martedì 26 gennaio 2021

27 gennaio: “Giorno della Memoria”

La storia di Fabrizio Collini

L’articolo 1 della legge 20 luglio 2000 n. 211 definisce così le finalità del Giorno della Memoria:

«La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati».

27 maggio 2001. Berlino, lussuoso hotel adiacente alla Porta di Brandeburgo. Sul pavimento della “Brandenburg suite” viene trovato riverso a terra il corpo di un ultraottantenne. L’aspetto distinto, se non fosse per quei proiettili che gli sono penetrati nell’occipite, uno fuoriuscito dall’altra parte portandogli via metà faccia, facendo schizzare ovunque sangue e massa grigia. La cameriera ai piani ed alcuni clienti dell’hotel hanno visto un uomo dall’aspetto corpulento aggirarsi intorno alla quella suite. In poche ore quell’uomo viene identificato. Il suo nome è Fabrizio Collini. Un pensionato di origini italiane che ha passato oltre metà della sua vita in Germania. Tutto sembra portare proprio a lui. Le prove del delitto ancora sul suo corpo e sui suoi abiti. Ma c’è molto di più: Collini è reo confesso. Manca solo il movente. A Collini, che si chiude nel silenzio rifiutando ogni difesa e tacendo le ragioni del suo gesto, viene assegnato d’ufficio un giovane e brillante avvocato, Caspar Leinen, alla sua prima causa. Una causa apparentemente semplice, ma che ben presto non si dimostrerà tale, tanto più che la vittima è un potente industriale tedesco, noto in tutto il Paese, e suo avvocato di parte civile un brillante patrocinatore del foro di Berlino. Una causa ancor più complessa, perché Leinen  viene a scoprire che la vittima, Jean-Baptiste Meyer all’anagrafe, è in realtà quello stesso Hans Meyer che egli conosce dall’infanzia, il nonno del suo migliore amico, un uomo di cui ricorda i modi gentili e affettuosi. Benché combattuto, Caspar Leinen decide di non rinunciare all’incarico e di cercare in tutti i modi di far luce sul movente del delitto, alla ricerca della verità. Un’indagine in cui nulla è come sembra all’inizio. La sua caparbietà lo porterà a scavare nel passato di Meyer e di Collini,  seguendo il filo di un labile indizio, grazie al quale indagherà su un episodio accaduto in Italia molti, molti anni prima. Il presunto omicida e la vittima sono legati a doppio filo da una storia che ha radici lontane, sepolte nella Seconda guerra mondiale durante il regime nazista, nei crimini e nelle stragi compiute in Italia dai nazi-fascisti in quegli anni. Consapevoli o inconsapevoli, volenti o desiderosi di seppellire il passato sotto una coltre di oblio, devono confrontarsi con ciò che fu quella tragedia storica, con la responsabilità delle loro azioni e con le conseguenze di ciò che vissero.

Nelle fasi processuali, entra prepotentemente una quarta figura, l’avvocato Eduard Dreher. A quanto pare, in Germania, ogni bravo studente di legge prima o poi deve studiare il suo commento al diritto penale. Eppure, sotto il Terzo Reich, Dreher era pubblico ministero presso il tribunale speciale di Innsbruck. Un duro che chiedeva la pena di morte anche per i reati più lievi. Un uomo abile che, dopo la guerra, fece una sorprendente carriera all' interno del Ministero della Giustizia, fino a diventare Segretario di Stato. E che nel 1968, nella distrazione generale, mentre fuori imperversavano la manifestazioni studentesche, all'ultimo piano del suo ministero, concepì, scrisse e fece passare una legge che, sotto il nome innocente di "legge programmatica alla legge sull'illecito amministrativo", con venti parole cambiò la storia. Una legge che ha vanificato in un sol colpo un lavoro di un ventennio in Germania. Una legge che faceva cadere in prescrizione la maggior parte dei processi in corso contro i passati protagonisti e complici del nazismo. Alcuni giornali si accorsero, qualche settimana più tardi, che la legge era praticamente un'amnistia generale per la maggior parte dei crimini perpetrati durante il regime nazista. Ma fu troppo tardi. 

