venerdì 28 novembre 2014

Il massacro del Sand Creek
 
Denver, Colorado, 28 settembre 1864. Nella foto capi Cheyenne e Arapaho. Pentola Nera è il secondo da sinistra della prima fila (foto nel pubblico dominio da Wikipedia.org). 

 
Sono trascorsi 150 anni dal massacro del Sand Creek.
 
All'alba del 29 novembre 1864 una colonna di oltre 700 soldati americani, comandati dal colonnello John Chivington, giunse al campo Cheyenne e Arapaho sul fiume Sand Creek, oggi nello stato del Colorado. La maggior parte degli indiani maschi adulti era più a est, a caccia delle mandrie di bisonti e la maggioranza dei 600 nativi presenti nel campo erano anziani, donne e bambini.
A dispetto dei vari trattati di pace firmati dai capi tribù locali con il governo statunitense, Chivington ordinò di aprire il fuoco e massacrare quanti più indiani possibili, anche donne e bambini. Il capo Cheyenne, Mokatȟavataȟ, in italiano Pentola Nera, aveva fatto innalzare accanto alla sua tenda conica un alto palo di legno a cui aveva fissato una grande bandiera degli Stati Uniti d’America. Gli indiani erano cittadini americani. Non appena i soldati si avvicinarono al campo, il vecchio capo Cheyenne urlò alla sua gente di radunarsi sotto la bandiera. Ma questo non servì. L’attacco fu terribile, indiscriminato, un vero massacro. Il numero esatto delle vittime del Sand Creek non fu mai chiarito ma, da stime e testimonianze attendibili, si parlò di un numero tra i 150 e i 170 indiani uccisi.

I responsabili del massacro non furono mai perseguiti.

lunedì 17 novembre 2014


Milano, le vecchie bancarelle di libri usati

Nelle più rinomate vie e piazze della vecchia Milano, parliamo dei primi decenni del Novecento, erano dislocate diverse bancarelle che vendevano libri usati. Ce n’erano delle più disparate. Certe bancarelle erano specializzate in filoni ben precisi, altre proponevano tutto quello che riuscivano a trovare e spesso reclamizzavano offerte speciali e maggiori sconti se si acquistavano più libri.

Porta Venezia, ad esempio, aveva il più alto numero di bancarelle. A dire il vero non erano vere e proprie bancarelle, ma carretti con ruote, facilmente spostabili, attrezzati con cassette e piccoli scaffali per disporvi i libri.
Una di queste bancarelle apparteneva ad un signore sempre vestito di nero che aveva l’aria mefistofelica: occhialini d’oro, calvo, pizzetto ben stirato. Sul suo conto correvano strane voci. Si diceva che fosse un avvocato cancellato dall’albo per qualche oscura ragione. Ma era molto abile nel proporre e vendere i libri. Aveva la mania dei vecchi periodici e degli almanacchi ottocenteschi. Legato al carretto con una corda c’era un grosso pacco che conteneva le annate del giornale anticlericale L’asino. Poi aveva le raccolte dei grandi processi pubblicati da Sonzogno. Intorno alla bancarella, a sfogliare e a prendere appunti, s’incontravano talvolta giornalisti che s’occupavano di cronaca nera, magistrati e avvocati alle prime armi.
Scostata di qualche metro, c’era invece la bancarella di una signora che portava sempre una sciarpa verde. Era una fanatica della lirica, un irriducibile loggionista. Infatti si era specializzata in libretti d’opera. Se ne trovavano, ammucchiati ed alla rinfusa, in edizioni popolari a cinquanta centesimi mentre in una cassetta teneva le edizioni di pregio.
La bancarella più popolare, anche per via della simpatia che sprigionava il suo proprietario, era quella di un vecchio che fumava sempre una piccola pipa. Fumatore impenitente, non si toglieva la pipa di bocca neanche per parlare. Aveva la barba incolta e sudicia ma era un uomo dal buon carattere, paziente e conciliante sul prezzo. Aveva un po’ di tutto: dai romanzi francesi e portoghesi ai libri di devozione e trattati di grafologia.
I bancarellari di Porta Venezia non si concedevano mai vacanza, tranne che alla domenica. D’inverno sfidavano il freddo coperti con cappellacci, pastrani e cappotti incatramati.


Milano, una bancarella di libri in Piazza Mercanti
Sui gradini del Palazzo della Ragione, in via dei Mercanti, pieno centro città, esponeva un tipo con  barba e capelli da Mosè e le orecchie turate da peli grigi che gli si arricciavano intorno ai lobi. Dal nome e dal fisico pareva fosse Ebreo. Il libraio acquistava dai critici, che li avevano ricevuti per recensirli, libri appena comparsi in libreria e li vendeva a metà prezzo. Dopo alcuni anni si trasferì in piazza Mentana ed il suo posto fu preso dai Finzi, padre e figlio, il quale, quest’ultimo, aprì più tardi un rifornito antiquariato di libri usati e stampe in Foro Bonaparte.
Un’altra zona della città che vedeva la presenza di bancarellari era Largo Cairoli. C’era un uomo di mezza età, strambo e poco simpatico e non era uno che praticava sconti, anzi, molto spesso, a seconda dell’acquirente, aumentava il prezzo con mille pretesti. A Largo Cairoli si trasferì, dal passaggio Santa Margherita, un altro bancarellaro, che a causa della sua barba aggressiva veniva chiamato familiarmente il “Barbetta”. Negli anni Trenta si è ritirato dalla piazza e l’attività è stata prelevata dal figlio, che ha aperto un negozio di antiquariato librario nella non lontana via Camperio.

