martedì 20 giugno 2017

Il David di Michelangelo Buonarroti e la "contesa" sul suo posizionamento

Nel 1501, Michelangelo Buonarroti, quando iniziò a scolpire il blocco di marmo dal quale, tre anni più tardi, si sarebbe materializzato il David, l’eroe biblico che sconfisse il gigante Golia, aveva poco più di 25 anni. Già da quel momento molti artisti del Rinascimento italiano capirono che quel ragazzo sarebbe diventato il genio che dimostrò di essere durante la sua lunga vita artistica.

La statua di Michelangelo agli Uffizi di Firenze

Quel blocco di marmo di Carrara, ritenuto da altri scultori fragile e non adatto, per la forma e la scarsa qualità, venne affidato al giovane Michelangelo al fine di ricavarci un gigantesco David.   
Nel 1504 il Buonarroti consegnò alla città di Firenze la statua, simbolo della libertà repubblicana, che è da sempre ritenuta l’ideale della bellezza maschile e l’oggetto artistico più bello mai visto dai tempi antichi in Italia.  
Originariamente la statua avrebbe dovuto essere collocata su uno dei contrafforti del Duomo. Ma alcuni degli artisti fiorentini non furono d’accordo con tale decisione iniziale, probabilmente perché, dopo aver ammirato la maestosità e la bellezza del David, ritennero più consona una collocazione “più in vista”.
 
Il David
 
Per dirimere la questione e individuare una soluzione quanto più condivisa, i Consoli dell’Arte della Lana di Firenze chiamarono a raccolta ventuno tra i maggiori artisti presenti in città in quel periodo. Nomi da far accapponare la pelle, tanto erano bravi e famosi. Tra gli altri: Leonardo da Vinci, Sandro Botticelli, Filippino Lippi, Giuliano da Sangallo, Piero di Cosimo, Pietro Perugino, Andrea Sansovino, Davide Ghirlandaio.  
Alcuni artisti ritenevano la questione di semplice risoluzione e prettamente estetica, altri, invece, avevano individuato risvolti politici molto importanti. Tra questi ultimi, Niccolò Machiavelli, segretario della seconda Cancelleria, vide in quella statua il simbolo dell’aspirazione a formare una milizia popolare volta a difendere lo Stato e i suoi valori. E per questo motivo, secondo il Machiavelli, era assolutamente necessario dare al David la massima visibilità.
I geni del Rinascimento fiorentino si ritrovano dunque in assemblea e, da subito, fanno emergere i primi dissidi e pareri discordanti sulla collocazione della statua. Considerato che il marmo era fragile e di scarsa qualità, alcuni artisti, tra cui Donatello, Giuliano da Sangallo e lo stesso Leonardo da Vinci vedrebbero bene il David di Michelangelo posizionato al coperto, magari sotto la Loggia dei Lanzi o accanto alla Cattedrale. La posizione di Leonardo, che vorrebbe il David in un luogo ancor più defilato, appare oltremodo viziata dalla preoccupazione che il successo del giovane Buonarroti potesse mettere in ombra il suo buon nome.

Palazzo Vecchio in Piazza della Signoria a Firenze

Alla fine, per superare lo stallo, viene sentito Michelangelo stesso, il quale riesce a orientare la decisione finale verso il posizionamento della statua sul proscenio più importante di Firenze: l'ingresso di Palazzo Vecchio in Piazza della Signoria.
Il David fu l’emblema della Repubblica fiorentina per molti secoli. Nel 1873 venne trasferito alle Gallerie  dell’Accademia e al suo posto, nel 1910, venne installata una copia.
 
Beniamino Colnaghi

giovedì 1 giugno 2017

Il ponte Carlo di Praga, ovvero il “Ponte sacro”

