domenica 17 novembre 2019

Leonardo Sciascia, trent'anni senza la sua lucida analisi sul nostro tempo
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Leonardo Sciascia (Racalmuto, 8 gennaio 1921 – Palermo, 20 novembre 1989)
 

giovedì 14 novembre 2019

La corte pluriaziendale dell’Alta pianura asciutta(1)

di Giorgio Federico Brambilla

Nell’area lombarda la corte rappresenta senza dubbio l’immagine più tipica e riconoscibile del paesaggio agricolo. Vi è però una notevole differenza tra le corti della Bassa pianura irrigua e quella dell’Alta pianura asciutta: a sud di Milano le grandi corti sono “monoaziendali” cioè condotte direttamente dalla proprietà tramite un fattore il quale, come un capitano d’industria, governa l’azienda agricola in cui lavorano decine di contadini. A nord della città, in Brianza, le corti sono invece “pluriaziendali”, cioè condotte da più famiglie contadine, ciascuna delle quali è una piccola azienda autonoma.

Gli edifici a corte, un tempo classificati come “architettura minore”, segnano il territorio rurale e la sua evoluzione: solo di recente la storia dell’architettura li ha considerati degni di studio, in quanto portatori di un valore di testimonianza di una cultura materiale così complessa ed evoluta. Tale tipologia architettonica  è così diventata oggetto di numerosi studi che ne hanno ipotizzato origini ed evoluzioni differenti a seconda dell’ambito geografico a cui la corte si insedia. Soprattutto l’origine è molto dibattuta: se dapprima veniva esclusivamente fatta risalire al periodo della conquista romana, studi condotti da Caraci(2) negli anni Trenta la riconducono, per quanto riguarda l’area lombarda, al periodo celtico, nel quale si sarebbe sviluppato il tipo base elementare, matrice delle successive articolazioni tipologiche.
La tipologia della corte era sicuramente assai diffusa in epoca romana, quando la conquista di nuovi territori determinava un’organizzazione e una regolamentazione del paesaggio agrario, basata sulla sua suddivisione in centurie. Nel mondo romano la corte assume l’aspetto di “villa rustica”, luogo di organizzazione della produzione agricola del latifondo, dove si sviluppa uno sfruttamento dei terreni a coltura, grazie all’impiego di grandi quantità di manodopera schiavile. La tipologia stessa trova conferma nella corte monastica in periodo medievale, di cui si hanno molti esempi soprattutto nella Bassa pianura irrigua, dove la fondazione di un monastero comportava la bonifica e il dissodamento dei terreni che lo circondavano e l’instaurarsi di una produttiva attività agricola.
In merito comunque all’effettiva utilità di dimostrare una diretta origine della tipologia rurale e corte da tali antichi ascendenti forse giova ricordare la naturale tendenza dell’uomo a disporre i vari elementi della dimora quando si sente la necessità e si ha la possibilità di aumentarne il numero intorno ad un cortile quadrangolare, chiuso o aperto: così che le dimore a corte sono presenti nelle più disparate e lontane regioni della terra.

