venerdì 23 novembre 2012

“La Zanzara” del liceo Parini di Milano

Nel lontano mese di febbraio 1966, La Zanzara, il giornale dell’associazione studentesca del liceo Parini di Milano, pubblica il risultato di un’inchiesta condotta su un campione di nove ragazze, scelte a caso tra le studentesse della scuola. Il “Liceo Ginnasio Statale G.Parini” era riconosciuto come il più severo e autorevole liceo italiano, tanto che la Normale di Pisa accettava anche studenti con una maturità inferiore di un punto rispetto alla soglia di ammissione se questo allievo proveniva dal Parini. Era anche la scuola della buona borghesia milanese, dei Rizzoli, dei Pirelli, dei Bassetti.

Il liceo Parini

Sul numero tre de La Zanzara, che sarebbe uscito entro pochi giorni, venivano riportate opinioni sul comportamento sessuale, la religione, la limitazione delle nascite, i rapporti con la famiglia, il libero amore e così via. Ma ancora prima che il numero venisse distribuito fuori dei cancelli dell’istituto, le prime indiscrezioni sull’iniziativa sociologico-sessuale dei suoi redattori erano già circolate. Lo scandalo era già pronto per scoppiare. Al Parini cominciava a montare la polemica: i professori protestavano, un gruppo di “pariniani cattolici” firmava un duro manifesto contro il numero in uscita, alcuni genitori erano in preallarme. La mattina dopo i quotidiani milanesi dedicavano largo spazio alla notizia. Poche ore più tardi, il procuratore della Repubblica incaricava il vice questore di condurre un’inchiesta, il preside del Parini veniva convocato in questura, il provveditorato agli studi cercava di capire cosa stava succedendo, un deputato liberale presentava un’interrogazione al ministro della Pubblica Istruzione.

La copertina del numero 3 del febbraio 1966

I personaggi della storia sono diversi: c’è La Zanzara con i suoi redattori, un preside sotto accusa, c’è un’organizzazione dura e intransigente di giovani cattolici (GS, gioventù studentesca milanese), un corpo di professori smarrito almeno quanto le famiglie. E c’è, soprattutto, un’intera generazione terribilmente seria e riflessiva, il cui dramma è soltanto quello di trovarsi ormai ad un livello di maturità culturale e morale superiore a quello delle famiglie e di molti insegnanti. Il numero che ha fatto scoppiare lo scandalo contiene riflessioni sociologiche sul cambio di costume dei giovani, un’analisi comparata sui testi scolastici, una discussione sui rapporti tra Stato e scuola privata. Ma lo scandalo lo fa scoppiare l’intervista alle nove ragazze: “Che cosa pensano le ragazze d'oggi?” E’ presto detto: chiedono un rapporto aperto con i genitori, l'introduzione dell'educazione sessuale a scuola, sono favorevoli ai rapporti prematrimoniali e all'utilizzo di metodi anticoncezionali, e puntano al matrimonio, a patto che si concili con il lavoro e con una presa di coscienza civile della donna.

Studenti pariniani leggono La Zanzara

Il dibattito tra le nove ragazze che hanno risposto alle domande è condotto con grande senso di responsabilità. Il linguaggio non supera mai in arditezza le discussioni del Concilio e, insieme ad alcune affermazioni polemiche, vi si trovano alcuni richiami all’insegnamento della Chiesa. Alcune ragazze affermano: “Il divorzio, a mio parere di cattolica, non dovrebbe esistere, però sarebbe giusto per quelle persone che non condividono le mie idee e sono costrette a rimanere legate ad un uomo che non amano”; “Io posso accettare un consiglio da mio padre solo se è motivato e non perché dice che è il padre e basta!”; “Molte di queste ragazze che aspirano come unico fine al matrimonio, saranno veramente, secondo me, delle pessime mogli e delle cattive madri: sarà certamente buona madre quella che già da ragazza ha una coscienza personale e civile»; “Quando esiste l’amore non possono e non devono esistere limiti e freni religiosi”.

