La casa editrice “Fratelli Treves” nacque a Milano nel 1861 e prese inizialmente il nome del suo fondatore, Emilio Treves, nato a Trieste nel 1834, secondogenito di Sabbato Graziadio, rabbino della comunità israelitica di Trieste. Sabbato Graziadio Treves insegnò all’università e fu considerato uno dei rabbini più liberali e illuminati del suo tempo.
Emilio, trasferitosi dopo alcuni anni a Milano, patria di quella coscienza italiana che sfociò nei moti antiaustriaci e nelle battaglie risorgimentali, aprì la sua prima tipografia in via Durini e iniziò quel lungo percorso che l’avrebbe portato ad essere uno dei più grandi editori italiani.
Treves avviò importanti collaborazioni con alcuni tra i più importanti scrittori del tempo, tra cui Edmondo De Amicis, Giovanni Verga, Camillo Boito, Emilio De Marchi, Gabriele D’Annunzio, Ada Negri e Luigi Pirandello. La casa editrice fu attiva con il proprio nome fino al 1939, anno in cui l'industriale Aldo Garzanti rilevò l'azienda, mutandone subito dopo il nome per ottemperare alle disposizioni delle leggi razziali fasciste, considerato che i Treves erano ebrei.
Circa quattro anni fa, durante una visita alla bancarella di libri usati di piazza Cairoli a Milano, comprai alcuni vecchi volumetti editi negli anni Venti e Trenta del secolo scorso. Sgualciti e ingialliti, ma di un certo interesse, almeno per me. Uno di essi, il cui titolo è La mia vita (1), edito nel 1924 dalla “Fratelli Treves Editori”, si riferisce ad un racconto dettato da una contadina russa a Tatiana Andréièvna Kouzminskaia, cognata di Lev Tolstoj. Il grande romanziere russo rivisitò il testo e ne corresse alcune parti. Accettò fin dal principio di essere il padrino di un’opera di cui non era l’autore, alla quale diede inizialmente il titolo Babia Dolia, la sorte della contadina.
Tatiana Andréièvna Kouzminskaia (La foto è nel pubblico dominio poiché il relativo copyright è scaduto).
Lo scritto fu dato dallo stesso Tostoj a Charles Salomon, amico dello scrittore, affinché lo leggesse, ne esprimesse le sue impressioni e si impegnasse a tradurlo. Il Salomon lo tenne quasi trent’anni. Quando restituì il racconto a Tolstoj, lo accompagnò da pareri favorevoli, densi di ammirazione. Scrive il Salomon nel proemio che, se una persona non ha vissuto in Russia non ha avuto occasione di “sperimentare le meravigliose qualità di narratore del contadino, di ammirare la precisione dei suoi racconti, il suo acuto senso del pittoresco, la sua finezza, la sua emozione comunicativa”. Prosegue affermando che “…il racconto è una narrazione di vita rustica e se, come io credo, è un capolavoro, è un capolavoro d’anima popolare”.
Fu solo allora che Lev Tolstoj raccontò le origini del racconto all’amico Charles.
Nelle vicinanze di Jasnaja Poljana(2) sorgeva il piccolo villaggio di Kotchaki. Le due località distavano tra loro solo una versta(3). A Kotchaki abitava una contadina di nome Anissia. Le vicissitudini della vita la portarono ad abitare per qualche anno in Siberia. Ritornata al villaggio, nel 1882 sposò il sagrestano. Anissia era sì una contadina di modeste origini, ma aveva il grande dono di saper raccontare storie vissute e fatti con grande sapienza. Fu così che Tatiana A. Kouzminskaia, sorella della moglie di Tolstoj, ne raccolse la storia e la sottopose al romanziere.