Verderio, la cascina La Salette in una foto degli anni '80

Alla fine del Seicento probabilmente non vi era ancora una grande differenza tra le dimore rurali della Bassa e dell’Alta pianura, è stato solo a seguito dei notevoli investimenti nella zona irrigua da parte dei grandi proprietari terrieri dell’epoca, residenti principalmente a Milano, che ebbe inizio la progressiva differenziazione ed evoluzione dell’agricoltura nella Bassa e quindi lo sviluppo di un sistema di conduzione delle cascine in senso capitalistico che portò all’affermazione della grande corte monoaziendale come tipologia prevalente a sud della città, mentre a nord, sull’altopiano asciutto, a causa della minore fertilità del suolo, l’agricoltura non fu soggetta al medesimo radicale e rapido sviluppo, con una conseguente più lenta e naturale evoluzione delle dimensioni delle dimore rurali dalle semplici forme settecentesche a quelle più complesse ottocentesche, con il consolidarsi della corte pluriaziendale come tipologia usuale(3).
L’evoluzione tipologica avviene per  addizione di nuovi corpi attorno alla corte centrale, tanto da portare, al suo massimo sviluppo, alla formazione di una corte chiusa completamente all’interno di un recinto fortificato. Se fino al Seicento, quindi, la tipologia maggiormente diffusa è quella più semplice, con pochi corpi disposti attorno alla corte e con un uso ancora unifamiliare, tra Settecento e Ottocento la tipologia si evolve in forme più complesse, aumentando il numero dei fabbricati che tendono alla chiusura della corte, diventando un organismo edilizio plurifamiliare.
Le modificazioni non avvengono solo a livello planimetrico, ma anche in altezza: la stragrande maggioranza degli edifici più antichi pervenuti sino a noi si presentano su due piani, un’altezza legata alla tecnica costruttiva più diffusa in ambito rurale costituita da murature portanti realizzate prevalentemente in sassi con solamente alcuni corsi in mattoni.

Verderio, la cascina Airolda, in una recente foto

Alla fine dell’Ottocento si cominciano invece a costruire normalmente edifici a tre piani per due ragioni: da un lato si ha un generale incremento demografico, e quindi una maggiore richiesta di vani d’abitazione, dall’altro, grazie alle nuove tecnologie produttive, i mattoni di laterizio diventano disponibili in grandi quantità e ad un costo decisamente inferiore rispetto al passato.
Il consolidamento dell’ordine rurale di tipo mezzadrile, soprattutto nell’altopiano, era avvenuto già a partire dal XVII secolo, ma fu dopo il periodo delle riforme avviato dal governo austriaco, il quale promosse varie iniziative per uno sfruttamento più razionale del suolo  alla metà del XVIII secolo, che l’attività agricola ebbe un impulso allo sviluppo come mai prima era accaduto.
Dal Catasto Teresiano è così possibile desumere la situazione di partenza, mentre dal confronto con il successivo rilevamento catastale, il nuovo Catasto Austriaco di metà Ottocento, evidenzia come vi sia stata una notevole crescita economica del comparto agricolo, soprattutto dove, come nel caso dell’Alta pianura asciutta, la coltivazione della vite e del gelso associata a quella dei cereali, era assai redditizia, con il conseguente consolidamento ed ampliamento delle dimore rurali.
Tra la fine dell’Ottocento e il primo decennio del Novecento si assiste all’edificazione di nuove cascine e corti, caratterizzate da grandi impianti regolari, segno di una maturità psicologica che si arricchisce di un nuovo gusto per la monumentalità, come esemplificato dalle tante facciate con timpano centrale classicheggiante.
Al di là delle diversità legate al grado di evoluzione raggiunto in ciascun luogo dalla tipologia a corte, ciascun episodio è chiaramente riconducibile ad uno schema insediativo comune, caratterizzato da uno spazio collettivo centrale in cui si convogliano pratiche di vita comune e privata di più nuclei familiari, tanto da definire l’insieme come un organismo autonomo, tendente all’isolamento rispetto all’esterno. Ciò è facilmente ravvisabile nelle modalità di relazione della corte con l’esterno. Gli edifici si aprono verso l’interno con portici e loggiati, ribadendo una sorta di autocontenimento delle risorse vitali all’interno della corte stessa. I portici ed i loggiati antistanti i corpi residenziali, oltre a proteggere uomini e attrezzature dalla pioggia, sono in genere rivolti a sud proprio per catturare i raggi solari utili per l’essicazione dei prodotti della terra.
 
