venerdì 12 marzo 2021

Il lecchese Antonio Ghislanzoni, intellettuale scapigliato e librettista di Verdi

       

Chi è Antonio Ghislanzoni (Barco di Maggianico, Lecco, 25 novembre 1824 – Caprino Bergamasco, 16 luglio 1893)?

Intanto fu compagno di Antonio Stoppani alla scuola elementare poi, per volontà del padre direttore dell’ospedale cittadino, entrò in seminario dal quale venne espulso a causa del suo carattere insofferente e di rifiuto verso l’autorità e l’educazione religiosa. Si iscrisse a medicina ma restò affascinato dal mondo della musica, tanto da non concludere gli studi per dedicarsi al canto, firmando un contratto come primo baritono assoluto per il teatro Carcano di Milano. La sua versatilità si manifestò anche grazie a innumerevoli collaborazioni con quotidiani e periodici, che pubblicavano spesso suoi romanzi e racconti. Unitamente alla prosa si dilettò anche con la poesia.

Musica e scrittura si intrecciano facendolo emergere come uno delle figure di rilievo nel campo dei librettisti d’opera, tratto per il quale è maggiormente conosciuto.

Portò il nome di Lecco nel mondo grazie all’opera più celeberrima di Giuseppe Verdi, per il quale scrisse il libretto dell’Aida. Per lo stesso compositore realizzò anche la nuova stesura della Forza del destino e tradusse la versione italiana del Don Carlos.

Fu autore di oltre 60 libretti, fra i quali, oltre all'AidaI Lituani e Il parlatore eterno per Amilcare Ponchielli, Salvator Rosa e Fosca per Antonio Carlos Gomes, Papà Martin e Francesca da Rimini  per Antonio Cagnoni, I promessi sposi per Errico Petrella. Scrisse inoltre i versi della cantata A Gaetano Donizetti, di Ponchielli.

Pubblicò il volume Reminiscenze artistiche, che contiene notizie sul pianista Adolfo Fumagalli e un episodio intitolato La Casa di Verdi a Sant'Agata, nonché il romanzo apocalittico Abrakadabra - storia dell'avvenire (1864-65). Questo e altri racconti di fantascienza umoristica ne fanno uno dei primi autori italiani di tale genere.  

 


Antonio Ghislanzoni fu vicino alle idee politiche di Mazzini, la sua collaborazione con giornali repubblicani lo costrinse a rifugiarsi in Svizzera. Fu ugualmente arrestato dai francesi e deportato in Corsica. Dopo la Seconda guerra di Indipendenza (1859) a Milano si lega al gruppo degli Scapigliati(1), ma appartiene alla generazione “di frontiera”, ossia “di periferia” di quel movimento.

Da Milano il movimento della Scapigliatura si sposta “in periferia” e si estende fino al Lecchese e Ghislanzoni ne rappresenta l’essenza, nel senso che la sua vita e la sua opera è come se del movimento correggessero gli eccessi, tramite il sano respiro della provincia lecchese, moderata, pettegola, modesta.

Nella sua personalità esuberante si assommano sia le componenti ribellistiche ed eversive sia i fascinosi e suggestivi influssi del territorio di Lecco da lui descritto con dovizia di particolari nelle sue numerosissime opere.

Ghislanzoni, quindi, può essere considerato uno degli intellettuali più vivaci, interessanti e ricchi produttivamente della cultura lombarda, non solo scapigliata, che va da Bonvesin de la Riva e giunge fino a noi tramite il Verri, il Beccaria, il Parini, il Manzoni, il Testori, il Gadda, il Pontiggia... Fu uno spirito singolarmente autocritico fino al sarcasmo di se stesso, come emerge da una sua nota autobiografica, riportata in Pagine di vita lecchese 1963-1964, pubblicazione della città di Lecco in occasione delle celebrazioni nel settantesimo della sua scomparsa.

Nel 1857 contribuì a fondare il giornale umoristico L'Uomo di Pietra. Diresse L'Italia musicale; fu redattore della Gazzetta musicale di Milano; diresse e collaborò a La rivista minima e più tardi, ritiratosi a Lecco, pubblicò il Giornale-Capriccio.

Tante furono le collaborazioni alle numerose testate che ospitano suoi romanzi a puntate, racconti, recensioni, interventi di varia natura. Ma non manca l'attività creativa vera e propria: narrativa e poesia. Per la poesia ricordiamo Libro proibito, un grande successo, tanto che nel 1890 giungerà alla settima edizione. «I versi del Libro proibito», scrive Gilberto Finzi, «riprendono un'atmosfera polemica d'epoca che non tocca, forse nemmeno sfiora, la poesia, ma che bene riconducono a momenti collaterali tipici della Scapigliatura».

Morì all'età di 69 anni e ricevette sepoltura nel Cimitero monumentale di Lecco. 

