lunedì 15 febbraio 2016

Telč, patrimonio dell’Unesco. Un luogo di rara bellezza
 
Quando lo scorso anno ho visitato Telč, Repubblica Ceca, città di confine tra Boemia e Moravia, sono rimasto sì piacevolmente impressionato dalla bellezza del posto, circondato da tre specchi d’acqua, un luogo ricco di storia e di arte, ma ho anche avuto la strana sensazione di aver visto qualcosa di incompiuto, un progetto non finito. Non sono un architetto né un esperto d’arte, ma la prospettiva di quella bellissima piazza a forma di triangolo irregolare mi ha lasciato un po’ perplesso. Forse noi italiani, abituati a visitare le nostre città medievali e rinascimentali, disegnate dai migliori architetti e progettisti dell’epoca, abbiamo l’aspettativa di trovarci di fronte a piazze come ce ne sono a Roma e Firenze, oppure nei borghi toscani, umbri e marchigiani, dove la piazza solitamente si chiude con una chiesa, con il palazzo municipale o un edificio monumentale. La piazza del Mercato di Telč, che allinea con rigore, come fossero in parata, decine di case decorate e affrescate in stile rinascimentale e barocco ed incorpora una fontana e la colonna della Vergine, sembra non chiudersi mai. In realtà, percorrendo la piazza in tutta la sua lunghezza verso la “non chiusura”, verso il vertice più stretto del triangolo, ci si accorge che proprio lì si inserisce lo spigolo poco armonioso del castello di Telč, zámek, in ceco, sede della potente dinastia dei Witkowitz, nobili e signori di quelle terre.

Sulla destra lo spigolo del castello in una foto degli anni Sessanta 



Nata nel XIII secolo come piccolo insediamento agricolo, Telč divenne ben presto luogo centrale per il commercio verso il Centro Europa. Mentre già nel 1200 venne costruita la chiesa di Santo Spirito, con il campanile romanico, nel 1370 era dotata di imponenti mura e nel giro di qualche decennio il castello venne rafforzato da due grandi torri poligonali. Ecco che allora forse mi spiego il perché di quella apparente incompiutezza della figura geometrica della piazza, che, nella mente del padrone della città, tanto incompiuta non doveva essere, se al vertice del triangolo ci si è messo lui e il suo castello. Un disegno e un cammino ben precisi, secondo i quali il viandante, percorrendo la piazza, era obbligato a dirigersi verso il castello, affiancato dalla presenza dell’altro potere, quello della Chiesa, rappresentato dalla parrocchiale di San Giacomo, del XV secolo. Sul lato opposto, il lato più corto del triangolo isoscele, sorge, in posizione piuttosto defilata, la chiesa romanica di Santo Spirito.



Nel 1530, il superbo padrone della città, come spesso avviene, venne messo a dura prova da un nemico insidioso e sempre pronto a colpire: il destino. Un tremendo incendio danneggiò in maniera irreversibile gran parte della città. Ma il signore di Telč non si scoraggiò e approfittò della disgrazia per rendere la sua città ancora più bella e gloriosa. Incaricò i suoi architetti e capomastri di ricostruire la città in conformità allo spirito rinascimentale diffuso nel resto d’Europa. Dopo di lui regnò su quelle terre Zachariáš Rožmberk, uomo colto e viaggiatore erudito, che nel corso di un soggiorno in Italia ebbe modo di ammirare le dimore degli aristocratici più raffinati e dei potenti signori del nostro Paese. Fu lui che decise di trasformare il castello di Telč in una ricca dimora in stile rinascimentale, degna di competere con il palazzo di Andrea Doria di Genova, che incontrò in una delle sue numerose trasferte in Italia. Zachariáš, attraverso i suoi viaggi fuori Boemia, cominciò ad intuire quali sarebbero stati i futuri sviluppi della politica internazionale e capì che il cattolicesimo avrebbe ripreso il sopravvento sul regionalismo ceco e sullo stile gotico locale, più affine allo spirito del protestantesimo e, di conseguenza, lo stile rinascimentale sarebbe risultato di gran lunga più gradito ai potenti d’Europa. Coerente con le sue lungimiranti intuizioni, prevedendo la virata verso il cattolicesimo degli Asburgo, affidò i lavori di restauro del suo castello all’architetto ticinese Baldassare Maggi, uno dei più importanti architetti in Boemia e Moravia, che a suo tempo appartenevano all’Impero austro-ungarico. Il regno di Boemia, con capitale Praga, veniva praticamente governato da Vienna, dove già numerosi architetti e artisti ticinesi e lombardi erano attivi. Maggi venne menzionato per la prima volta quando, con lʼarchitetto Antonio Rizzi, del quale più tardi divenne il successore, progettò il castello a Český Krumlov. Il committente, come per Telč, fu la nobile famiglia Rožmberk, che nel XVI secolo possedeva vaste proprietà terriere e numerose fortezze e castelli e molto contribuì allo sviluppo della Boemia.


