I 15 martiri di piazzale Loreto a
Milano
La
piazza principale del Comune di Cornate d’Adda, sulla quale si affaccia la chiesa parrocchiale, è dedicata ai “15 Martiri”.
Molto probabilmente poche persone conoscono questa storia, né tantomeno il motivo per il
quale, l’Amministrazione di quel Comune, ha inteso, nell’anno 2008, dedicare la
piazza a quei cittadini antifascisti.
E allora cominciamo a raccontare il contesto e gli antefatti,
partendo dall’attualità.
La targa ricordo di Cornate d'Adda
A Milano è stato presentato recentemente il progetto che si è
aggiudicato la gara per il rinnovamento di piazzale Loreto, e il cui obiettivo
è quello di trasformare il più caotico snodo di traffico della città in una
grande agorà verde, anello di congiunzione tra corso Buenos Aires, viale Monza e via Padova,
rendendolo allo stesso tempo nuovo simbolo di Milano. Alla città verranno
restituiti 24.000 metri quadrati di spazio pubblico pedonale, di cui oltre
12.000 nella piazza, a fronte dei circa 2.500 mq utilizzabili oggi. Un piano ribassato costituirà la piazza anfiteatro, flessibile
e adattabile a diversi usi temporanei pubblici, come concerti, manifestazioni,
mercati, attività sportive e occasioni di aggregazione. Il traffico verrà posto
ai margini del piazzale, per favorire gli spostamenti ciclabili e pedonali
all’interno dell’area e la penetrazione tra i diversi assi stradali, la cui
connettività sarà mantenuta. La circolazione verrà modulata secondo le nuove
geometrie della piazza.
Il Comune di Milano ha chiesto alcuni pareri ai cosiddetti “portatori
di interessi” milanesi, residenti, individui o organizzazioni che sono attivamente
coinvolti nel progetto, tra i quali Sergio Fogagnolo, il figlio di Umberto, uno
dei 15 martiri. Il motivo del parere richiesto verte sulla sistemazione di
“quell’angolo maledetto” del piazzale, zona via Andrea Doria, ove è collocato
il monumento che ricorda la strage dei Quindici martiri.
Chi erano dunque i 15 martiri e perché si ricordano proprio a piazzale Loreto?
La
Milano dell’estate del ’44 vive da quasi un anno sotto il governo fantoccio fascista
della RSI, Repubblica Sociale Italiana, e l’occupazione tedesca. In quei dieci
mesi Milano non è rimasta a guardare. Nelle fabbriche gli operai sono arrivati
a scioperare, le donne hanno liberato dai treni piombati alcuni rastrellati
destinati ai campi di concentramento, è stato costituito il CLN, Comitato di
Liberazione Nazionale. In città, i GAP, Gruppo di Azione Patriottica, sono
attivissimi. Ma le modalità dell’attentato dell’8 agosto sono inconsuete.
I GAP
non colpiscono nel mucchio, hanno obiettivi precisi, mirati: il gerarca, il
collaborazionista, il delatore, il deposito di armi e munizioni... Quando
vogliono colpire colonne tedesche, cercano di farlo salvaguardando il più
possibile la vita dei civili. E, soprattutto, non possiedono i congegni a
orologeria utilizzati da qualcuno per i due scoppi in viale Abruzzi. Le esplosioni avvengono la mattina dell’8 agosto, nel tratto di viale Abruzzi che conduce a
piazzale Loreto. Hanno fatto saltare in aria un camion tedesco, provocando il
lieve ferimento dell’autista e la morte di alcuni passanti. Tutti italiani.
Malgrado
la pattuglia della Wehrmacht non avesse riportato perdite, che avrebbero
comportato l’applicazione del bando Kesselring, “10 italiani per un tedesco”,
l’ordine della rappresaglia arriva. Perché Theodor Emil Saevecke, capitano
delle SS, all’epoca dei fatti
comandante della polizia di sicurezza nazista, potente gerarca del Terzo Reich,
comandante dell’Aussenkommando di Milano, spietato governatore di San Vittore, va oltre quella legge già così feroce? Perché ordina la
rappresaglia di civili inermi e la strage?
