Il Dopolavoro di Paderno
d'Adda gestito da Cecilia Colnaghi
L'Opera Nazionale Dopolavoro fu un'associazione creata il 1° maggio 1925 dal regime fascista col compito di occuparsi del tempo libero degli italiani. Lo statuto prevedeva che il Dopolavoro dovesse "curare l'elevazione morale e fisica del popolo, attraverso lo sport, l'escursionismo, il turismo, l'educazione artistica, la cultura popolare, l'assistenza sociale, igienica, sanitaria, ed il perfezionamento professionale".
A partire appunto dal 1925 il regime fascista avviò il programma di "nazionalizzazione" del tempo libero, dai divertimenti agli sport, il cui primo passo fu la creazione dell'Opera Nazionale Dopolavoro (OND). La creazione dell'OND rese istituzionali le iniziative già esistenti, come i circoli ricreativi patrocinati dai sindacati fascisti sorti autonomamente nelle sedi socialiste, eliminandone il carattere politico e sopprimendo le analoghe organizzazioni antifasciste. Lo scopo primo dell'OND era inizialmente limitato alla formazione di comitati provinciali a sostegno delle attività ricreative, ma tra il 1927 e il 1939 da ente per l'assistenza sociale diventò "movimento" nazionale che vigilava sull'organizzazione del tempo libero degli italiani.
Le attività dei vari circoli erano suddivise, secondo un'uniforme programma per tutta la nazione, in una serie di servizi sociali, tra i quali cultura fascista e formazione professionale, educazione fisica, sport e turismo, educazione artistica, musica, cinema, radio e folklore.
Questo programma era rivolto agli ambienti urbani ed industriali; a partire dal 1929 si sviluppò anche il dopolavoro agricolo, le cui finalità convergevano nel proposito di "non distrarre dalla terra" i contadini. Alla fine degli anni Venti venne inoltre messo a punto un programma ricreativo femminile, che implicava un accurato addestramento per "l'elevazione morale" delle donne nella società fascista, e corsi di pronto soccorso, igiene ed economia domestica.
Il regime fascista aprì sedi del Dopolavoro in moltissime località italiane: nel 1933 furono ben 18.000 le sezioni aperte nella nostra penisola. Per quanto attiene la nostra zona, una sede venne aperta a Verderio Inferiore, un'altra a Paderno d'Adda. Il Dopolavoro di Paderno venne aperto in località Padernino, precisamente presso alcuni locali della cascina sant'Antonio in via Leonardo da Vinci 51, ove già esisteva un'osteria di proprietà della facoltosa famiglia Viscardi.
L'Opera Nazionale Dopolavoro fu un'associazione creata il 1° maggio 1925 dal regime fascista col compito di occuparsi del tempo libero degli italiani. Lo statuto prevedeva che il Dopolavoro dovesse "curare l'elevazione morale e fisica del popolo, attraverso lo sport, l'escursionismo, il turismo, l'educazione artistica, la cultura popolare, l'assistenza sociale, igienica, sanitaria, ed il perfezionamento professionale".
A partire appunto dal 1925 il regime fascista avviò il programma di "nazionalizzazione" del tempo libero, dai divertimenti agli sport, il cui primo passo fu la creazione dell'Opera Nazionale Dopolavoro (OND). La creazione dell'OND rese istituzionali le iniziative già esistenti, come i circoli ricreativi patrocinati dai sindacati fascisti sorti autonomamente nelle sedi socialiste, eliminandone il carattere politico e sopprimendo le analoghe organizzazioni antifasciste. Lo scopo primo dell'OND era inizialmente limitato alla formazione di comitati provinciali a sostegno delle attività ricreative, ma tra il 1927 e il 1939 da ente per l'assistenza sociale diventò "movimento" nazionale che vigilava sull'organizzazione del tempo libero degli italiani.
Le attività dei vari circoli erano suddivise, secondo un'uniforme programma per tutta la nazione, in una serie di servizi sociali, tra i quali cultura fascista e formazione professionale, educazione fisica, sport e turismo, educazione artistica, musica, cinema, radio e folklore.