I tre redattori del giornalino, due maschi e una femmina, tutti minorenni, passano così dai banchi di scuola agli interrogatori in questura, dove a telefonare allarmati sono anche genitori preoccupati da possibili attentati alla morale, che chiedono alle forze dell’ordine impegno per stroncare il malcostume dilagante. Clamore a parte, qual è il reato? La Zanzara non è registrato alla cancelleria del tribunale, come prescrive la legge, inoltre il preside del Parini non ha esercitato un controllo adeguato sul numero in questione insieme alla titolare della tipografia, rea di aver dato alle stampe un giornale senza che fosse registrato. I cinque sono rinviati a giudizio e dovranno rispondere della violazione dell'articolo 14 della legge sulla stampa, che si riferisce alle pubblicazioni oscene «destinate ai fanciulli e agli adolescenti, quando per la sensibilità e impressionabilità ad essi proprie, siano comunque idonee a offendere il loro sentimento morale o a costituire per essi incitamento alla corruzione, al delitto o al suicidio».

A precedere il processo è un altro scandalo: il 16 marzo, infatti, il sostituto procuratore dispone che i tre studenti siano sottoposti a una visita medica finalizzata alla compilazione di una scheda fisiopsichica. “Una legge del 1934 esige questo esame fisiopsichico sui minorenni", spiegherà il pubblico ministero al processo. "L’accertamento ha lo scopo di tutelare l’interesse del minore, in quanto la giustizia potrebbe condannare un irresponsabile”. Senonché la legge in questione risale al periodo fascista, scatenando “una vera gazzarra sulla stampa”, anche perché i due maschietti della redazione dichiarano ai giornali di essere stati spogliati e che “le domande loro poste durante tale visita vertevano sui loro eventuali rapporti con prostitute, su affezioni veneree eventualmente contratte, mentre venivano fatte osservazioni e commenti sul loro stato di apparente gracilità, con il rilievo che le famiglie poco si curavano di loro”. La ragazza, invece, si rifiuta di sottoporsi alla visita, e la questione sarà ripresa proprio durante il dibattimento.

I tre ragazzi della redazione in tribunale

Durante le tre concitate giornate in cui si ascoltano i testi, c’è chi loda il rendimento scolastico e la condotta degli imputati e chi auspica metodi e contesti più seri per trattare argomenti che hanno a che fare con la sfera sessuale. “Io sono convinto che nessuna ragazza ha manifestato quelle idee, scaturite solo dalla fantasia esaltata dei redattori”, affermerà il pubblico ministero durante la sua arringa, aggiungendo che “il problema sessuale va affrontato a livello scientifico o arriveremo al punto che le ragazze andranno in giro con gli anticoncezionali in tasca e il materasso sulle spalle”.

Un momento "rilassato" del processo

Il processo, al quale assistevano 240 giornalisti accreditati, provenienti da tutte le parti del mondo, oltre a catturare l’attenzione di tv e giornali generò numerose proteste e grandi manifestazioni organizzate dagli studenti milanesi.

Sabato 1 aprile il presidente legge il verdetto: tutti assolti, perché i fatti non costituiscono reato. Le ultime parole spettano al presidente del tribunale che, come accade nei tribunali per minori, decide di concludere il processo con un fervorino (breve ammonimento): “Il tribunale mi incarica di dirvi che ha riconosciuto che nella vostra inchiesta non esistono gli estremi di reato. Il compito della legge penale si ferma qui. Se le vostre affermazioni erano opportune o inopportune lo decideranno le autorità scolastiche. Su questo processo si è fatta una montatura esagerata. Voi non montatevi la testa, tornate al vostro liceo e cercate di dimenticare questa esperienza senza atteggiarvi a persone più importanti di quello che siete”.

Siamo nel 1966. Due anni più tardi esploderà quel movimento sociale, culturale e politico che prenderà il nome di Sessantotto. I prodromi erano già ben visibili.