Il processo prosegue con colpi di scena e testimonianze molto toccanti, che costringono l’opinione pubblica tedesca a confrontarsi con un passato tragico e carico di orrore, ad interrogarsi sulle responsabilità individuali e collettive, sulle dimenticanze e sui conti con il passato spesso mai interamente pagati.
Tutto ciò grazie alla tenacia ed alla bravura del giovane avvocato di Collini, Leinen, che indaga senza sosta, anche attraverso un viaggio in Italia, nei luoghi dove visse la famiglia di Collini, e scopre qualcosa di inaspettato, di tragico, sulla fine del padre del piccolo Fabrizio.
Il processo si chiude con il disvelamento del vero movente che indusse l’omicida ad uccidere Meyer a Berlino, ovvero si saprà che Meyer, membro delle SS, prese parte all'esecuzione del padre di Collini, un partigiano, nonché alla violenza e all'uccisione della sorella. La vicenda giuridica termina col suicidio di Collini, che lascerà nella sua cella una foto proprio della sorella.


Il libro ed il film

Il caso Collini (Longanesi, pagg. 176) è stato in Germania un autentico caso letterario, balzato in vetta alle classifiche di vendita nell’arco di poche settimane. E se ne capisce la ragione. Un ritmo narrativo incalzante, serrato, avvincente, in cui la verità viene fatta affiorare un po’ per volta - indizio dopo indizio - ma con inattese virate. Traspare, nella scrupolosa e serrata dialettica in cui si svolge il dibattimento in tribunale la formazione stessa dell’autore, Ferdinand von Schirach, brillante avvocato penalista di Monaco, “prestato” alla letteratura. E ora autore di un romanzo che si sviluppa in forma di noir processuale, proprio attorno agli effetti della legge Dreher. Un noir che comincia con una scena di violenza in una stanza dell'elegante Hotel Adlon di Berlino, oggi. Ma che tocca la storia personale di von Schirach. Perché Ferdinand von Schirach è, nella realtà, nipote di quel Baldur von Schirach che fu il capo della Hitlerjugend, poi governatore di Vienna e organizzatore della deportazione degli ebrei viennesi, condannato a Norimberga a venti anni di prigione e uscito giusto in tempo perché Ferdinand bambino ne registrasse qualche ricordo. E qualche tratto di questo nonno tragico c'è nel personaggio di Hans Meyer, il grande vecchio industriale, al tempo stesso dolcissimo e durissimo, massacrato nel corso del brutale omicidio perpetrato da Fabrizio Collini, l'assassino confesso, che non vuole né parlare e spiegarsi, né aiutare il suo giovane avvocato d'ufficio a difenderlo.

Nel libro, Fabrizio Collini è un operaio di Genova, mentre nel film l’azione avviene a Montecatini, la cui liberazione dall’occupazione tedesca è avvenuta il 2 luglio 1944. Le stragi nazi-fasciste hanno insanguinato molti paesi della zona (vedasi la strage di Vinca) e, a Montecatini, vi furono due omicidi brutali: l’uccisione in Piazza del Popolo dei ventenni Bruno Baronti e Foscarino Spinelli, avvenuta il 24 luglio 1944. L’arresto dei due giovani avvenne in circostanze misteriose: non si sa se i ragazzi erano partigiani, se cercavano un rifugio per sfuggire ai rastrellamenti o se stavano raggiungendo i loro parenti. Arrestati e seviziati dal tenente Wickmann, Bruno e Foscarino vennero torturati dai tenenti Hrause, Wick e Pohl ed impiccati ai lampioni di Piazza del Popolo.
Il Caso Collini (Der Fall Collini) è anche un film tedesco del 2019, trasmesso lo scorso anno in prima tv su RaiTre. Fabrizio Collini è interpretato dal nostro bravissimo Franco Nero.

