venerdì 27 aprile 2012

Vittorio Zanin, “Ul cadregàtt” di Rivamonte Agordino

"Cadregàtt" era colui che riparava/impagliava “I cadrech”, ossia le sedie impagliate. Normalmente girava in bicicletta con un sacco di iuta contenente il necessario per riparare le sedie (pialla, martello, chiodi, sega e paglia) e passava di corte in corte e in ogni cascina, anche in quelle più sperdute, chiedendo alle famiglie se avessero delle sedie da riparare. La paglia generalmente usata era quella ottenuta dalla segale, ma a volte se ne potevano usare anche altri tipi.

Fino al boom economico degli anni ‘60, le sedie erano quasi tutte fatte a mano e a causa dell'usura era necessario di tanto in tanto farle passare nelle mani del cadregatt.
Alcuni di questi abili artigiani provenivano dalle valli bergamasche, come pure erano bergamaschi alcuni mulita (arrotino), umbrelàtt (ombrellaio) o gli spazzacamini, antichi e tradizionali mestieri che venivano tramandati di padre in figlio.
Vittorio Zanin, invece, era di Rivamonte Agordino, in provincia di Belluno.

Vittorio Zanin


L’Agordino, zona a minoranza linguistica Ladino-Veneta, era la patria dei minatori e dei seggiolai e da lì, a partire dalla fine dell‘Ottocento, sono passate intere generazioni di “caregheta” (in dialetto bellunese), gli impagliatori di sedie che scendevano a valle e solcavano tutte le aree del Nord Italia con il loro impareggiabile sapere artigiano.

Rivamonte Agordino innevato

Un lavoro duro quello dell’impagliatore, che passava ore ed ore a intrecciare la paglia intorno al sedile e che spesso, pur non essendo falegname, ricostruiva l’intera sedia. I “tressi”, cioè i pioli, le asticelle di legno che uniscono le gambe delle sedie, venivano fatti d’inverno quando i “caregheta” tornavano al paese, sulle montagne agordine, e restavano chiusi in casa ad aspettare che smettesse di nevicare. E lo schienale arcuato veniva scolpito con l’accetta, non si usava piegare il legno, era un lavoro di grande precisione.
Nell’agordino i “caregheta“ venivano anche soprannominati "conthe" perché usavano un loro linguaggio particolare detto appunto "scabelament del contha" che serviva per parlare liberamente tra loro, quando, lontani dal paese, potevano colloquiare con i paesani che incontravano, fornendosi notizie importanti sul lavoro, senza essere compresi dai clienti.
L'attività dei "conthe" è attualmente quasi del tutto scomparsa, anche se esistono ancora alcuni artigiani che la svolgono, seppur in modo saltuario o su specifica richiesta.

La chiesa di Rivamonte dedicata a San Floriano

Ritorniamo a Vittorio. Perché sto raccontando la sua storia? Per almeno tre motivi. Primo perché era nato nello stesso paese ove nacque mia nonna Adele. Secondo perché l’ho conosciuto, non a Rivamonte, dove, fino all’età di sedici anni, ho trascorso delle piacevoli vacanze estive, ma a Verderio. E poi perché Vittorio è morto a Verderio superiore.
Andiamo però con ordine.
Vittorio Zanin nasce a Rivamonte il 13 aprile 1905 da Costante e Maria Zanin.
Fino agli anni ‘50 del secolo scorso, l’Agordino era una zona depressa, non c’erano fabbriche e grosse attività commerciali e industriali ed il turismo non era ancora sviluppato.
L'economia locale era costituita principalmente dall'attività estrattiva delle miniere della Valle Imperina, dall'agricoltura e allevamento di bestiame (a carattere familiare) ed in seguito anche dall'attività di costruzione ed impagliatura di sedie, che impegnava stagionalmente i rivamontesi in varie regioni d'Italia e all'estero.
La grave carenza di lavoro obbligò molti giovani ad emigrare, sia nel Nord Italia, sia in quei paesi esteri ove fossero presenti miniere, principalmente in Francia, Germania e Belgio.
Anche Vittorio e mia nonna Adele se ne andarono da Rivamonte in cerca di lavoro: il primo divenne un “cadregàtt” e girò in lungo e in largo le regioni del Nord Italia, la seconda si stabilì a Milano, in casa di una famiglia benestante, finché, nel 1927, si sposò a Porto d‘Adda con mio nonno Giuseppe. A Porto, i miei nonni rimasero fino al 1957, per poi trasferirsi a Milano.
Seppur di cognome facessero entrambi Zanin, mia nonna mi raccontava che non erano parenti, ma erano comunque amici perché, essendo coetanei, trascorsero la loro giovinezza a Rivamonte.


Un “cadregàtt” in una foto d’epoca

Vittorio, quando passava in Brianza, percorreva le strade dei nostri paesi in sella ad una bicicletta nera; periodicamente si fermava anche a Verderio e nei paesi limitrofi. Dormiva dove capitava; molto spesso era ospitato dai contadini ma, in mancanza di meglio, si adattava a dormire sui fienili e nei rustici di campagna. Era un uomo di montagna abituato ai sacrifici e la vita dura non lo spaventava di certo.
Feci la sua conoscenza, sebbene il ricordo sia reso labile dalla mia giovane età, quando Vittorio passò da Verderio a salutare mia nonna che stava trascorrendo un breve periodo a casa dei miei genitori. Mi ricordo di un uomo di media statura e con la barba incolta, che con mia nonna parlava un dialetto per me incomprensibile. Presumo fossimo verso la metà degli anni’60.
Anche nell’autunno del 1967 “ul cadregàtt” di Rivamonte era a Verderio Superiore. In quel frangente Peder Tunâ, Pietro Ponzoni, che abitava alla “gesa vegia” gli mise a disposizione il suo fienile per la notte, l’acqua per lavarsi e un piatto di minestra calda per rifocillarsi. Mi risulta che si fermò alcuni giorni, il tempo di portare a termine delle impagliature di alcune sedie commissionategli da alcuni residenti.
Alle prime luci dell’alba del 6 ottobre 1967, non avendolo visto scendere dal fienile e non avendo ricevuto risposta alle loro chiamate, i fratelli Ponzoni sono saliti sul fienile ed hanno scoperto il corpo senza vita di Vittorio; probabilmente la morte fu causata da un infarto. Fu un brutto colpo per loro e per tutte le persone che l’avevano conosciuto, perchè era un uomo buono e ben voluto.
Fu avvisato immediatamente l’allora messo comunale, “ul cunsul”, Antonio Cassago, il quale fece denuncia di morte presso il competente ufficio del Comune. Della sorte di Vittorio fu avvisata una sorella che viveva a Milano, la quale, dopo il rito funebre, in accordo con il Comune, fece seppellire il fratello nel cimitero di Verderio superiore.
Le spoglie mortali di Vittorio Zanin sono ora conservate in una piccola urna dell’ossario, sulla destra rispetto alla cappella centrale dello stesso cimitero.

Beniamino Colnaghi