannati oltre 2000 indagati. Oltre un centinaio i latitanti,
dei quali tutti catturati in anni successivi.
In buona sostanza il dramma delle vittime dei sequestri si aggiungeva a quelle delle stragi,
degli omicidi di giovani appartenenti ad opposti schieramenti ideologici, di
esponenti delle forze dell’ordine, ai professionisti, avvocati, giornalisti,
magistrati, politici, esponenti sindacali, docenti universitari, che hanno
perso la vita sulle strade e le piazze d’Italia.
Chiudendo la
sommaria ricostruzione storica di un fenomeno criminale, molti "esperti" formularono diverse ipotesi sul perché vennero sequestrate così tante persone. La prima vide una sorta di
ricatto delle mafie allo Stato con la minaccia di tenere il Paese in una
situazione di costante allarme; altri invece intravvidero una strategia di distrazione
di massa dell’opinione pubblica e dispersione delle energie investigative e
repressive su più fronti, concordata con i poteri occulti dell’eversione. Erano
quegli gli anni in cui le mafie e la banda della Magliana erano tutte presenti
a Roma, avevano raggiunto forme di raccordo con strutture eversive neofasciste,
come dimostrato negli omicidi di Pier Paolo Pasolini nel 1975, di Vittorio
Occorsio nel 1976, di Giorgio Ambrosoli nel 1979, nella fuga di Franco Freda
del 1978-79, con l’appoggio logistico della ‘ndrangheta reggina, e tanto altro
ancora. Una storia ancora da esplorare, che forse potrebbe consentirci di
comprendere il ruolo “politico” che le mafie italiane hanno avuto a fianco dei
nemici esterni ed interni della nostra democrazia.
Circoscrivendo il fenomeno dei sequestri di persona alla
Brianza, area di crescente benessere e nuova ricchezza, solo nel Lecchese e nel
Comasco i sequestri di persona in pochi anni furono poco meno di trenta. Ricordiamo
qualche nome: i due cugini Meroni di Arosio, uno dei quali titolare del gruppo
Lema; Giovanni Stucchi, industriale di Olginate, mai tornato a casa; Maurizio
Colombo di Imbersago, nipote di Felice, ex presidente del Milan; Piero Fiocchi
di Lecco, ex senatore del Partito liberale; Davide Agrati, 8 anni, di
Monticello Brianza, figlio del patron del marchio di motociclette
Agrati-Garelli; Elena Corti, 13 anni, di Lecco; Gaby
Kiss Maerth, 18 anni, che abitava con la famiglia a Moltrasio e molti altri ancora.
La maggior parte dei sequestrati, come visto, dopo
patimenti e grandi sofferenze, fecero ritorno a casa, dopo il pagamento di
riscatti molto alti o grazie all’azione di Carabinieri, Polizia e al polso
fermo della Magistratura, che cominciò a bloccare i capitali delle famiglie.
I sequestri più
tragici, invece, che scossero profondamente l’opinione pubblica, furono quelli
in cui le vittime non ritornarono più a casa. Vennero uccise e in alcuni casi
non venne ritrovato nemmeno il corpo. Oltre al già citato sequestro di Giovanni
Stucchi di Oginate, uno dei più orrendi, che qui in Brianza generò sconcerto e
rabbia, fu quello della ragazza diciottenne Cristina Mazzotti, di Eupilio, piccolo
borgo che si affaccia sullo splendido lago di Pusiano, a due passi da Longone
al Segrino, che ospitava la villa dello scrittore Carlo Emilio Gadda.
Cristina Mazzotti
Il sequestro di Cristina era
stato ideato da una “banda mista”, composta da elementi di una famiglia
calabrese della ‘ndrangheta e da malviventi locali comuni, per nulla esperti, che
gestirono il sequestro, la custodia dell’ostaggio e la trattativa con i genitori
di Cristina. Le Forze dell’ordine e la Magistratura individuarono molto presto
alcune persone sospette, che vennero pedinate e fotografate. Il giorno dopo il
sequestro al padre fu chiesto un riscatto, che si rivelò molto oneroso per i
Mazzotti. La banda si rifece sentire, riducendo le pretese. I genitori,
ipotecando la casa, affrettarono il pagamento di una prima rata del riscatto,
pare intorno al miliardo di vecchie lire. La ragazza era prigioniera presso una
cascina di Castelletto Ticino. A Cristina, oltre al poco cibo e acqua, venivano
somministrati quotidianamente psicofarmaci e sedativi. Il fisico cominciò a
debilitarsi e a non sopportare il fortissimo stress. Un mese dopo il rapimento
la ragazza era ormai in fin di vita. Non è chiaro come avvenne il decesso,
datato il giorno prima del pagamento del riscatto dai familiari, ignari della
tragica conclusione.