Beniamino Colnaghi
 
Note: sul sito del liceo Parini di Milano è possibile leggere una vasta scelta di articoli, documenti, commenti e interviste sul “Caso Zanzara”.

lunedì 12 novembre 2012

Gli Ebrei in Boemia


Praga, la capitale della Repubblica Ceca, è una delle città più importanti dell’ebraismo europeo.
Gli Ebrei praghesi seppero costruire nei secoli la loro città, arricchendola di prestigiosi e significativi monumenti: la Sinagoga Vecchia-Nuova, in ceco Staronová, la Sinagoga Pinchas, la Sinagoga Alta, Visoká, il vecchio cimitero ebraico, in ceco Starý Židovský Hřbitov, il municipio israelita. Dopo la chiusura del vecchio cimitero ebraico è stato costruito il nuovo cimitero, nel quale si trova la tomba dello scrittore Franz Kafka.
 
La tomba di Franz Kafka
 
Della cultura ebraica si sono conservate soprattutto le narrazioni storiche e le leggende provenienti dall’antico, nonché misterioso ghetto. L'articolo qui di seguito proposto narra dei primi insediamenti di Ebrei in Boemia. Nei prossimi post verranno raccontate storie di avvenimenti e personaggi che faranno rivivere nell’immaginario del lettore il mondo ormai perduto della Praga ebraica.

In Boemia si racconta che là dove oggi si trova Praga si ergeva una fiorente città, nella quale abitavano gli Ebrei fin dall’epoca del Secondo Tempio (1).Qualche decennio più tardi la città venne distrutta ed i suoi abitanti furono cacciati. Libuše, che fondò Praga nel 730, aveva fama di essere una veggente. Sul letto di morte fece chiamare suo figlio Nezamysl e gli disse: “Torno dai miei antenati, ma prima di partire voglio svelarti il futuro. Quando tuo nipote regnerà sulla mia gente, un piccolo popolo straniero, cacciato ed oppresso, che adora un solo Dio, verrà a cercare asilo nei nostri boschi. Essi siano accolti con ospitalità e tuo nipote offra loro protezione”.

Dopo oltre un secolo dalla morte della regina, Hostivit (2) salì al trono dei suoi padri. Una notte gli apparve in sogno Libuše dicendo: “E’ giunto il tempo in cui la mia profezia si realizzi: apparirà ai piedi del tuo trono un piccolo popolo oppresso, il quale adora un solo Dio e cerca aiuto. Accoglilo in modo ospitale e benevolo e concedigli protezione e asilo”.

Quando nell’850 i Vendi, termine usato in passato per indicare gli Slavi in generale, si riversarono in Lituania e Moscovia, cacciandone gli abitanti e insediandosi in quelle terre, anche una comunità ebraica venne cacciata. Per dieci anni quegli sfortunati senza patria vagarono per il mondo, giungendo infine in Boemia. Chiesero udienza al sovrano, il duca Hostivit, il quale li accolse e chiese loro di presentarsi. “Siamo un piccolo popolo e ci chiamiamo come il Padre del nostro popolo, Israele. Seguiamo la legge di Mosè, crediamo in un unico Dio, che è onnipotente, immensamente giusto e misericordioso e la cui sovranità riempie tutta la terra. Ti supplichiamo, o duca, permettici di costruire qui le nostre capanne, saremo sudditi fedeli e pregheremo il nostro Dio affinché conceda a te e al tuo popolo gloria e vittoria”.
Il duca aveva capito che quello era il popolo il cui arrivo gli era stato predetto.
Il giorno seguente convocò i Vladykes (3), ascoltò il loro parere e infine decise di assegnare agli Ebrei un luogo sulla riva sinistra della Moldava, in ceco Vltava, dove ora si trova la vecchia area dell’Újezd.

Gli Ebrei vissero dunque in Boemia già all’epoca del paganesimo, prima ancora che la fede cristiana fosse conosciuta in quella regione.
 
Il battesimo del principe Bořivoj: dipinto di Václav Ignác Leopold Markovský (1789–1846)
 
 
Sotto il segno del principe Bořivoj (4) la comunità ebraica si espanse e lo spazio loro concesso diventò insufficiente, tanto da indurre il duca ad assegnare loro uno spazio sulla riva destra del fiume Moldava, dove ora si trova la “Città di Giuseppe”, Josefov, detta in passato città ebraica.
La costruzione della città inizio nell’anno 907. Inizialmente fu costituita da una trentina di case e dalla prima sinagoga, tutte rigorosamente di legno.