Dal 1553 per più di 20 anni continuarono incessanti i lavori nella piazza. Ai nuclei gotici delle case sopravvissute all’incendio se ne allinearono altri, richiamando il gusto rinascimentale italiano oppure anticipando tracce del barocco. Gli architetti incaricati non si limitarono ad allineare alcune decine di abitazioni affacciate sulla piazza, con le loro arcate, i loro frontoni, le finestre, le lesene, le decorazioni a graffito, ma sfruttarono anche il sottosuolo, costruendo profonde cantine che crearono una complessa ramificazione sotterranea.
Quando ho percorso in lungo e in largo per due volte la piazza, sono stato costretto a indugiare continuamente, a guardare in alto, in basso, a soffermarmi sugli stemmi araldici e delle arti e professioni, sui portici, sui colori delle facciate.


 
Nel 1589 Zachariáš morì, e con lui ebbe fine la grande stagione di questo splendido luogo. Dal 1620, dopo la battaglia della Montagna Bianca, che rappresentò lo scontro decisivo della fase boema della Guerra dei Trent’anni, in cui il regionalismo protestante fu sconfitto, con la conseguente fuga degli artisti e intellettuali protestanti, nella piazza di Telč non si costruì più nulla, tranne il Collegio dei Gesuiti, che si affiancò al castello ed alla chiesa di San Giacomo. Passarono cento anni prima che, sull’onda del radicamento del cattolicesimo in Boemia e Moravia, venne eretta la colonna dedicata alla Vergine Maria, che introdusse una seconda prospettiva, dopo quella che convergeva sul castello, sede del potere temporale, la quale, con spirito provocatorio ed in segno di sfida, svettava in mezzo alla piazza.   

Beniamino Colnaghi  

Nel blog sono presenti altri articoli che narrano aspetti significativi della storia della Boemia:
http://colnaghistoriaestorie.blogspot.it/2013/09/il-complesso-storico-monumentale-di_4.html
http://colnaghistoriaestorie.blogspot.it/2012/06/boemia-jan-hus-e-il-movimentohussita.html
http://colnaghistoriaestorie.blogspot.it/2012/02/alessandro-catalano-laboemia-e-la.html

martedì 9 febbraio 2016

Aprile 1913, un altro delitto a Verderio

Sul numero del 28 e 29 marzo 1913, il giornale lecchese Il Resegone, il primo numero del quale uscì nel febbraio 1882, iniziò a pubblicare una serie di articoli che si occupavano di un “orribile delitto” commesso a Verderio. I resoconti sul giornale, di frequenza quasi giornaliera, andarono avanti per circa un mese, finché gli inquirenti fecero piena luce sul delitto e assicurarono i responsabili, e i loro complici, alla giustizia.
Nello stesso periodo, Verderio balzò alle cronache locali a causa di un altro delitto perpetrato sul suo territorio. Il 4 e 5 aprile 1913, Il Resegone pubblicò un articoletto di poche righe dal titolo “Un altro delitto a Verderio”, commesso, a quanto pare, da alcuni ragazzi del paese. Forse, più che un delitto vero e proprio, si trattò di una bravata, una mascalzonata, che però finì male, tanto è vero che ci scappò il morto.
Di seguito si propone integralmente (compreso qualche errorino) il resoconto di cronaca comparso sul giornale. (b.c.)
 
Un altro delitto a Verderio
 
L’uccisione della Sottocornola e della sua domestica ha richiamata l’attenzione su di un altro fatto che era passato prima inosservato.
Nella settimana scorsa alcuni giovanotti del paese essendo in allegria per l’estrazione del numero, ritornati dal distretto di Lecco in paese sostarono in diverse osterie. Con loro era un certo Villa Pietro di anni 57, che formava il clown della compagnia. A lui si tagliarono i baffi, buona parte dei capelli e le sopraciglia e lo trascinarono da osteria in osteria dandogli da bere in abbondanza.
Ad un certo punto il poveraccio si sentì male, e appoggiata la testa su un tavolo si addormentò. Trascorso poco tempo rincasava ma alla mattina seguente la moglie, scuotendolo per destarlo s’accorse che era morto.
Dalla dichiarazione medica risultò che la morte è stata causata da congestione celebrale, ma l’autorità avvertita del fatto con lettera anonima pare che voglia andare fino in fondo della facenda ritenendo che si tratti di delitto.
Intanto ha ordinata l’autopsia del cadavere la quale venne eseguita dal dott. Nitti della nostra città.

 
Verderio Superiore, via Principale, anno 1907. A destra le quattro osterie, una in fila all'altra
 (fonte Giulio Oggioni, Verderio. La vita contadina, le corti e le cascine, A. Scotti Editore srl)