Questo programma era rivolto agli ambienti urbani ed industriali; a partire dal 1929 si sviluppò anche il dopolavoro agricolo, le cui finalità convergevano nel proposito di "non distrarre dalla terra" i contadini. Alla fine degli anni Venti venne inoltre messo a punto un programma ricreativo femminile, che implicava un accurato addestramento per "l'elevazione morale" delle donne nella società fascista, e corsi di pronto soccorso, igiene ed economia domestica.
Il regime fascista aprì sedi del Dopolavoro in moltissime località italiane: nel 1933 furono ben 18.000 le sezioni aperte nella nostra penisola. Per quanto attiene la nostra zona, una sede venne aperta a Verderio Inferiore, un'altra a Paderno d'Adda. Il Dopolavoro di Paderno venne aperto in località Padernino, precisamente presso alcuni locali della cascina sant'Antonio in via Leonardo da Vinci 51, ove già esisteva un'osteria di proprietà della facoltosa famiglia Viscardi.
Foto 1 - Ingresso al Dopolavoro su via L. da Vinci, riservato ai militanti fascisti
Foto 2 - Particolare
L'apertura
avvenne presumibilmente nella seconda metà degli anni '20. Il "Dopolavoro
Aziendale Viscardi", così fu chiamato in quel tempo, era composto da un bar e da
un locale attiguo che accoglieva le riunioni degli attivisti fascisti. Il locale
che ospitava il bar era molto ampio, arredato con un bancone e numerosi tavoloni
attorno ai quali gli avventori bevevano del buon vino, chiacchieravano oppure
giocavano a carte. La sala riservata ai fascisti era più intima, aveva il camino
ed il pavimento in parquet ed era arredata con tavolini e mobili d'epoca.
All'esterno, collegati con il bar, erano presenti due campi di bocce scoperti,
affiancati da uno stretto passaggio dove i clienti potevano assistere alle
partite. Ancora oggi, malgrado la cascina sia oppressa da un condominio, da
villette e da un piccolo capannone commerciale, si possono notare i due ingressi
al Dopolavoro: a quello interno potevano accedere i clienti del bar, mentre
quello su via L. da Vinci era riservato ai gerarchi ed agli iscritti al Partito
Fascista.
Cecilia Colnaghi, soprannominata Cia, proveniva da Verderio Superiore e precisamente dalla Curt dei Barbis, ove nacque il 25 novembre 1890. Il padre, Felice, e la madre, Maria Letizia Brivio, ebbero otto figli: Cecilia fu la secondogenita mentre mio nonno Beniamino, sestogenito, venne alla luce nel 1900.
Cecilia Colnaghi, soprannominata Cia, proveniva da Verderio Superiore e precisamente dalla Curt dei Barbis, ove nacque il 25 novembre 1890. Il padre, Felice, e la madre, Maria Letizia Brivio, ebbero otto figli: Cecilia fu la secondogenita mentre mio nonno Beniamino, sestogenito, venne alla luce nel 1900.
Foto 3 - Ritratto di Cecilia
Colnaghi
Trascorse l'infanzia e la giovinezza in paese, finché, in età da marito,
il 22 gennaio 1910 si sposò con Luigi Valtolina, anch'esso nativo di Verderio
superiore, precisamente della Curt dei Sartirona, il quale fu chiamato
subito "a fare il soldato". Malgrado ciò, tra una licenza e l'altra di Luigi,
tra il 1911 e il 1915 Cecilia ebbe tre figlie: Nicoletta, Giuseppina e Ines.
Allo scoppiare della Prima Guerra mondiale, Luigi fu chiamato alle armi e partì
per il fronte, dal quale non fece più ritorno, lasciando così in gravi
difficoltà la famiglia. I suoi resti sono tumulati nel Sacrario militare del
Passo Tonale.