Verderio, l'ingresso della cascina Bergamina

La tipologia a corte è propria dell’architettura rurale e configura spazialmente la risposta ad esigenze di tipo sociale ed economico produttivo: innanzitutto a quella di non dispersione delle dimore rurali nel territorio, in modo di conseguire una sorta di “economia di scala”, legata alle necessità primarie di sussistenza. Esempio ne sia, soprattutto nell’Alta pianura lombarda, il problema dell’approvvigionamento idrico: lo scavo di un pozzo era un’opera assai ardua e onerosa, ma la presenza in ogni corte di un unico pozzo in comune risolveva l’esigenza idrica di molte unità produttive contemporaneamente.
Le corti monoaziendali della Bassa sono più note alla cultura accademica in quanto le loro maggiori proporzioni le hanno rese più appetibili agli occhi degli studiosi. Le corti pluriaziendali dell’Alta pianura asciutta sono meno conosciute e vengono spesso confuse con le altre;  sebbene normalmente di minori dimensioni queste corti sono però la testimonianza di un’organizzazione sociale basata sulla minima unità produttiva costituita dalla singola famiglia contadina, che in circa due secoli e mezzo ha formato quella mentalità microimprenditoriale che forse può contribuire a spiegare il successo industriale ed economico della Brianza, fondata nella piccola e media impresa.
Le dimore contadine dell’altopiano, pur mantenendo come elemento centrale la corte, si differenziano dalle abitazioni rurali della Bassa per le dimensioni più ridotte e per la diversa distribuzione degli edifici. Le dimensioni dei lati variano normalmente da una lunghezza di 25-30 metri ad un massimo di 60 metri; non tutti i lati della corte sono occupati da edifici, ma possono essere delimitati da un muro di cinta o di siepi.
 
La cascina Malpensata, a Verderio, meglio conosciuta come Casineta
 
Gli edifici principali sono quelli riservati alle abitazioni ed alle stalle, tra i quali non intercorre un rapporto spaziale definito a priori. L’ingresso alla corte delle cascine è solitamente collocato lungo il muro di cinta o ricavato dallo spazio esistente tra due costruzioni, mentre nei complessi posti nei centri abitati l’accesso è costituito è costituito a un androne ad arco posto nel mezzo del fabbricato che si affaccia sulla strada. Il cortile interno è semplicemente pavimentato in terra battuta o rizzata, ombreggiato da gelsi e alberi da frutto, in cui vi sono il pozzo e i servizi comuni.
Qui trovano posto le latrine (i cess), mentre il pozzo, che è sempre presente nelle cascine, lo è solo in alcuni casi nei centri abitati. Stesso discorso vale per il forno, anche se è meno frequente, e spesso manca anche nelle cascine più vicine al centro abitato. Il corpo di fabbrica delle abitazioni presenta un impianto modulare, dato da un susseguirsi di ambienti uguali: ad ogni nucleo famigliare è infatti assegnato un locale al piano terra ed uno al piano superiore.
Al piano terreno si trova la cucina, con il focolare, un ambiente molto povero e spoglio, mentre al piano superiore sono collocate le stanze con i letti.
Il corpo delle abitazioni è dunque solitamente a due piani con l’affaccio principale a sud sul cortile, facciata in cui compaiono portico, loggiato e ballatoio aggregati in diverse soluzioni compositive. Il portico è sicuramente la struttura che caratterizza la tipologia a corte: esso regola il soleggia mento degli ambienti retrostanti, funge da riparo per i prodotti agricoli e, in caso di maltempo, consente ai contadini di svolgere le proprie mansioni in un luogo riparato.
Negli esempi più semplici, al primo piano si ha il ballatoio che conduce alle camere. Nelle corti più evolute al primo piano si ha un loggiato che incrementa lo spazio disponibile all’aperto, riparato dal porticato. In quest’ultimo caso è frequente l’utilizzo del sottotetto come locale di deposito cui si accede direttamente dal loggiato con delle scale a pioli o con un ballatoio.
Nei fabbricati della fine dell’ottocento o del principio del Novecento con tre piani abitati, la soluzione normale è con un loggiato al primo piano e un ballatoio al secondo piano, raramente si ha un secondo loggiato.
I rustici sono disposti sui restanti lati e, come le abitazioni, sono suddivisi in unità modulari assegnate ciascuna ad una famiglia: al piano terra vi è la stalla e nella parte superiore il fienile. La stalla può essere ulteriormente ripartita mediante basse paretine in legno in tre spazi, per ospitare le mucche, il cavallo o l’asino, talvolta il maiale; il fienile è semplicemente costituito da campate scandite  da pilastri, separate da divisori in legno.
Nel caso di corpi di fabbrica molto lunghi, alcuni divisori fra i fienili possono essere realizzati in muratura, la quale, prolungata sopra il manto di copertura, serviva ad evitare il propagarsi delle fiamme in caso di incendi; il fronte sul cortile è aperto, mentre il lato posteriore è chiuso con stuoie in paglia di segale o con dei pannelli di legno a listelli o tavole verticali oppure, a partire dall’Ottocento, con grigliati di mattoni. 

