sabato 24 gennaio 2015

27 gennaio, “Giorno della Memoria”
Il campo di concentramento di Terezin

Tra il 1780 ed il 1790 l'imperatore d'Austria, Giuseppe II, fece edificare una fortezza nel nord della Boemia (Impero austro-ungarico). La città prese il nome di Theresienstadt (Terezin in ceco), la "città di Teresa" in onore dell'imperatrice Maria Teresa d'Austria. Nacque come città-fortezza all'interno del sistema di fortificazione antiprussiano. Presentava due poli distinti: la "grande fortezza" e la "piccola fortezza". Nel 1882 la "piccola fortezza" fu adibita a carcere di massima sicurezza.
Nel giugno del 1940 la Gestapo prese il controllo di Theresienstadt e trasformò la "piccola fortezza" in prigione. Dal 24 novembre 1941 l'intera cittadina venne destinata a ghetto dopo essere stata cinta da un alto muro. Terezin divenne così il maggiore campo di concentramento nazista sul territorio della Cecoslovacchia. La funzione principale del lager era quella di collettore per le operazioni di sterminio perpetrate dai nazisti durante il conflitto mondiale. Fu impiegata contemporaneamente come struttura detentiva per il transito dei prigionieri verso altri campi di sterminio e per l’internamento di migliaia di bambini. Propagandisticamente, infatti, a seguito del cosiddetto "programma di abbellimento" fu presentato al mondo come "zona autonoma di insediamento ebraico", ma nella realtà era un vero e proprio campo di concentramento e transito. Il campo fu diretto da uno dei capi delle SS, Reinhard Heydrich, governatore del Protettorato di Boemia e Moravia e divenne presto il punto di arrivo per un grande numero di ebrei provenienti da tutta la Cecoslovacchia, ma anche dalla Germania e dall'Austria. Dei 15.000 ragazzi sotto i quindici anni reclusi nella fortezza cecoslovacca, appena un centinaio riuscì a sopravvivere.
Il 10 maggio 1945 Theresienstadt fu liberata dalle truppe sovietiche.
 










 
Beniamino Colnaghi

Per approfondimenti su Terezin e sull’uccisione di Reinhard Heydrich a Praga, il blog contiene altri due post ai quali si può accedere aprendo i seguenti collegamenti:
http://colnaghistoriaestorie.blogspot.it/2012/03/terezin-il-lager-dei-bambini-in-ricordo.html

martedì 13 gennaio 2015

Dùdes fradéi (dodici fratelli)

Giuseppe ”Peppino” Devizzi nasce il 28 dicembre 1928 a Cuggiono. Dopo poco tempo i Devizzi tornano a Cremeno (Lecco), paese d’origine della famiglia. Secondogenito di sette figli, già dai tempi della scuola lavora con il padre e gli zii come boscaiolo e poi in Svizzera nella valle di Muggio, presso Mendrisio. Quando torna a Cremeno comincia a fare il muratore che, salvo una breve parentesi in fabbrica, sarà il suo lavoro definitivo. In tutti questi anni non tralascia le sue passioni: legge moltissimi libri, scrive poesie, impara a suonare la chitarra e recita nella filodrammatica. Nel 1969 insieme ad un fratello contribuisce alla nascita del Coro Valsassina, di cui sarà presidente per molti anni. Attento alle tradizioni, riporta in uso gli abiti della confraternita del S.S. Sacramento per la processione di San Rocco. Anche la fiera di Santa Rosalia, che si tiene a Cremeno l'ultima domenica di agosto, è stata ripristinata grazie ai suoi suggerimenti. Peppino non si era sposato, viveva a Cremeno nella casa che lui aveva costruito con i suoi fratelli. Muore il 3 agosto 2013 all’età di 84 anni.  
Il Coro Valsassina (fonte Resegoneonline.it)
Cremeno, processione di San Rocco (fonte Resegoneonline.it)