Le indagini degli inquirenti
ebbero una svolta decisiva quando uno del gruppo dei malviventi locali commise
un errore fatale. Infatti, questi
ultimi ricevettero il loro compenso, pare il 10% del riscatto, probabilmente meno
di quanto pattuito con i calabresi. Appena ricevuta la somma, uno dei complici,
colui che aveva portato il corpo in discarica, esportatore illegale di valuta, pensò
bene di trasferire subito i soldi in Svizzera, per “ripulirli”. Qui avviene
l’imprevisto: il dipendente della banca avverte la polizia cantonale
dell’anomalo versamento di una grossa somma da parte del cliente; gli svizzeri,
peraltro convinti che la ragazza fosse ancora viva, avvertirono subito la polizia
italiana che si mise a indagare sull’esportatore di valuta, scoprendo che era
una persona nota alla famiglia Mazzotti. Gli interrogatori, i pedinamenti e le
intercettazioni telefoniche portarono ad alcuni esponenti della banda. La perquisizione
nella casa del capo banda permise di trovare oggetti appartenenti alla
ragazza, tra cui un orologio Rolex. La confessione dello “svizzero” condurrà al
luogo dove era stato gettato il corpo di Cristina, al nome dei complici e dei
calabresi coinvolti, ma stranamente non di chi aveva eseguito materialmente il
sequestro. Si saprà molti anni dopo, solo nel 2008, grazie all’impronta di un
pollice rinvenuta sull’auto della rapita, e rimasta da qualche parte in un
computer degli inquirenti, che uno di questi era un coetaneo di Cristina, giovane
ma già pericolosissimo. Il ragazzo confessò,
indicando peraltro i nominativi dei due complici che parteciparono al rapimento
e che, con lui, fermarono armi in pugno la Mini Minor su cui Cristina viaggiava
con i due amici. E raccontò come ottenne venti milioni di vecchie lire per
rapire una studentessa di diciotto anni e consegnarla ai suoi carnefici. Dirà
agli investigatori che ebbe la commissione da gente che non aveva mai visto né conosciuto.
Ancora oggi, i 100 milioni di
lire consegnati dai calabresi ai componenti locali della banda, sono gli unici
recuperati del miliardo pagato dalla famiglia Mazzotti. In capo a quattro anni furono
comminati otto ergastoli e
due condanne a molti anni di prigione. Quello che non si comprenderà mai
abbastanza della vicenda è perché i criminali locali coinvolsero la ‘ndrangheta
nel rapimento, la quale ebbe tutto sommato un ruolo marginale. Probabilmente
venne deciso per ottenere una “copertura” e non avere fastidi. Gli articoli dei
giornali riferivano di voci raccolte fra gli inquirenti su un probabile “primo
livello” rimasto parzialmente sconosciuto. Si intravvedeva, in sostanza, non
solo un legame di tipo nuovo fra malavita lombarda e criminalità organizzata
calabrese, ma anche, visti i trascorsi del capo banda dei locali, un collegamento
con l’eversione nera di estrema destra.
I genitori di Cristina vollero
costituire una Fondazione che ricordasse l’amata figlia, scomparsa a soli 18
anni, e che contribuisse a mantenere viva la memoria e a fare in modo che altre
persone non dovessero affrontare le stesse sofferenze materiali e psicologiche.
Sofferenze che causarono la morte di Elios Mazzotti, il padre di Cristina, solo
pochi mesi dopo il ritrovamento del corpo.
Beniamino Colnaghi
Sitografia
La
stagione dei sequestri di persona: https://wsimag.com/it/economia-e-politica/57968-la-stagione-dei-sequestri-di-persona
I
sequestri di persona nel Lecchese, da Merateonline: https://www.merateonline.it/articolo.php?idd=79292&origine=1&t=Accadeva+30+anni+fa%2F64%3A+la+terribile+stagione+dei+sequestri+di+persona%2C+13+anni+15+rapimenti.+E+qualcuno+non+%26egrave%3B+pi%26ugrave%3B+tornato
Poeti e scrittori in Brianza, la villa dei Gadda: https://colnaghistoriaestorie.blogspot.com/2019/01/il-paesaggio-rurale-dimoreprestigiose.html
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