giovedì 25 gennaio 2024

27 gennaio: “Giorno della Memoria”

Tre civili inermi uccisi a Cucciago il 18 luglio 1944 dai repubblichini fascisti

L’articolo 1 della legge 20 luglio 2000 n. 211 definisce così le finalità del Giorno della Memoria:

«La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati».

A quasi 80 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, continua a persistere la sensazione che alcuni momenti della nostra storia siano destinati a non passare mai, a riaffiorare periodicamente come carne viva, come ferite mai rimarginate. Il peso che il ventennio fascista, in particolare il tragico biennio di guerra civile, esercita ancora sul nostro presente, continua ad alimentare polemiche e vergogna. Odio, persino. Qui in Italia risulta ancora difficile elaborare una memoria collettiva  di quegli avvenimenti, che mantengono intatta la capacità di esacerbare gli animi, segno che il nostro Paese non è riuscito a fare i conti con il proprio recente passato, come ha fatto, meglio di noi, la Germania con il nazismo.

Dalla metà del 1942 alla Liberazione dell’aprile 1945 in alcune località della Brianza vi fu un susseguirsi di fatti drammatici, attentati, eccidi che coinvolsero anche cittadini innocenti e inermi. “Nella primavera del 1944, nel Canturino, si organizzano e agiscono sul territorio diversi Gap/Sap, tra i quali il Gap di Cascina Amata, comandato da Luigi Mauri, quello di Cascina Cavanna, guidato da Adelino Borghi, la Sap diretta da Nello Frigerio che agisce all’interno e all’esterno delle fabbriche” (https://www.straginazifasciste.it/wp-content/uploads/schede/CUCCIAGO%2018.07.1944.pdf.)
Uno dei  fatti di sangue che riguardò i civili fu l’assassinio di Maria Borghi, del marito Giuseppe Meroni e di Giovanni Battocchio, soprannominato Carnera per la sua prestanza fisica, avvenuto nel centro di Cucciago, provincia di Como, per mano di tre repubblichini fascisti, appartenenti alla famigerata banda Paone
Gli autori del massacro erano sulle tracce di alcuni fiancheggiatori di partigiani accusati di aiutare ebrei e renitenti alla leva a espatriare. Se il processo svoltosi nel novembre 1945 condannò inoppugnabilmente i colpevoli, il ruolo delle tre vittime non fu sufficientemente chiarito, lasciando scoperto l’alone del dubbio.
La stampa locale, ovviamente in mano al regime, riferì l’eccidio di quel tragico 18 luglio come un’eroica azione condotta da tre agenti della questura di Como contro un gruppo di banditi armati che “per lucro o per basso calcolo si pongono fuori di ogni legge”. Carnera sarebbe stato ucciso nel tentativo di fuggire, “ma raggiunto dal fuoco preciso dei giovani agenti, poco dopo stramazzava sulla strada, ucciso da cinque proiettili nella schiena.” Nel tentativo di sottrarsi all’arresto i coniugi Meroni avrebbero assalito uno degli agenti. “Questi - riferì il quotidiano comasco – in procinto di essere sopraffatto fece uso dell’arma colpendo mortalmente i due coniugi”.  
“In realtà i fatti pare si svolsero diversamente e presentano notevoli discrepanze rispetto alla cronaca riportata dalla stampa allineata alle direttive del regime. I capi di imputazione del processo svoltosi a Como presso la Corte di assise speciale fra il 21 novembre e il 5 dicembre 1945, ricostruiscono i diversi momenti di quella tragica giornata, insieme al profilo dei tre assassini e del loro comandante, che nel corso di quei mesi si macchiarono di un inaccettabile numero di crimini.” (1)
Ecco i loro nomi: Giuseppe Paone era dirigente dell’ufficio politico della questura e comandava il reparto speciale della polizia di Como. Gli astigiani Eugenio Pugno e Pietro Accornero insieme a Gianfranco Bartoletti, all’epoca dei fatti appena diciottenne, furono gli esecutori materiali del triplice assassinio. La “banda Paone”, una delle tante formazioni di polizia speciale che agiva alle dipendenze del capo della provincia, prendeva il nome dal suo comandante, Giuseppe Paone. Si distinse in operazioni di infiltrazione, rastrellamento ed in esecuzioni particolarmente efferate di partigiani. Aveva sede in via Malta, 124, luogo di detenzione e tortura. I crimini compiuti da Paone e dai suoi agenti furono riconosciuti nel dopoguerra dalla Sezione speciale della Corte d’assise di Como.
“Secondo la ricostruzione emersa nel corso del dibattimento - continua Casartelli - alle prime luci dell’alba del 18 luglio 1944 giunsero da Como (a Cucciago ndr) una quindicina di agenti in abiti borghesi, appartenenti alla squadra “speciale” del tenente Paone. Com’era ormai abituale, si trattava di un’azione finalizzata all’individuazione di fiancheggiatori di partigiani. In prossimità del paese il Paone suddivise i suoi uomini, i quali, fingendosi militari sbandati intenzionati ad unirsi a qualche gruppo di partigiani, si dispersero nelle diverse direzioni. Una giovane donna si lasciò suggestionare da Accornero e Pugno e, convinta di aiutare due giovani sbandati, si offerse di accompagnarli all’osteria del Dopolavoro, in centro al paese, dove avrebbero potuto avere informazioni più precise.”