 

(1)   Scapigliatura (dal sito dell’enciclopedia Treccani)

Va sotto questo nome un movimento letterario al quale diede vita in Milano, tra il 1860 e il 1870, un gruppo di scrittori e di artisti, diversi per temperamento, ma concordi nell'avversione al gusto dominante e alla tradizione, unanimi nella volontà di difendere l'autonomia dell'arte, di richiamarla a un più intimo contatto con la vita, a una più essenziale sincerità d'ispirazione, a una più spontanea immediatezza d'espressione. Sotto un certo aspetto la scapigliatura può essere considerata anche come un fenomeno politico e morale. Fu un tentativo d'agitare le acque della vita italiana stagnanti in un facile e ozioso quietismo, una reazione contro lo spirito borghese, pratico, utilitario, contro la povertà e la grettezza spirituale in cui si spegnevano gli eroici bagliori del Risorgimento. Al decadere degl'ideali artistici, all'orgogliosa retorica appresasi alla coscienza nazionale nel primo decennio che seguì alla formazione del regno d'Italia, il Carducci oppose la virile disciplina del suo rinnovato classicismo; gli scapigliati cercarono di evaderne attraverso una più decisa e integrale esperienza romantica. Alla radice della loro ribellione è l'oscura intuizione di una lacuna congenita all'origine del romanticismo italiano, di una deviazione implicita nel suo svolgimento. Per circostanze strettamente aderenti alla vita italiana nella prima metà del secolo scorso, gli scrittori romantici italiani, sottraendosi alla suggestione di molteplici e complesse esperienze europee, avevano risolto il fermento delle dottrine novatrici nel concetto di un'arte nazionale, popolare, espressione di comuni esigenze, di comuni passioni, di comuni ideali. Più che ascoltare sé stessi avevano mirato a riconoscersi negli altri, avevano chiesto al sentimento concorde e al generale consenso la consacrazione della loro originalità costruttiva. Così il romanticismo italiano s'era configurato con una sua fisionomia ben distinta nel quadro più vasto del romanticismo europeo; ma col venir meno delle ragioni che ne avevano assicurato la vitalità, quel suo particolare carattere era degenerato in un convenzionalismo fiacco, impersonale, incolore. Gli scapigliati si atteggiarono a novatori: erano in realtà spiriti malati di stanchezza e di decadentismo, figli di un'epoca di dissoluzione, prigionieri d'un passato che pesava sulla loro illusione di riconquistare una perduta giovinezza. Proclamarono i diritti dell'Io onnipotente, si sforzarono di costringere il mondo nella sfera della loro inquieta individualità perseguirono il miraggio ingannatore e fuggevole dell'originalità a ogni costo: ma da una parte ripresero e rielaborarono con più o meno inconscio eclettismo spunti e motivi che già avevano avuto il loro svolgimento attraverso un cinquantennio di vita intellettuale europea, dall'altra lasciarono in eredità all'avvenire poco più che un quadro di presagi e una cronistoria di tentativi falliti. Per alcuni aspetti esteriori e per certe singolarità in che amarono atteggiarsi, gli scapigliati ricordano la bohème letteraria francese ch'ebbe in Murger un cronista indulgente e suggestivo, ma l'ostentazione è soltanto alla superficie della loro ribellione, che nasce da esigenze profonde e sincere e per molti si risolve in un vero e proprio distacco dalla vita e dalla realtà, in un dramma psicologico conclusosi nel suicidio o nella disfatta morale.

Si suole considerare come padre degli scapigliati il milanese Giuseppe Rovani, che ebbe ingegno vigoroso e versatile, incline per natura al paradosso, e certe idee sull'affinità delle arti di facile voga presso un gruppo di scrittori e di artisti a lui legati da affinità spirituali e da libere e spregiudicate consuetudini di vita: orientando da una parte la forma letteraria e poetica verso il plastico, il pittorico e il musicale, e additando dall'altra un più vasto campo di esperienze alle arti sorelle. Continuatore, nelle opere di genere narrativo, della tradizione manzoniana del romanzo storico, ma dominato da esigenze più larghe d'autonomia fantastica, invece di calarsi nel mondo della sua finzione il Rovani lo domina dal di fuori, si contrappone a esso, lo soverchia con la sua individualità prepotente. Su questa strada, mirando alla totale liberazione dell'Io e a un lirismo essenziale, procedono gli scapigliati, seguendo ciascuno la propria indole e il proprio temperamento. Uno spirito inquieto fu Igino Ugo Tarchetti morto di tisi a 28 anni, autore di racconti e di liriche che contengono un tessuto acerbo e poco più che accennato di aspirazioni fugaci e mutevoli, d'impressioni continuamente ripiegate verso la confessione sentimentale e l'introspezione. Più ricca, più varia e promettente l'opera di Emilio Praga, che sarebbe stato il vero poeta della scapigliatura se una dolorosa involuzione non gli avesse isterilito l'ispirazione e distrutto la vita. Al gruppo degli scapigliati appartengono pure Arrigo Boito, musicista e poeta dall'ingegno audace, frenato da un'incontentabile disciplina; Giovanni Camerana che pose fine col suicidio a un'esistenza tormentata e pensosa; Carlo Pisani Dossi, scrittore immaginoso, stilista pittoresco, ragionatore e sottile, ma sopraffatto da un irreducibile egotismo, da un virtuosismo artificioso e sterile, da una perplessità inviluppata e amara; e ancora Salvatore Farina. Cletto Arrighi, Antonio Ghislanzoni, per non parlare dei minori e di quanti ebbero col movimento più incerti e indiretti rapporti. Fra questi Gian Pietro Lucini, nel quale si compie il processo di dissoluzione formale già implicito nell'estetica degli scapigliati.

Senza innestarsi profondamente nella storia della cultura e della vita morale italiane, la scapigliatura riflette una transizione caratteristica allo svolgimento del tema romantico nella vita moderna. Più che di un vero e proprio movimento letterario si tratta di una somma di esperienze individuali che offrono materia di studio non tanto per l'intrinseco valore di ciò che produssero nel campo dell'arte, quanto per la verità d'alcune intuizioni e per la vitalità di alcuni spunti destinati a ulteriori sviluppi e a più decisi approfondimenti.

 

Beniamino Colnaghi