Milano, la "moderna bancarella" di Piazza Cairoli 
Una modesta bancarella di libri era stata installata di fronte alla chiesa di San Carlo, ma non vendeva molto, il luogo non era adatto. Nel quartiere Brera, invece, bancarelle ve n’erano parecchie. In via Fiori Oscuri si era collocato un libraio assai stravagante. Non aveva una vera e propria bancarella, ma disponeva i libri e una scatola di legno che emanava un buon odore di tabacco su uno sdrucito zerbino di un atrio d’albergo. La scatola di legno doveva aver contenuto dei sigari cubani, ma il venditore vi aveva riposto dei santini d’occasione. Appoggiate al muro vi erano delle stampe in quadrante in passe-partout di cartone. Il libraio era un uomo di mezza età, ben conservato, in giacca di velluto che gli dava l’aria di un pittore bohémien. Non stava mai fermo e spesso andava in giro per restar via delle ore. Se qualcuno chiedeva di lui guardandosi intorno, v’era sempre il portiere dell’albergo o un negoziante che rispondeva in vernacolo: “L’è andaa a fà on poo d’acqua, ma el ven subit”. Le stampe provenivano perlopiù da Vienna ed erano databili intorno al Sette-Ottocento. I santini venivano dalla Spagna ed erano stampati su carta-tela e dipinti a mano. Sul retro recavano la leggenda del santo o della santa che riproducevano.
In piazza Cordusio, solo per alcuni mesi, un giovane magro e giallognolo, dalle orecchie a sventola, vestito con una giacchetta nera e striminzita esponeva i suoi libri sulla scalinata dell’allora palazzo della Borsa. Non era di Milano. Era toscano, di Lucca. Aveva fatto richiesta alle autorità ed aveva ottenuto quel posto. Era figlio di povera gente e grazie a una ricca signora che pagava la retta, l’avevano messo in seminario. Purtroppo si era ammalato e i superiori avevano consigliato i genitori di tenerlo a casa e curarlo. Da allora aveva fatto un po’ di tutto: il galoppino per un notaio, il commesso d’una bottega d’oggetti sacri, il lavapiatti in un’osteria. Poi aveva conosciuto una ragazza ed aveva combinato il guaio, ma aveva riparato prima ancora che il pargolo nascesse. Verso la fine degli anni Venti, era arrivato a Milano con la moglie ed il figlio grazie all’interessamento di un gerarca fascista. Le speranze erano molte, ma i libri pochini, per una città come Milano. Il posto era buono, di largo transito, ma egli, tra una tossita e l’altra, da spezzare il cuore, si lagnava sempre di non trovare i libri. Era tisico all’ultimo stadio ed il clima di Milano certo non gli giovava.  Poi, dopo qualche mese, prese il suo posto una donnetta in scialle nero: era la moglie in lutto. I milanesi, brava gente, l’avevano aiutata, ma non ha resistito a lungo da sola a Milano; è ritornata a Lucca dai suoi, riprendendo il suo lavoro di cardatrice di lana.

Milano, Piazza Cordusio in una foto degli anni Trenta
All’apertura della Fiera di Porta Genova, che poteva durare da una settimana a un mese, immancabilmente giungeva il bancarellaro di Massa Carrara. Era un pioniere della diffusione del libro che portava con la bricolla fin nelle più remote valli delle Alpi Orobiche e nella Pianura Padana. In Lombardia si leggeva di più che in altre regioni. La grande bancarella era aperta e illuminata fino a mezzanotte. Appeso al palo centrale era affisso un cartello a caratteri cubitali: “Chi non legge è un …oca”. Sulla bancarella c’erano i migliori romanzi dell’epoca e opere prime dei più grandi autori. Il venditore praticava sconti eccezionali, tanto più alti quanti più libri si compravano.
C’è stato un certo Arnaboldi, che qualcuno suppose figlio di un garibaldino milanese, che produceva disegni con inchiostro di china. Una cartella, da titolo Milano perduta, che conteneva quindici tavole firmate Arnaboldi, era in vendita presso un vecchio libraio che esponeva in piazza Cavour, sulla spalletta del Naviglio. Era un vecchio poco simpatico, che fumava sempre la pipa e guardava con indifferenza gli eventuali acquirenti. Oltremodo vendeva poco, perché era caro e non mollava sul prezzo. Ogni tanto aveva libri intonsi e fondi di magazzino, che smaltiva con lentezza. Per lo più erano libri di autori sconosciuti, fatti stampare a proprie spese, ma c’erano anche libri, pochi, di autori non del tutto ignoti.

Beniamino Colnaghi