Gli ebrei praghesi, provenendo dalla Moscovia, si vestivano “alla russa” e nella loro sinagoga introdussero il rito polacco, il quale si è mantenuto fino ad oggi nella “Sinagoga Vecchia-Nuova” e, almeno parzialmente, in altre piccole sinagoghe.

Il primo Rabbi (5) della comunità praghese si chiamava Malchi, nacque a Cracovia e fu un uomo molto erudito. Gli Ebrei mantennero sempre i diritti che gli furono concessi dal duca e dai principi, anche perché seppero ben integrarsi nel resto della città, contribuendo al suo benessere ed al mantenimento della pace e delle buone relazioni.

Antico stemma della Boemia

Il re Vladislao (6) decise di conferire alla comunità ebraica praghese lo stemma raffigurante i leoni boemi con la doppia coda e concesse anche il diritto di difendere la propria città con dei cancelli che potessero essere chiusi durante la notte.

Il monumento dedicato al re Jiří a Poděbrady
 
Dal tempo di Vladislao fino a quello di Giorgio di Poděbrady, Jiří z Poděbrad, (ca. 1471) gli Ebrei vissero in pace, nonostante le numerose tempeste che agitavano la Boemia. In seguito le cose cambiarono e si diffusero calunnie contro di essi, i quali vennero più volte cacciati dal Paese, per poi essere richiamati, dopo che ci si rese conto che quelle calunnie erano soltanto il frutto dell’odio e dell’invidia.

Gli Ebrei praghesi si comportarono comunque bene e furono fedeli ai loro doveri e ciò permise loro di continuare ad essere cittadini boemi. Dio, che non abbandona il popolo di Israele, li fece sempre tornare nelle grazie dei sovrani del Paese.

Beniamino Colnaghi


Note:
1 Epoca della storia ebraica (dal III sec. a. C. circa fino al I sec. d. C.) che ebbe fine con la distruzione del Secondo Tempio di Gerusalemme nel 70 d. C.
2 Hostivit, leggendario principe dei Cechi.
3 Vladykes: accanto al ceto dei nobili era la seconda corporazione illustre dei regni sotto la corona boema (c.d. ceto dei cavalieri).
4 Bořivoj: primo principe ceco ad essere battezzato, morto prima dell’anno 890
5 Rabbi, Mio Maestro, titolo attribuito ai saggi all’epoca della Mischna; denominazione data ad un erudito della Thora o anche di un capo chassidico.
6 Vladislao II (ca. 1110 – 1174): principe ceco e re.

giovedì 1 novembre 2012

I verderiesi nella Cooperativa di Costruzioni Lavoranti Muratori

Durante una delle chiacchierate che tengo periodicamente con Felice Colnaghi, sul tavolo, attorno al quale eravamo amabilmente seduti, oltre il caffè, preparato dalla sig.ra Agnese con una moka Bialetti, era posato un corposo volume bianco. La copertina era composta da una fotografia d’altri tempi che sfumava verso l’alto e da una scritta che formava un cerchio, al centro del quale faceva bella vista un numero di colore oro.


Gli operai della Cooperativa nel 1887, anno di fondazione
 
Inutile dire che la copertina avesse stimolato la mia curiosità.

Agnese, Agnese Galizioli, la moglie di Felice, capita al volo l’antifona, mi ha chiesto se mi interessasse vederlo: “Riguarda il 120° anniversario della nascita della Cooperativa“.
Certo che mi interessa, dico io.
Della Cooperativa Muratori me ne aveva accennato mio padre in diverse occasioni. Nel tempo, a partire dagli anni Venti del secolo scorso, ci avevano lavorato dei suoi parenti. Tra questi, Luigi e Giuseppe Riva, detti Gen e Pen, che provenivano dalla cùrt dei Gion, e Giuseppe Colnaghi, fratello di mio nonno nonché padre di Felice. Quest‘ultimo, vi ha lavorato dal 1946 al 31 gennaio 1987.
Grazie a questa lunga permanenza in azienda, in occasione del 120° anniversario della fondazione della Cooperativa, è stato invitato alla cerimonia svoltasi al teatro Parenti di Milano, ove è stato omaggiato, insieme a molti altri soci e pensionati, del volume “La tradizione si è fatta storia”.