Foto 4 - Luigi
Valtolina
Una nipote di Cecilia,
Giuditta Rotta, mi ha recentemente riferito che sua nonna si trasferì a Paderno,
si presume con i genitori del marito, pochi mesi dopo aver partorito la prima
figlia. Dovremmo pertanto essere nel 1912. Malgrado il marito fosse ancora
soldato, Cia si spostò quindi alla cascina sant'Antonio, ove ebbe dalla famiglia
Viscardi, come detto proprietaria dell'immobile e di alcuni terreni contigui,
alcuni locali in affitto posti al primo piano e probabilmente la gestione
dell'osteria al piano terra, già esistente all'epoca. Rimasta nel frattempo
vedova, oltre al bar, si occupò della cucina e dei lavori domestici presso la
villa padronale.
Quando il Partito Fascista apre il Dopolavoro a
Paderno, Cia ha quasi 40 anni, le tre figlie sono ormai grandicelle ed i
parenti la aiutano nella gestione dell'osteria e nel buon mantenimento dei
locali e dei campi di bocce. I tempi sono difficili, le malattie imperversano,
la fame è una brutta bestia, la gente non ha possibilità di agire e parlare
liberamente, le squadre fasciste controllano la vita delle persone e chi sgarra,
o non si adegua, viene punito. Il Dopolavoro diventa una delle sedi nelle quali
i fascisti locali progettano non solo iniziative politiche e propagandistiche,
ma anche azioni punitive nei confronti dei comunisti e degli antifascisti più
irriducibili. Uno dei quali era proprio un fratello di Cecilia, inserito nelle
liste degli oppositori da punire, che Cecilia, con il suo carattere forte e
risoluto, difese e protesse in più di un occasione, salvandolo dal manganello e
dalla prigione. Mi è stato confermato che Cia, quando aveva "una soffiata", si
dirigeva alla stazione ferroviaria di Paderno per avvisare suo fratello di non
andare a casa quella sera perché i fascisti gli avevano teso un'imboscata presso
"ul pianton", il grande platano, con l'intento di dargli una
lezione.
Dopo la Liberazione e caduto il fascismo, il Dopolavoro cessò
l'attività. A tale riguardo ho un aneddoto raccontatomi da Felice Colnaghi il
quale mi ha riferito che un nipote di Cia, Rinaldo Frigerio, figlio di sua
sorella Teresa, che già da ragazzino svolgeva attività di imbianchino, cancellò
i fregi fascisti posti sopra il portone di ingresso principale. Ancora oggi si
notano due macchie di colore bianco ai lati della scritta.
Il bar
sopravvisse e nacque una trattoria. Cia è una buona cuoca e una donna
intraprendente che vede lontano. Negli anni '50 e '60 cucina soprattutto per le
comitive, per i cacciatori e pescatori e per le operaie dei numerosi maglifici
presenti a Paderno: Imec, Baraggia, Consonni, Mafri, Fontana etc. Le clienti più
assidue sono soprattutto le donne bergamasche e quelle che abitano lontano da
Paderno e Verderio. Tra le sue clienti figuravano due nipoti di papa Giovanni
XXIII abitanti a Sotto il Monte, e di questo Cecilia andava molto fiera.
Foto 5 -
Cecilia con la figlia Nicoletta sulla porta d'ingresso del bar
Nel 1968 il bar-trattoria chiude e la cascina comincia un inesorabile e lungo declino. Cecilia Colnaghi ha quasi 80 anni, va ad abitare con la figlia Nicoletta e la nipote Giuditta, sempre a Paderno. La morte la coglie il 17 marzo 1976 all'età di 85 anni. Riposa nel cimitero di Paderno d'Adda.
Beniamino Colnaghi
P.s.: Considerato che è un articolo che non si sviluppa su
documenti e testi storici, ma trae origine dalla memoria di persone in carne e
ossa, ringrazio tutti coloro che mi hanno trasmesso le informazioni utili al
fine di poter raccontare questa storia, in particolare Giuditta Rotta e Fulvia,
Letizia e Felice Colnaghi.