Con gli
occhi di oggi, un attentato più somigliante alle stragi in Iraq che alle azioni
praticate dai GAP. Oltre che per la vicinanza col luogo dell’attentato, la
scelta di compiere la ritorsione e allestire la macabra esposizione in piazzale
Loreto fu emblematica.
Snodo
fondamentale della rete dei trasporti milanesi, la grande piazza era percorsa
dalle linee tranviarie che collegavano il centro della città alle periferie dei
grandi insediamenti industriali. Al sabato, giorno di paga della quindicina,
sotto le pensiline dei tram e tutto attorno ai binari si improvvisava un
mercatino, dove gli operai usavano rifornirsi di generi di prima necessità.
Un
punto di passaggio e di ritrovo, dunque, che avrebbe assicurato, nell’intento
dei nazifascisti, la massima visibilità ed efficacia all’agghiacciante schiaffo
d’intimidazione ai lavoratori, agli antifascisti e ai cittadini di Milano. Con
la strategia del “terrore” i tedeschi confidavano di annichilire una volta per
tutte ogni forma di resistenza. Ma non fu mai così.
10
agosto 1944, ore 5,45. Un autocarro tedesco frena di botto e scarica giù 15
uomini in tuta da lavoro. Fa appena giorno a Milano e piazzale Loreto è quasi un
deserto. Su un lato della grande spianata circondata dai palazzi, un pugno di
militi della Brigata Nera “Aldo Resega” sorveglia le vie d’accesso. Altri
uomini, italiani, fascisti della GNR e della Legione “Ettore Muti” attendono di
compiere lo sporco lavoro che gli è stato affidato. I prigionieri stanno fermi,
in fila, davanti alle armi. La voce del capitano Pasquale Cardella, che comanda
il plotone della “Muti”, urla parole di morte. Poi, un ordine secco mette in
moto i quindici uomini, velocemente. Con uno scatto improvviso, prima uno e poi
un altro cercano di scappare. Un portone spalancato, un angolo da svoltare. Due
raffiche e pochi metri di vita. Il resto della fila si sbanda, forma una curva,
c’è una vecchia staccionata in legno. Fermi così! Fermi lì! Colpi, colpi, e anche quei corpi
muoiono a terra.
Lì,
tutti insieme, definiti dai fascisti “mucchio di immondizia… Trascinati nel mucchio anche gli altri due corpi. Grida di ebbrezza, risate rabbiose. Un cartello: QUESTI SONO I
GAP SQUADRE ARMATE PARTIGIANE ASSASSINI. Lasciati lì, fino a sera. State di
guardia. Nessuno li muova. Nessuno li tocchi. Niente fiori, nemmeno candele.
Tutti li vedano, tutti devono imparare la lezione.
Foto dei cadaveri dei 15 antifascisti trucidati a piazzale Loreto
La
strage e la successiva crudele esposizione impressiona talmente la popolazione
che il capo della provincia, Piero Parini, scrive a Mussolini definendolo un
“abietto assassino”. I cadaveri erano sorvegliati da militi fascisti,
alcuni dei quali non paghi di aver scaricato il loro mitra su uomini indifesi e
innocenti, si prendevano il privilegio di ridere istericamente davanti a quel
mucchio di cadaveri ancora caldi. Le donne svenivano, i volti dei milanesi
erano pietrificati. Pare
che il cardinale di Milano, Alfredo Ildefonso Schuster, intervenne
personalmente e fece pressioni tali per togliere quei cadaveri dal marciapiede.
Poi, otto mesi dopo quei tragici fatti, grazie alla forza ed alla
tenacia di milioni di italiani, di uomini e donne di ogni estrazione sociale, che si batterono contro la dittatura
fascista e l’occupazione straniera, la storia prese un’altra piega, nacque la Repubblica e venne scritta la nostra Carta costituzionale, arrivarono la
libertà e la democrazia, che ancora oggi sono alla base della nostra civiltà.
Beniamino Colnaghi