Dùdes fradéi 
L'è quèsta la storia dé dùdes fradéi quai vün i éra brüt, quai vün i éra bèi. 
Ghé n'éra dé buu, ghé n'éra dé gram vergü i éra tiis  e parìc' cu la fam. 
Èl prim èl diśìva, e l'éra Giünèr gram che la cà che l'è senza fenèr. 
Sécunt l'è Febrèr pinì e catìif ghé tréma la braga quan’ tira èl muntìif. 
Èl tèrz l'è 'n malnàt e Marz nóm èl gh'à cun l'acqua e la néf èl vör paciügà. 
April l'è unèst e quèst chì l'è 'l quàart èl ciapa la néef e la tira dé paart. 
Èl quint, grant e bèl, èl sé ciàma Masc cui fiùur sü la bròca èl slunga fò i brasc. 
L'è senza la maglia èl sèst che l'è Giügn cun scià la sò ranźa saràda 'n dèl pügn. 
Èl sètim l'è lunch e nóm èl gh’à Lüi ghé góta la crapa cul sul che la büi. 
Utàaf  l'è Agóst e l'è quasi ‘stès èl gh’ tanta sée èl trinca dé spès. 
Ma dopo Setémbre l'è dùulz e gentìil èl canta, èl pitüra, èl parla setìil. 
Invéce Otóbre l'è senza sarée él mangia castégn e pò 'l trumba dé drée. 
Nuémbre, penültim, l'è quèl dé la paas èl dis regurdéves dé tanci che taas. 
Dicémbre l'è l'ültim èl  suna la piva la barba l'è bianca e amàar la saliva.        

Traduzione: Dodici fratelli 
È questa la storia di dodici fratelli/ qualcuno era brutto e qualcuno era bello.// Qualcuno era buono e qualcuno era gramo/ alcuni erano sazi e parecchi con la fame.// Il primo diceva, ed era Gennaio/ triste la casa che è senza fienile.// Secondo è Febbraio piccolo e cattivo/ gli tremano i pantaloni quando soffia il Montivo.// Il terzo è un discolo e ha nome Marzo/ con l'acqua e la neve vuole pasticciare.// Aprile è onesto e questo è il quarto/ prende la neve e la mette da parte.// Il quinto grande e bello si chiama Maggio/ con i fiori sul ramo allunga le braccia.// È senza la maglia il sesto che è Giugno/ con la sua falce chiusa nel pugno.// Il settimo è lungo e si chiama Luglio/ il sole caldo gli fa sudar la testa.// Ottavo è Agosto ed è quasi uguale/ ha tanta sete e beve spesso.// Ma poi Settembre è dolce e gentile/ canta e dipinge, parla fine.// Invece Ottobre è senza sereno/ mangia castagne e scoreggia.// Novembre, penultimo, è quello della pace/ dice: ricordatevi di tanti che tacciono.// Dicembre è l'ultimo e suona la piva/ la barba è bianca e amara la saliva.    

Bibliografia
Peppino Devizzi, Cara Valsassina terra d'incanto… Poesie di una vita, a cura di Anna Devizzi e Massimo Pirovano, Cremeno.

venerdì 2 gennaio 2015

L’eccidio di quattro partigiani avvenuto il 3 gennaio 1945 a Valaperta di Casatenovo

Durante il periodo bellico, la località di Valaperta, frazione di Casatenovo, a quel tempo in provincia di Como, era costituita da poche case e cascine contadine e da un’osteria. Per i partigiani, Valaperta era più che altro un’area di transito, utile per l’organizzazione dei rifornimenti da portare in montagna, laddove effettivamente si svolgevano le operazioni di guerriglia.
Il 23 ottobre 1944, a Valaperta, un gruppetto di partigiani si imbatté nel milite Gaetano Chiarelli, appartenente al distaccamento della GNR (Guardia Nazionale Repubblicana) di Missaglia, il quale era stato mandato a rintracciare un giovane renitente alla chiamata fascista. Chiarelli venne intercettato e ucciso da uno dei partigiani e seppellito in fretta e furia in un campo appena arato.