Beniamino Colnaghi

La strage di Vinca: si veda il post pubblicato il 25 gennaio 2018.


                                                                                                                    

sabato 9 gennaio 2021

Quando in Brianza c’era il contadino…

di Giulio Oggioni (storico verderiese)

Mese per mese, tutti i lavori dei campi: la vangatura e l’erpicatura, la semina e la raccolta del granoturco, la trebbiatura del grano e la festa dell’uccisione del maiale in inverno

Raccontare la vita contadina della nostra Brianza vuol dire parlare di moltissimi decenni fa, quando tutte le famiglie “vivevano sulla terra”. Infatti, l’agricoltura era l’unica fonte di guadagno della famiglia e determinava pure il regime alimentare ed economico della gente. 

Nei nostri paesi, sia le terre che le abitazioni erano di proprietà di poche famiglie facoltose, per le quali si pagava, fino al 1924, una forma di mezzadria. Il contadino doveva dividere il suo raccolto con il proprietario per pagare l’occupazione dell’abitazione e la lavorazione delle terre.
Ma quali erano i lavori del contadino? Eccoli in breve.
I lavori dei campi seguivano un andamento preciso per tutto l’anno ed i primi lavori iniziavano quasi sempre nel mese di febbraio, quando il gelo e la neve allentavano la presa e il tempo solare si allungava di un’oretta circa.
In febbraio, dopo la concimazione del terreno con il letame delle stalle, si iniziava la vangatura, un lavoro duro e cerimonioso da farsi sempre con gli stessi tempi e movimenti della vanga. Si vangava due volte all’anno: in primavera per preparare la semina del granoturco e in autunno per quella del frumento. Dopo l’aratura si provvedeva all’erpicatura, per spaccare le dure zolle e rendere la terra più friabile e pronta ad accogliere la semina.
Poi, tra marzo ed aprile, si piantavano le patate, dividendo in tre o quattro parti un tubero in germoglio e posti in buche profonde una quindicina di centimetri e distanziate una trentina una dall’altra. Le patate erano il “secondo piatto” di tutta la famiglia contadina e la crescita delle piante era seguita dalle donne di casa che provvedevano alla disinfestazione degli animaletti che mangiavano le foglie. Questi animaletti, gialli e neri, erano brutti da vedersi e, pare, fossero stati portati dagli americani durante la Seconda guerra mondiale.
In primavera si iniziava anche la coltivazione del baco da seta che nasceva da una falena, una grossa farfalla che depositava centinaia di uova. Appena nati, i bachi, affamati, iniziavano a mangiare le foglie di gelso, giorno e notte, e nel giro di sei settimane salivano sui rametti che il contadino preparava per prepararsi una casa, ovvero il bozzolo. Per costruirlo usava la sua stessa saliva che, a contatto con l’aria, si solidificava formando un filo leggerissimo di seta. A metà giugno, il contadino raccoglieva i bozzoli maturi e li vendeva per la successiva lavorazione della seta. Il filo del bozzolo poteva raggiungere anche i 900 o 1.000 metri.    
Se la raccolta era ottima, il guadagno per la famiglia era certo, se era scarsa significava la fame e la rinuncia a qualche necessità per la casa.
In aprile iniziava la semina del granturco, un lavoro di grande fatica per il continuo ripiegamento della schiena del contadino, che da eretto si abbassava per deporre i grani nella terra che teneva nella bisaccia, appena attorno alla vita. Nello stesso mese il contadino si occupava della preparazione dell’orto, con la semina che andava fatta durante la luna calante e mai crescente.
A maggio c’era la prima falciatura dell’erba che, dopo l’essicazione di un paio di giorni, diventava fieno e serviva in inverno per l’alimentazione degli animali della stalla.
Intanto il frumento cresceva a vista d’occhio e le spighe si indoravano. Allora il lavoro del contadino di faceva particolarmente intenso con l’inizio della mietitura che avveniva quasi sempre a metà mese e terminava alla fine. Per la mietitura occorreva l’aiuto di tutti i componenti della famiglia, donne e bambini compresi che, alla sera, raccoglievano i covoni che venivano portati sull’aia per formare enormi cataste a piramide.