I libri di storia narrano che nello stesso luogo ove adesso c’è il ponte Carlo, Karlův most in ceco, c’era un ponte di legno più basso che attraversava la Moldava, Vltava. Venne spazzato via da un’alluvione. Allora, nel 1157, il re Vladislao I, senza perdere tempo, ordinò la costruzione di un nuovo ponte in pietra, al quale diede il nome di sua moglie Giuditta. Il ponte Giuditta, i cui blocchi di rivestimento erano saldamente legati tra loro da grappe di ferro, al fine di resistere alle onde più forti, tanto robusto non doveva essere perché nel 1342 un’altra alluvione sommerse completamente il ponte e ne distrusse buona parte.
Sempre i libri di storia, ancora loro, ci raccontano che fu l’imperatore Carlo IV in persona (1316-1378), a quel tempo re di Boemia e imperatore del Sacro Romano Impero, a volerne uno nuovo, incaricando l’architetto Peter Parler, nato in Germania ma praghese di adozione. Sua fu anche la progettazione della cattedrale di San Vito e del Castello di Praga. Parler pensò bene di costruire il nuovo ponte spostato di 20 metri verso sud rispetto al ponte distrutto e con il piano di transito più alto di quattro metri.
La cattedrale di San Vito

Dell’antico ponte Giuditta, oggi, rimangono la cosiddetta torre di Giuditta, a fianco della porta che introduce nel quartiere di Malá Strana, e tre arcate inglobate nelle cantine delle case a ridosso della porta stessa. Le massicce strutture in pietra servirono da modello a Peter Parler per il ponte Carlo.
Il ponte non è la classica struttura che serve ad attraversare un fiume. Nella maggior parte del mondo è cosi, a Praga no. Il ponte Carlo è la storia di Praga e la testimonianza dell’evoluzione della città, un catalogo urbano dove la città si racconta. Su questo ponte sono state scritte centinaia di storie e leggende, come quella del Vodnik, una specie di folletto raffigurato con un cappello a tuba e disegnato con i colori rosso e verde, che ama, tra l’altro, intrattenersi nelle vecchie birrerie che sorgono in prossimità del fiume. Si tratta di una creatura acquatica, il cui compito è quello di raccogliere le anime degli annegati nella Moldava e custodirle in piccole ampolle di vetro depositate sul fondo del fiume.
Insomma, Praga, seppure sia una città tanto romantica quanto misteriosa, senza il ponte Carlo non sarebbe la stessa cosa.
 Il ponte Carlo verso la Città Vecchia (1870)
 
Il ponte Carlo oggi. Sullo sfondo il Castello e la cattedrale di San Vito
 
Un aneddoto personale. Ho ammirato per la prima volta la struggente bellezza di questo ponte nel 1987. Trent’anni fa. Epoca di smantellamento del regime. Era una qualsiasi domenica mattina del mese di agosto. La città era semideserta: i praghesi, come da tradizione, trascorrevano il fine settimana nelle loro casette di legno in campagna o presso i campeggi adagiati sulle rive dei numerosi laghetti boemi. I turisti occidentali si potevano contare con il pallottoliere. In quell’occasione, e forse nelle seguenti tre o quattro volte che vidi il ponte prima dell’89, ebbi modo di ammirarlo, fotografarlo, percorrerlo in tutta la sua maestosità. Oggi non è più possibile. Ogni giorno della settimana e durante ogni periodo dell’anno masse informi di turisti/consumatori/selfomani lo percorrono per raggiungere il quartiere di Malá Strana, e viceversa. La folla oggi è più interessata ad immortalarsi e curiosare tra le bancarelle che a conoscere e scoprire la storia ed i segreti di questo ponte.
Il ponte Carlo è lungo 520 metri e largo quasi dieci, 16 pilastri di sostegno e 30 gruppi di statue di santi. L’idea di ornarlo di statue è tutta italiana, anzi romana, e il contrappunto tra la severità gotica delle strutture del ponte e il disegno barocco delle statue è invece tutto praghese. Tutto ciò ci conferma il risultato di un accumulo storico, un processo di invenzione che si crea per strati, dalla prima installazione, il Crocifisso di inizio Seicento, all’ultima, il gruppo Cirillo e Metodio, realizzato nel 1938, l'anno prima che i nazisti invadessero la Cecoslovacchia.
Arrivando dalla Città Vecchia, Staré Město, non si può fare a meno di rallentare il passo, un po’ per la calca e la ressa dei turisti, ma soprattutto per lo scenario che ci si para di fronte. Superata la torre d’entrata, Mostecká věž, disegnata anch’essa da Parler, il ritmo del passo diventa gotico, di altri tempi. A proposito della torre, che riporta figure di Carlo IV e di vari santi, sopportò anche il peso di dieci teste mozzate dei capi degli insorti che vi furono appese nel 1621, quando la Boemia fu ripulita dalle cattolicissime armate imperiali e riportata nell’ovile. Il 1620 è l’anno della battaglia della Montagna Bianca, una data importantissima, di svolta nella storia boema.