Jasnaja Poljana, casa museo di Tolstoj, tratta da Wikipedia.org
La storia ruota attorno a due figure centrali, Danilo e Anissia, contadini che vivono nella Grande Russia di metà Ottocento. L’uomo, dice Salomon ”non è all’altezza della donna, caso frequente in Russia e che si verifica in ogni classe sociale”. Danilo è spento, fiacco, poco comunicativo. Anissa è forte, svelta e vivace. La donna è oltremodo guidata da un netto sentimento del dovere nei confronti di suo marito e dei suoi figli. Ha conosciuto il servaggio(4) e non lo ricorda se non per osservare che in quei tempi alle giovani madri si usavano dei riguardi più tardi ignorati e che quando il padrone era forte, erano meno frequenti i furti. Anissa non sa né leggere né scrivere ma, fin dalla sua infanzia, ha frequentato la Chiesa locale. Crede all’intervento del Signore nei fatti della propria esistenza e di quelli della propria famiglia. Essa sa che Rachele, moglie di Giacobbe, non voleva essere consolata, e non ignora che il Signore ha visitato Giobbe per i suoi peccati.
Anissa, che parla un bellissimo linguaggio popolare che si può considerare come il vernacolo campagnolo della Russia centrale, conosce non solo le sacre scritture ma le sono familiari anche le usanze ereditarie dei contadini russi e le pratiche quotidiane delle donne e degli uomini dei villaggi di campagna. Quindi, questa semplice storia di metà Ottocento, raccontata da una contadina analfabeta ad una nobildonna russa, così spoglia di letteratura, è invece piena di grandezza biblica e arcaica.
Secondo il parere di Tatiana, secondogenita di Tolstoj, morta a Roma nel 1950, il racconto è “il miglior racconto popolare russo”(5).
Tolstoj con la moglie, uno dei figli ed il cane (Fonte Wikipedia.org)
Questa foto è nel pubblico dominio perché il relativo copyright è scaduto.
A proposito di Tatiana, è interessante aprire una breve parentesi sulla sua figura, tratta dalla pagina della Tolstaja dell’enciclopedia libera Wikipedia.
Nata a Jasnaia Poliana nel 1864, fin da ragazza si appassionò ai problemi di pedagogia. Conobbe Maria Montessori e s’interessò al suo metodo e ne portò in Russia tutte le pubblicazioni. Dopo la Rivoluzione bolscevica fondò insieme alla madre e ad alcuni fratelli il Museo Tolstoj. Lasciò la Russia per dirigersi prima a Praga, ospite del presidente Tomaš Masaryk (vecchio amico di Tolstoj) e poi a Vienna. Si spostò quindi in Francia e infine in Italia. Con modeste risorse (Tolstoj aveva rinunciato ai diritti d’autore), trascorse gli ultimi vent'anni con la figlia a Roma, dove allestì una «camera tolstoiana», ovvero un piccolo museo dedicato al padre. Nel dicembre del 1931 il Mahatma Gandhi sostò in Italia per tre giorni: durante quel soggiorno, la visita di Tat'jana Tolstaja fu l'episodio che gli fece più piacere. Come il padre fu sempre una convinta vegetariana, contraria al tabacco e profondamente antimilitarista. Quando si ammalò, poiché desiderava morire in piena coscienza, rifiutò decisamente l'uso di narcotici.
Per chiudere sulla storia di Anissa è utile ricordare che, per tutti i motivi contenuti nel libro e per la sua purezza e bellezza, Lev Tolstoj intervenne il meno possibile sulla struttura del racconto, limitandosi a rettifiche sulla costruzione di qualche periodo e su correzioni grammaticali. Tolstoj, a giudizio del Salomon e di sua cognata, giudicò entusiasticamente il racconto. Era sempre disposto a collocare molto al di sopra dei propri scritti ciò che veniva direttamente dal popolo.
Beniamino Colnaghi
Note
1. La mia vita, racconto dettato da una contadina russa a T.A. Kouzminskaia, riveduto e corretto da Leone Tolstoj, Milano, Fratelli Treves Editori, 1924.2. Vedasi il post pubblicato su questo blog il 14 ottobre 2012 dal titolo “Il meleto di Lev Tolstoj”.
3. Versta è un'antica e ormai desueta unità di misura dell’impero russo. La lunghezza di una versta è pari a 1066,8 metri.
4. Il servaggio fu abolito il 19 febbraio 1861. Prima di tale data il proprietario terriero abbandonava ai contadini una parte del suo latifondo, generalmente un terzo, contro prestazioni di lavoro. Alla liberazione, i contadini ricevettero in media, per quota parte, un sesto delle terre.
5. Lettera di Tatiana Lvovna Soukhotina-Tolstaya a Charles Salomon, Mosca, 14 dicembre 1922.