Mietitura manuale del frumento

Trebbiatrice dei fratelli Sala di Verderio Inferiore

Nel mese di luglio arrivava la trebbiatrice, la “machina de batt” che portava grande allegria in tutta la corte, ma anche giorni di grande fatica e polveroni. Il grano venduto era uno delle poche risorse della famiglia contadina sulle quali poteva fare affidamento per programmare le spese dell’intero anno.
Anche per questo lavoro occorreva l’aiuto di tutta la famiglia. parenti e vicini compresi. Ai ragazzi veniva affidato il compito di salire sulle cataste per gettare i covoni alla persona che doveva infilarli nella bocca che dava inizio al processo di separazione dei chicchi dalla paglia. Altri contadini erano addetti al trasporto delle balle di paglia, mentre altri a raccogliere il grano nei sacchi e portarli al riparo sotto i porticati. Alle donne, il compito di provvedere alle necessità dei lavoratori, in particolare portare qualche bicchiere di acqua fresca per soffocare l’arsura della gola.
Poi seguiva qualche giorno di riposo, ma pochi, perché a fine mese o ai primi di settembre iniziava la raccolta delle patate. Prima di portarle a casa, venivano lasciate un giorno al sole affinché la terra umida che le ricopriva seccasse e le patate fossero ben pulite. Bisognava però curarle perché i furti erano all’ordine del giorno.
A settembre iniziavano anche i lavori della raccolta del granoturco. Le pannocchie, ad una ad una, venivano staccate dal fusto e ammonticchiate nel campo, in attesa di essere portate sotto i porticati della corte e della cascina. Alle pannocchie venivano poi tolte le foglie, tranne due o tre che servivano per essere legate tra loro per formare dei mazzi che venivano appesi ai soffitti fino all’inverno.
E l’inverno iniziava con i primi giorni di novembre, con l’arrivo delle fitte nebbie e dei primi freddi e, quasi sempre, fitte e abbondanti nevicate nel mese di dicembre. Le famiglie contadine allora si ritiravano nel caldo delle stalle. Gli uomini provvedevano alla fabbricazione o alla riparazione degli zoccoli e degli arnesi per i lavori dei campi, mentre le donne si dedicavano ai rammendi della biancheria, specialmente le calze e le maglie di lana che servivano per il lungo inverno.
Ma prima della fine dell’inverno avveniva un grande avvenimento sul quale si concentrava l’attenzione dell’intera famiglia contadina: l’uccisione del maiale.
I ragazzi e le donne avevano il compito di sorvegliare l’acqua messa a bollire nel grande calderone, mentre gli uomini si occupavano di trascinare il maiale al “patibolo”. Allora era una grande festa, oggi, con grande sincerità, una barbarie per il povero maiale che strillava a più non posso, consapevole della sua fine. Il tutto era giustificato dal fatto che la sua immolazione consentiva la sopravvivenza decente di tutta la famiglia contadina per l’intero anno. Dalle sue carni si ricavavano i vari tipi di salame e mortadelle; dalla cotenna il lardo, l’unico condimento di allora e dai resti delle vertebre, le costine, che servivano per preparare il piatto tipico della Brianza, la “casoeula” con la polenta, ancora oggi molto apprezzata.
Subito dopo questo grande avvenimento, riprendeva il ciclo dei lavori dei campi come è già stato descritto e le giornate dei contadini procedevano lineari, fino alla monotonia, per tutti i giorni dell’anno.
Questi erano i principali lavori del contadini di una volta che, nelle scuole dei nostri paesi, vengono riproposti con grande interesse ai ragazzi, affinché comprendano che il grande benessere di oggi è anche frutto delle grandi fatiche di una volta.