Maria Borghi e Giuseppe Meroni in una foto giovanile


I militi fascisti avevano informazioni che a Cucciago abitava il gappista Bruno Battocchio, “Secondo”, fratello di Giovanni. I gestori dell’osteria erano Giuseppe Meroni e la moglie Maria Borghi. Entrati nell’osteria parlarono con il Meroni, il quale “…li rassicurò asserendo che avrebbe potuto aiutarli a varcare il confine oppure a entrare in clandestinità, ma in questo caso avrebbe dovuto metterli in contatto con una persona in grado di provvedere a tutto”.  I due fascisti, dopo essersi allontanati con una scusa, ritornarono accompagnati dal Bartoletti e trovarono il Meroni in compagnia di Giovanni Battocchio “Carnera”, da poco entrato nelle fila della Resistenza. A quel punto ebbe inizio la strage. Uno dei tre repubblichini estrasse due pistole e sbarrò l’uscita del locale. Il Battocchio, a mani alzate, cercò di andare verso l’uscita ma venne colpito da alcuni colpi di pistola, mentre gli altri due militi fascisti, l’Accornero e il Pugno, spararono contro il Meroni. La moglie di quest’ultimo, cercando di fargli da scudo con il proprio corpo, venne colpita anch’essa da un colpo di pistola. L’eccidio era consumato, tre cadaveri erano al suolo.
L’intera scena si svolse in brevi istanti. L’eccitazione della sparatoria aumentò l’ostilità dei militi che minacciarono di incendiare il paese, covo, così affermarono, di partigiani e fiancheggiatori e di esporre i tre poveri corpi nel centro di Como, come monito per la popolazione di tutta la provincia. Fortunatamente, poco dopo la strage, intervenne Carlo Porta, un giovane del posto nominato da poco tempo commissario prefettizio, il quale impose la propria autorità politica ai militi fascisti e placò l’eccitazione e la rabbia dei presenti.
Rinviati a giudizio alcuni mesi dopo la Liberazione, nel corso del dibattimento gli imputati accamparono scuse e pretesti per giustificare le loro terribili gesta ma vennero categoricamente smentiti da tutte le testimonianze dei testimoni. “Hanno ucciso solo per uccidere – affermò la testimone Teresa Morelli – senza alcuna necessità, neppure di difesa.”
Con sentenza del 21 gennaio 1946, Giuseppe Paone e altri 7 agenti del suo reparto speciale di polizia vennero condannati dalla Sezione sociale della Corte di Assise di Como. Paone e i tre responsabili dell’uccisione di Giovanni Battoccchio, Giuseppe Meroni e Maria Borghi, vale a dire Bartoletti, Accornero e Pugno furono condannati alla pena capitale. Con sentenza del 10 marzo 1948, la Corte di assise di Milano commutò la pena di morte in ergastolo.

In Piazza Martiri della Libertà a Cucciago è stata posta una lapide con la seguente scritta: “A Giuseppe Meroni Maria Borghi e Giovanni Battocchio martiri dell’eterna libertà, qui trucidati dai fascisti il 18 luglio del 1944, il ricordo di tutti gli uomini che in Italia e nel mondo cercano la giustizia, la libertà, la pace. Cucciago, 25 aprile 2009”.