Una veduta di Valaperta
Sull’episodio specifico le notizie sembrano controverse: secondo il giornale indipendente “Diario”, Chiarelli era un fascista abbastanza “mite”, usato più che altro come postino. Al contrario, come testimoniato da un filmato girato da alcune associazioni della zona e dall’ARCI blob di Arcore, gli anziani di Valaperta, intervistati in merito al temperamento di Chiarelli, lo hanno tratteggiato come “uno di quelli che quando venivano a cercare i renitenti alla leva sparava tranquillamente ad altezza d’uomo, anche se c’erano civili attorno”.
Secondo gli abitanti, insomma, quel giorno Chiarelli fu ucciso per via di una reazione violenta.
Un contadino del luogo che vide la scena telefonò al brigadiere di Missaglia, avvertendolo della scomparsa del milite fascista. A quel punto giunsero a Valaperta le guardie repubblichine e le Brigate Nere, che già in molti episodi si segnalarono come propense a saccheggi e azioni violente, al comando delle quali c’erano il professor Giuseppe Gaidoni e l’ingegnere Emilio Formigoni. Secondo i testimoni oculari, proprio il Formigoni si distinse per la propria empietà, tanto da essere ricordato ancora come “ul pusè catif” (il più cattivo).

I fascisti, dopo l’uccisione del milite repubblichino, organizzarono una “rappresaglia nei confronti dell’abitato di Valaperta di Casatenovo”, nel corso della quale si incendiò “l’abitato stesso, delle stalle, dei fienili e delle masserizie, delle scorte del bestiame e dei foraggi”. Si saccheggiarono “le case medesime… procedendo all’arresto di Perego Guglielmo, Colombo Enrico, Fumagalli Pasquale, Ambrogio e Giuseppe Viscardi e Pirovano Alessandro”.
Alcuni anziani di Valaperta hanno sempre testimoniato il fatto che durante l’intera notte la frazione fu in balìa delle Brigate Nere, che non esitarono a minacciare gli abitanti per farsi consegnare il corpo del milite e i partigiani rei dell’uccisione.
Anche dopo aver ritrovato il cadavere del Chiarelli, i soprusi non si fermarono e alle famiglie vennero tolte per tre mesi le tessere alimentari.

Alla fine di dicembre quattro partigiani detenuti nel carcere di Missaglia furono accusati dell’omicidio: Nazzaro Vitali, 24 anni di Bellano, del distaccamento Carlo Marx della 55° Brigata Garibaldi Fratelli Rosselli; Natale Beretta, 25 anni e Gabriele Colombo, 22 anni, entrambi di Arcore, appartenenti alla 104a Brigata Garibaldi; Mario Villa, 23 anni di Biassono.
Agli arrestati non venne fatto alcun processo. Nazzaro Vitali, coraggiosamente, si autodenunciò dell’uccisione di Chiarelli, chiedendo inutilmente di risparmiare la vita agli altri partigiani. La fucilazione, ordinata da Domenico Saletta, capo dell’ufficio politico di Como, poi condannato a morte dal Tribunale Militare e fucilato il 24 maggio 1945, fu eseguita il 3 gennaio 1945 a Valaperta, alla presenza del medico condotto di Casatenovo, dott. Guerrino Della Morte, del Commissario prefettizio di Casatenovo, professor Firmiani, e di Emilio Formigoni.
 