Almeno una quarantina di residenti di Verderio Superiore hanno lavorato durante gli anni alla Cooperativa. Mi corre l’obbligo ricordarne qualcuno: Alessandro Acquati detto Casciola, i fratelli Antonio e Pierino Brivio della Casineta, Bruno Gariboldi de l’Irolda, Napoleone Ponzoni detto Pulon, Alessandro Sala dei Bura, Enrico Sala dei Campée, Giuseppe Sala detto Pepot, Mario Besana detto Zarell, Luigi Viganò dei Peregai.


I soci fondatori in una foto del 1887

La Cooperativa di Costruzioni Lavoranti Muratori, CCLM, nacque il 20 ottobre 1887 all’Osteria della Stella, in via Ceresio a Milano.

Nel 1887 l’Italia era impegnata nella disastrosa avventura colonialistica in Africa, che cominciò a mietere centinaia di vittime. Per finanziare la guerra, i governi Depretis prima e Crispi poi aumentarono il prezzo del pane ed i dazi sul frumento e sulle importazioni, generando vivaci critiche nel Parlamento e nel Paese. Sempre nello stesso anno l’Otello di Giuseppe Verdi venne rappresentato al teatro alla Scala di Milano, mentre  Arthur Conan Doyle diede alle stampe i primi racconti incentrati sulla figura di Sherlock Holmes.

I padri fondatori della Cooperativa puntavano ad assistere i soci che non potevano più lavorare, per l’età o a causa di qualche invalidità, attraverso un fondo previdenziale e a insegnare un mestiere ai più giovani, grazie alla scuola professionale muraria.
L’anno di fondazione non è casuale: l’Unità d’Italia non ha portato grandi miglioramenti nelle condizioni di vita delle classi sociali più umili e svantaggiate. In quegli anni i lavoratori cominciano a prendere coscienza dei loro diritti e si muovono per ottenerli: il 1887 registrò uno sciopero durissimo dei muratori, che chiedevano di lavorare “solo dieci ore al giorno” e di essere pagati il giusto.

 
Alcuni soci fondatori in una foto scattata a Cinisello, nella quale mostrano orgogliosamente il ritratto di Karl Marx e un'immagine di Gesù Cristo


Quella era la Milano semplice e onesta di quei muratori, badilanti, manovali e garzoni stanchi di sottostare allo sfruttamento dei capimastri e dei padroni, che non si accontentarono di scioperare, di manifestare, ma costruirono qualcosa di nuovo, come una Cooperativa di produzione e lavoro.
“La cuperativa la vuleva fa vedè a i capmaster che l’era pusibel, a l’listess, stà in pè e pagà el giust i uperari”, diceva un vecchio socio milanese.

Non dev’essere stato semplice, ci avevano già provato l’anno precedente: Ferdinando Robecchi, Vittorio Pedroni, Alfredo Casati sono i padri della Società Mutua Miglioramento Muratori di Milano e provincia. Il primo anno la Cooperativa raccolse 69 adesioni, a 25 lire per iscritto, ridotti a 15 una decina d’anni dopo, per non gravare troppo sui bilanci dei soci.

Il primo committente fu la Cooperativa Edificatrice di Case Operaie e la prima opera importante fu la costruzione di un edificio di 104 stanze e 14 botteghe a Porta Magenta.
Da lì in poi la CCLM si conquistò la fiducia delle persone più influenti di Milano e delle istituzioni milanesi, come dimostra la lista dei lavori acquisiti negli anni seguenti: l’ingresso del cimitero Musocco, la torre del Filarete al Castello Sforzesco, il nuovo Macello e la sede del Mercato del bestiame a Porta Vittoria, la caserma della Regia Finanza in via Melchiorre Gioia, decine di edifici per l’Ente autonomo Case Popolari.