Note
1.     Articolo apparso sul periodico la curt, a cura dell’Associazione Amici della Storia della Brianza, N. 10 – settembre 2017

2.      G. Caraci, Le “corti” lombarde e l’origine della “corte”, in “Memorie” R Società Geografica Italiana, n. XVII, Roma, 1932.

3.     Cfr. A. Pecora, La corte padana, in G. Barbieri, L. Gambi, “La casa rurale in Italia”, Firenze, 1970, p. 239.

Sitografia



 

martedì 5 novembre 2019

La struggente e desolante bellezza autunnale della "Fontana di Meleagro" a Verderio

La cosiddetta Fontana di Meleagro venne commissionata dal maestro e compositore Vittorio Gnecchi Ruscone e realizzata verso la fine degli anni Venti del Novecento. Venne probabilmente pensata e progettata per dare continuità ai parchi che impreziosivano e valorizzavano la villa padronale e realizzata sul confine tra i comuni di Verderio Superiore e Paderno d'Adda (LC).
Da molti anni, dopo che gli Gnecchi decisero di dismettere il patrimonio verderiese, la fontana e l'area verde antistante versano in stato di abbandono. E non certo per "colpa" dei rovi e delle sterpaglie, che non fanno altro che occupare spazi e luoghi, dei quali l'uomo non si cura di valorizzare e munutenere. Il più pericoloso avversario della bellezza, dell'arte, della storia di molti luoghi e manufatti sparsi nella nostra meravigliosa Brianza, può diventare l'uomo, il grande predatore. Se al sentimento ed alla passione per il bello prevale l'ignoranza e la bramosia del denaro, il gioco è perso in partenza.
Le statue ed il gruppo scultoreo sono stati oggetto della predazione e del vandalismo di ladri e idioti, non possiamo chiamarli diversamente, che negli ultimi 10-15 anni hanno, a più riprese, rubato, saccheggiato, devastato tutto ciò che era possibile rubare e vandalizzare. Le fotografie che pubblico qui sotto, scattate nella mattinata del 5 novembre, sono eloquenti circa lo stato della fontana, soprattutto se comparate a quelle contenute nell'articolo pubblicato una decina d'anni fa dall'amico Marco Bartesaghi sul suo blog.
Ma l'avvento dell'autunno, con i suoi colori e con il rampicante che avvolge il manufatto, rende, a mio parere, la bellezza della fontana ancora più struggente e desolante. Bellezza che, dopo la recente acquisizione dell'area al patrimonio comunale, pone all'amministrazione pubblica di Verderio ed alla comunità tutta di interrogarsi e individuare con quali strumenti, con quali progetti credibili e praticabili e con quali risorse poter intervenire per porre fine al degrado e valorizzare un bene che è parte integrante della storia e del patrimonio culturale e monumentale di Verderio.
 
Cliccare sulle foto per ingrandirle
 





Beniamino Colnaghi

Chi volesse saperne di più e approfondire l'argomento può prendere spunto dai due post qui sotto, contenuti nel blog di Marco Bartesaghi

La fontana nascosta: http://bartesaghiverderiostoria.blogspot.com/2010/05/la-fontana-nascosta-di-marco-bartesaghi.html

Il parco della fontana: http://bartesaghiverderiostoria.blogspot.com/2010/05/il-parco-della-fontana-di-meleagro.html