La lapide commemorativa e la targa con una frase di Sandro Pertini
 
Nella sua relazione, il dott. Della Morte scrive: “Verso le 10.30 del 3 gennaio 1945 venne per ordine del Commissario Prefettizio di Casatenovo sig. Gennaro Firmiani, dicendomi di recarmi a Valleaperta ove era necessaria la mia presenza. Colà giunto trovai 2 sacerdoti Don Carlo Sala e il suo coadiutore. Dall’abitato di Vallaperta usciva il BB nero sig, Bonvecchio Giacomo, un sottotenente giovanissimo e due militari, arrivarono poi una o due motociclette, un motofurgone, una o due automobili e un camioncino. Dalle macchine scesero varie persone quasi tutti in borghese armati di mitra, sul camioncino stavano 4 partigiani che dovevano essere fucilati, notai sul loro viso atroci sofferenze. Sopraggiunto il Commissario Prefettizio il quale era allibito di dover assistere, ma gli fu imposto di restare. Giunti sul posto prescelto i 4 Partigiani furono spinti oltre la curva e scomparvero alla mia vista. Il plotone di esecuzione era composto di 4 persone: erano presenti Ing. Emilio Formigoni, Raul Remigi, Achille Miglioli maestro elementare, forse Parmiani e una persona piccola di 35/40 anni, chi sparò era in borghese. Dietro il plotone di esecuzione vi era il brigadiere Bonvecchio. Sentii sparare. Vi era una persona sui 45 anni di media statura con un impermeabile grigio che incitava a mirare nel segno perché alcuni di questi erano riluttanti e sdegnati per quanto stavano per fare.
Il Vitale Nazzaro presentava evidenti segni di gravi sevizie subite in precedenza, gli mancavano quasi tutti i denti, due erano morti subito. Colombo e Beretta da Arcore furono ripetutamente colpiti col mitra e con rivoltella. Constatata la morte, segnai i nomi dei caduti, composi le membra straziate che per quel tanto che permisero il mio spirito scosso e la mia mente inebetita per tanta barbarie”.

 
Il luogo dove vennero fucilati i partigiani
 
Per rafforzare la verità storica di quanto accaduto, si segnala la dichiarazione rilasciata dal Commissario prefettizio Gennaro Firmiani il 26 ottobre 1945, che si riporta qui di seguito: “Il giorno 3 gennaio 1945 dovetti recarmi a Valleaperta quale Commissario Prefettizio della zona di Casatenovo perentoriamente chiamato dall’ingegner Formigoni Emilio, comandante delle BB nere. Per la fucilazione di ostaggi. Io vidi Formigoni Emilio, Miglioli, Bonvecchio non so se erano presenti Beretta Antonio e Remigi perché io ero agitato, confuso e sgomentato di dover assistere a tanta barbarie. Gossetti Federico non era con gli altri delle brigate nere, era con i sacerdoti e formavano un gruppo a sé. Gossetti non faceva parte degli esecutori”.

Il 29 marzo del 1947, la Corte d'Assise speciale di Como, con sentenza n. 12/47, ascrisse le azioni dei fascisti responsabili dell’eccidio di Valaperta ad una forma di collaborazionismo con l'occupante tedesco. Gli imputati beneficiarono dell'amnistia. Tra le motivazioni che condussero a questa decisione per i fatti di Valaperta, il saccheggio e le violenze vennero giustificati come messi in pratica per mantenere l’ordine e “reintegrare la disciplina”, quindi come un forma di “collaborazionismo” e non di saccheggio, e in quanto tale soggetta ad amnistia.

In merito alla drammatica fucilazione dei quattro partigiani, nessuno dei responsabili pagò alla giustizia le proprie responsabilità.

Beniamino Colnaghi

Fonti:
www.alfiosironi.wordpress.com: eccidio di Valaperta.
www.osservatoriodemocratico.org: le corti d’assise speciali nel dopoguerra. Storie di amnistie e vergognose assoluzioni.
www.anpimonzabrianza.it/img/bp/Mostra_BP-Pannelli.pdf: Brianza partigiana 1943 – 1945.

Chi fosse interessato a conoscere la storia di un altro giovane partigiano di 18 anni, Giovanni Bersan, impiccato ad Aicurzio (MB), può aprire il seguente collegamento: http://colnaghistoriaestorie.blogspot.it/2012_09_01_archive.html