Beniamino Colnaghi  

Note

(1)   Tiziano Casartelli, 18 luglio 1944 – 75 anni fa la strage di tre inermi civili a Cucciago, Canturium, 2019 

Stragi nazifasciste, episodio di Cucciago del 18 luglio 1944:

https://www.straginazifasciste.it/wp-content/uploads/schede/CUCCIAGO%2018.07.1944.pdf

  

mercoledì 17 gennaio 2024

La musica di Vittorio Gnecchi – La “Missa” rappresentata a Verderio Superiore

di Giulio Oggioni

Venerdì 27 ottobre 2006: questa data rimarrà nella storia non solo di Verderio Superiore, ma anche in quella della grande musica operistica.
E’ stato il giorno della prima rappresentazione nazionale della Missa Salisburgensis, un’opera religiosa scritta da Vittorio Gnecchi Ruscone.
Per questa occasione, l’Associazione Musicale Vittorio Gnecchi di Milano, nata qualche anno fa proprio per rivalutare la musica del grande maestro, amatissimo all’estero e dimenticato in Patria, ha scelto la chiesa parrocchiale di Verderio Superiore per la sua esecuzione.
La chiesa, dedicata ai santi Giuseppe e Floriano, fu voluta dalla Famiglia Gnecchi e venne consacrata dal cardinale Ferrari di Milano nel 1902. In essa, Vittorio ed i familiari si recavano ad ascoltare la Santa Messa domenicale in un apposito palchetto accanto all’altare maggiore, abbellito dalla splendida Pala d’altare di Giovanni Canavesio, del 1499.
Ad interpretare l’opera religiosa è stato chiamato il Coro della Cappella Musicale del Duomo di Milano, diretto dal maestro Claudio Riva. Ad assistere alla “prima”, sono giunte a Verderio oltre cinquecento persone: molti appassionati, discendenti del casato, semplici curiosi per lo straordinario avvenimento, ma soprattutto cittadini di Verderio e dintorni che avevano sentito raccontare dai loro genitori dei grandi successi musicali che il maestro riscuoteva agli inizi del Novecento, ma che, prima di questo giorno, non avevano mai potuto ascoltare neppure una nota delle sue opere.


Vittorio Gnecchi Ruscone



Il Coro della Cappella Musicale del Duomo di Milano e, sotto, parte del pubblico presente



Chi leggerà questo resoconto, sicuramente avrà già sentito parlare di Vittorio Gnecchi, ma forse non conosce la sua travagliata storia musicale. Per questo, molto brevemente, cercheremo di ricordare i fatti principali della sua vita e le sue opere.
Vittorio, figlio del grande numismatico Francesco Gnecchi, nacque a Milano il 17 luglio 1876, in via Filodrammatici, fiancheggiante proprio il Teatro alla Scala.
Giovanissimo, grazie alla disponibilità economica della famiglia e attratto dalla musica operistica dell’epoca, venne affidato ad alcuni insegnanti illustri, quali Michele Saladino (maestro anche di Mascagni e De Sabata) e Gaetano Coronaro, condiscepolo di Tullio Serafin. Vittorio aveva nel sangue la musica e ben presto si impose anche nelle composizioni operistiche.
Appena maggiorenne, si trasferì con la famiglia nella sfarzosa villa di Verderio Superiore, posta al centro del paese e acquistata nel 1885 dagli eredi del conte Luigi Confalonieri.
Giovanetto, esattamente il 26 ottobre 1896 (che coincidenza con la data recente di Verderio) nel teatrino appositamente allestito nella villa, fu eseguita la sua prima opera Virtù d’amore che ebbe subito un vastissimo successo di critica. Fu solo l’inizio  delle sue creazioni musicali e già nel 1902, con il famoso librettista Luigi Illica, che scrisse il testo, compose la musica di Cassandra, che sottopose all’attenzione di un amico di famiglia: Arturo Toscanini. Tanto fu l’entusiasmo del maestro che ottenne di dirigere la “prima” dell’opera il 5 dicembre 1905 al Teatro Comunale di Bologna.
Il successo fu travolgente, ma non mancarono anche le critiche verso il giovane rampollo della facoltosa famiglia milanese, accusata talvolta anche di imporre il giovane maestro. Le parole della critica furono: “un dilettante troppo ricco  per una musica troppo tedesca”.
Ma il destino della sua Cassandra serbava altre sorprese. A Dresda, il 25 gennaio 1909 ebbe luogo la prima rappresentazione di Elettra di Richard Strauss, il grande e riverito compositore austriaco, ma anche molto temuto per le sue bizzarre richieste e pretese, imposte soprattutto per la sua fama in tutta Europa. Gli attenti critici notarono immediatamente le sorprendenti analogie musicali che legavano le due opere e subito accusarono Vittorio Gnecchi di plagio.
Nonostante queste critiche, il 29 marzo 1911, la Cassandra venne rappresentata a Vienna, città di Strauss, con grande successo dell’autore, chiamato una trentina di volte sulla scena. E dopo Vienna l’opera ebbe altri successi in tutto il mondo, ma per “non dispiacere” il grande Strauss, tutti i teatri d’Italia chiusero le porte al talento italiano.
La verità venne a galla solo dopo diversi anni. Vittorio, frequentatore dei teatri europei, aveva incontrato il compositore austriaco prima della rappresentazione di Cassandra del 1905 e gli aveva donato una copia della partitura, chiedendo un suo giudizio, che non arrivò mai.
Arrivò però l’Elettra con le sue analogie musicali. Dunque chi aveva copiato non era stato certo Vittorio Gnecchi! Avvilito, ma ancora combattivo, tanto da inviare più lettere di difesa ai responsabili del governo per illustrare i torti subiti (una lettera anche al giovane responsabile culturale, Giulio Andreotti) il maestro si ritirò a Salisburgo dove trovò la sua isola felice, alla quale dimostrò tutta la sua gratitudine.