 
Superata la torre e rallentato il passo, dunque, si entra in una specie di lungo salone all’aperto nel quale sono esposti trenta complessi statuari di varia fattura, alcuni in copia, per un totale di 50 personaggi. Il rosario dei santi non ha nulla di clericale; è una vetrina di raffigurazioni barocche e di successivi stili. Le statue rappresentano due mondi: quello dei santi e delle vergini e quello degli altri, l’ebreo, il saraceno, il peccatore, il negro, l’indio, la vedova col bambino…
La carrellata delle statue è molto istruttiva per riconoscere tre secoli di trascorsi cattolici del Paese centroeuropeo. A esempio basterebbe conoscere la storia di san Giovanni Nepomuceno, la cui statua, che risale al 1683, è la più antica del ponte, l’unica in bronzo. San Giovanni Nepomuceno venne gettato nella Moldava il 16 maggio 1393 perché non rivelò i segreti confessionali della moglie di re Venceslao IV. Silenzio di fronte al potere. Fu dichiarato dalla Chiesa protettore contro le malelingue.
Oppure basterebbe raccontare della statua che rappresenta san Francesco Borgia (1710), nipote del figlio di papa Alessandro VI, spagnolo, grande amico del re e cavallerizzo della regina Isabella, governatore dei gesuiti.
Verso Malá Strana il ponte sembra infilarsi nella pancia del quartiere, nel quale nacque e visse lo scrittore e poeta Jan Neruda. Malato e in miseria, dopo la sua morte la città di Praga gli dedicò una via, Nerudova ulice, sulla quale si affaccia l’ambasciata italiana. 
Le due torri che dovrebbero materialmente chiudere il ponte, in realtà aprono a Malá Strana in una continuità senza scossoni. La più bassa delle torri risale al XII secolo ma fu rinnovata nel 1590. La più alta è della fine del XV secolo.

 
Quando poco sopra ho scritto che il ponte Carlo è la storia di Praga, pensavo anche al fatto che sul ponte passava la Via Imperiale che saliva al Castello per l’incoronazione di re e imperatori. Oggi, molto più modestamente e commercialmente, passa la Via Turistica. Certo, i turisti di oggi non faranno la storia, ma almeno ingrassano le tasche di chi trae guadagni dal turismo di massa a Praga.
Il drammaturgo ceco Frantisek Langer scrisse, in tempi non sospetti, quasi fosse una profezia: “Perché la salvezza e la sopravvivenza del popolo ceco si fonda sui nostri teneri cuoricini piuttosto che sulla pietra tanto dura con la quale, sei secoli fa, re Carlo costruì il nostro bellissimo ponte”.
 
Beniamino Colnaghi

Sulla Boemia e su Praga questo blog contiene numerosi articoli:
La storia di Liberec: http://colnaghistoriaestorie.blogspot.it/2016/10/liberec-rep.html
Telc, patrimonio dell'Unesco: http://colnaghistoriaestorie.blogspot.it/2016/02/telc-patrimonio-dellunesco.html
Non solo Praga: http://colnaghistoriaestorie.blogspot.it/2015/09/non-solo-praga-c-itta-darte-castelli-e.html
La storia dell'Europa orientale: http://colnaghistoriaestorie.blogspot.it/2015/02/leuropa-orientale-radici-storia-e.html
Zelena Hora: http://colnaghistoriaestorie.blogspot.it/2013/09/il-complesso-storico-monumentale-di_4.html
L'ira di Hitler su Lidice: http://colnaghistoriaestorie.blogspot.it/2012/08/lira-di-hitler-su-lidice-reinhard.html
Jan Hus e gli Hussiti: http://colnaghistoriaestorie.blogspot.it/2012/06/boemia-jan-hus-e-il-movimentohussita.html
Il ghetto ebraico a Golcuv Jenikov: http://colnaghistoriaestorie.blogspot.it/2012/03/il-vecchio-insediamento-ebraico-di.html
Il lager di Terezin: http://colnaghistoriaestorie.blogspot.it/2012/03/terezin-il-lager-dei-bambini-in-ricordo.html
Milovice: http://colnaghistoriaestorie.blogspot.it/2012/02/il-militare-di-ceca-milovice.html