Nel 1925 il fascismo cercò di mettere i classici “bastoni tra le ruote” alla Cooperativa, ma senza gran esito, perché la condotta della Cooperativa era esemplare ed i bilanci in regola.
La solidarietà e la disciplina che legavano i soci, la relazione tra dovere e interesse, che è propria di una Cooperativa, la condizione di mutuo aiuto e assistenza, i sacrifici ed i sani principi dei soci-lavoratori, accompagnarono sempre la vita della società.

Quando non furono le autorità a creare problemi, quando non fu la crisi del settore, ecco arrivare la guerra. I danni più gravi si registrarono nell’agosto 1944, quando i bombardamenti degli Alleati rasero al suolo i magazzini e danneggiarono gravemente gli uffici della sede di corso Italia a Milano. La guerra, per un perverso e collaudato meccanismo, genera anche lavoro, tanto che, nell‘immediato dopoguerra, la Cooperativa fu impegnata nella ricostruzione della città di Milano e del suo hinterland.

Anno 1946. Nella foto sono presenti tre operai di Verderio Superiore: quarta fila dal basso, quarto da sinistra è Giuseppe Riva (Pen), quinto è Felice Colnaghi (entrambi con la canottiera). Ultima fila in alto, quinto da sinistra è Pierino Brivio della Casineta
 
Nel 1957 il Comune di Milano le assegnò una medaglia di benemerenza per il lavoro svolto e, nei primi anni Sessanta, quelli del boom economico, la CCLM partecipò alla realizzazione di ville e palazzi signorili per la borghesia cittadina e di nuovi quartieri popolari per le categorie meno abbienti. Sorsero, inoltre, nuove industrie, centri educativi e sportivi, infrastrutture per la viabilità ed i servizi.

Felice Colnaghi in una foto del 1955

Nel 1985 vennero incorporate, per fusione, la Cooperativa Pittori e Imbiancatori e la Coop Cedim e lo sviluppo della Cooperativa sembrò inarrestabile. Ma ancora una volta, non un’altra guerra, quando il ciclone “Mani Pulite” investì il capoluogo lombardo, anche la CCLM ne pagò le conseguenze. L’edilizia, soprattutto quella pubblica, entrò in crisi, il giro d’affari subì un drastico ridimensionamento, tanto che nel 1993 fu necessario ricorrere alla Cassa integrazione e ai contratti di solidarietà.
 
Folto numero di operai e tecnici della Cooperativa impegnati nella costruzione della nuova sede dell'ATM in via Novara a Milano
 
I Lavoranti Muratori si risollevarono dopo pochi anni, offrendo al mercato ciò che nessuno poteva togliere loro, la professionalità, e indirizzandosi a iniziative immobiliari private che garantirono entrate significative. Alla ripresa degli interventi pubblici, la Cooperativa s’impegnò nel restauro del teatro alla Scala, della ristrutturazione del palazzo Reale, del teatro Parenti, del salone degli Affreschi dell’Umanitaria, della realizzazione di numerose stazioni della metropolitana.

Alcuni soci, quelli più anziani, negli anni scorsi amavano esprimersi così, in dialetto milanese, per ricordare e qualificare la “loro” Cooperativa: “La nostra storia l’è lunga cumè la famm” e “Pader e fieu ch’àn fa la guera e i sacrifisi per difend ‘l post de laurà”. Ci si sentiva spalla contro spalla, gli uni con gli altri. La solidarietà ed il mutuo soccorso venivano al primo posto.

Altri tempi, aggiungo io, altre generazioni di uomini.

Ora la Cooperativa naviga in cattive acque. Felice mi ha informato, con la voce rotta dall’amarezza, lui che ha sempre creduto nella cooperazione, che la Cooperativa è stata recentemente dichiarata in liquidazione coatta, è stato nominato un commissario liquidatore e tutti i dipendenti sono stati messi in Cassa integrazione per un anno. Brutta storia.

La grave crisi dell’edilizia e delle costruzioni ed un mercato immobiliare quasi fermo, hanno potuto ciò che il fascismo, la guerra e il ciclone post-tangentizio non hanno saputo fare.
 
Beniamino Colnaghi