Vittorio Gnecchi a Salisburgo

Compose altre opere, come Rosiera, Judith e altri pezzi per orchestra, Cantata Biblica, Invocazione Italica, Atlanta e anche opere religiose, come O Sacrum Convivium, Salve Regina. Piccola Madre e un’ Ave Maria a tre voci.
Nel 1932 gli venne commissionata dal direttore Joseph Messner una Messa solenne che si tenne poi il 23 luglio 1933 nel Duomo di Salisburgo.
La seconda rappresentazione di questa straordinaria opera religiosa venne data il 13 febbraio 1954 nel Duomo di Innsbruck, a commemorazione della scomparsa del grande maestro, avvenuta a Milano il precedente 5 febbraio.
In Italia, nonostante diversi tentativi della famiglia per ottenere il giusto riconoscimento, il suo nome venne dimenticato. Grazie a fortunose scoperte di alcuni suoi spartiti in Francia, la Cassandra  è stata riproposta solo nella forma musicale e con la magistrale interpretazione di Denia Mazzola Gavazzeni, il 13 luglio 2000 al Teatro dell’ Opera di Montpellier, in Francia.
E dopo ben 53 anni, con la Missa Salisburgensis la grande musica del maestro verderiese ha fatto ritorno in Patria, a Verderio Superiore, tra la sua gente che fortemente lo ha amato, stimato e sostenuto. Mai così tanta gente si è vista nella nostra splendida chiesa come la sera della rappresentazione. Questo avrà fatto certamente felice il maestro e con lui sicuramente anche la nipote Vittoria Greppi Carlotti (nata dal matrimonio della figlia Isabella Gnecchi con l’ammiraglio Franco Greppi di Casatenovo) che si adoperò con tutte le sue forze e fino all’ ultimo respiro per la riabilitazione del nonno. Tanto fece che convinse la grande schiera dei parenti a fondare l’Associazione che porta il nome del maestro.
Il destino e la Provvidenza, seppur dopo mezzo secolo, ha riabilitato Vittorio Gnecchi e la rappresentazione della Missa Salisburgensis ha gettato le basi per altre. La prima a Berlino, con Cassandra, programmata il 7 novembre 2007 e repliche nei giorni successivi. 
Ora la speranza è quella che il grande sogno di tutti non svanisca di nuovo, come in passato.
Il 27 ottobre 2006 segna l’alba di un nuovo giorno con il ritorno ai meritati successi della musica di un grande maestro italiano: Vittorio Gnecchi Ruscone,

Nota

Le fotografie mi sono state gentilmente concesse da Giulio Oggioni