martedì 26 settembre 2023

Sono trascorsi 80 anni dalla Milano bombardata del 1943

L’estate del 1943 è un tornante decisivo della Seconda guerra mondiale. La Germania nazista è in difficoltà, gli Alleati avviano la controffensiva. Il territorio italiano diventa sede di pensantissimi scontri di guerra: dal cielo, da terra, dal mare, oltre che segnato da una lacerante e sanguinosa guerra civile. Nel luglio 1943 avviene lo sbarco degli Alleati in Sicilia, poi il primo bombardamento su Roma e a seguire la caduta del fascismo e le dinamiche che porteranno all’armistizio dell’8 settembre.
Dai cieli della capitale la guerra aerea si muove verso le città del Nord. Siamo ai primi giorni di agosto 1943, un intervallo di pochi giorni  per confermare la strategia anglo-americana, volta a colpire al cuore l’alleato italiano del Terzo Reich, attraverso bombardamenti con un’intensità senza precedenti. I vertici militari inglesi e americani non sono inizialmente concordi su come e dove condurre i bombardamenti, ma con il mese di agosto la scelta diventa quella di colpire le città italiane del triangolo industriale, Milano, Torino e Genova, in linea con urgenti ordini politici. Il 7 e l’8 agosto dalle basi inglesi si alzano in volo quasi 200 Lancaster divisi in tre formazioni. A ogni gruppo viene affidato il perimetro di una città da colpire; il secondo si occupa del cielo sopra Milano. Gli esiti sono immediati e drammatici. Colpiti e distrutti o seriamente danneggiati stabilimenti industriali, infrastrutture, edifici civili e monumenti. Tra i monumenti e le opere danneggiate o perse per sempre figurano un’ala della pinacoteca di Brera, il Teatro alla Scala e dei Filodrammatici, la Galleria Vittorio Emanuele, alcune guglie del Duomo, la sede del Comune di Palazzo Marino, l’Arcivescovado, il Castello Sforzesco, Santa Maria delle Grazie, dove si trova il Cenacolo di Leonardo da Vinci. E molto altro ancora. 



I bombardamenti di alcuni monumenti simbolo di Milano, dall'alto: Basilica di Sant'Ambrogio, Galleria Vittorio Emanuele II, Teatro alla Scala (Fonte Wikipedia.org bombardamenti di Milano, foto nel pubblico dominio) 


Il 9 agosto il quotidiano milanese, il Corriere della Sera, titola: Il bombardamento terroristico di Milano e il giorno successivo pubblica con risalto le foto dei danni sotto il titolo Dove è passata la RAF. Iniziano i conteggi dei morti e dei feriti e le valutazioni sulle strategie di condotta della guerra. Tra il 12 e il 13 agosto sono oltre 500 i bombardieri che lasciano le basi inglesi per far rotta verso il Nord Italia. Milano è l’obiettivo principale, punto di riferimento per i piloti. Il bilancio è drammatico, un primato per l’Italia che resta ineguagliato, tra bombe e ordigni incendiari scaricati. Una forza imponente e una tempesta di fuoco che si abbatte su una città fortunatamente semi deserta. La guerra rompe ogni argine fino a coinvolgere popolazioni civili innocenti e intere comunità.
La città è in ginocchio, senza gas e energia elettrica, con le linee dei tram divelte dalle esplosioni e le vetture del trasporto pubblico inservibili. Manca l’acqua potabile e il cibo. Si stimò che il calcolo delle vittime potesse aggirarsi intorno a 500. Ma la guerra continua, non ammette soste nelle afose notti successive. Milano è al centro di nuovi attacchi che si spingono fino al 16 agosto. Nelle quattro grandi incursioni aeree dell’agosto 1943 oltre il 15% degli edifici cittadini è stato colpito o comunque danneggiato in modo rilevante.
Il colpo è profondo, la ferita non si cancella ma la città non muore, anzi.
La guerra prosegue attraverso altre prove impegnative fino alla primavera del 1945 quando la Liberazione di Milano, il 25 aprile, sarà il segno della fine del conflitto e della tirannia fascista e dell’inizio di una nuova storia.
Le parole di Antonio Greppi, primo sindaco di Milano dopo la Liberazione dal nazifascismo, esprimono il carattere e la voglia di riscatto dei milanesi: “Molto si è distrutto, ma noi tutto ricostruiremo con pazienza e con la più fiduciosa volontà. Ricomincia la storia degli uomini che credono soltanto nelle proprie virtù e nelle proprie opere e che considerano la libertà come la continuazione non prescindibile dell’adempimento consapevole dei propri doveri”.

Beniamino Colnaghi

Di seguito sono elencati alcuni post che trattano fatti avvenuti durante la Seconda guerra mondiale in Brianza:


lunedì 11 settembre 2023

Brianza: radici, storia ed evoluzione


Su questo blog sono presenti numerosi articoli, o post, come direbbero i blogger più ortodossi, che trattano argomenti di natura sociale, storica, economica e ambientale relativi ad un’area posta a nord di Milano, che oggi si divide sostanzialmente tra le province di Monza e Brianza, Como e Lecco. Questa terra è la Brianza,  da sempre una terra contadina, un polmone verde, un territorio ricco di boschi, dolci colline, cascine e campanili, vissuta da genti laboriose e produttive. In questa plaga lombarda i borghesi e le più affermate famiglie aristocratiche milanesi costruirono le loro sontuose dimore di villeggiatura e svilupparono alcune loro attività industriali. Oltre ai contadini ed ai coloni, quindi, la Brianza arricchì la sua componente sociale con la presenza di famiglie appartenenti alle antiche nobiltà lombarde ed agli emergenti ceti industriali. Come citato in diversi precedenti articoli, questa terra, almeno a partire dagli anni immediatamente successivi alla fine della Seconda guerra mondiale, rafforzata dall’avvento del boom economico, ha riscontrato una lenta ma progressiva scomparsa di gran parte delle culture e delle tradizioni locali.

Se volessimo condensare in poche parole ciò che è avvenuto, non solo qui in Brianza, ma purtroppo nell’Italia rurale e contadina, a partire dagli anni Cinquanta, potremmo leggere ciò che denunciò, con lucida determinazione e forza, come nessun altro in quel periodo storico, Pier Paolo Pasolini, su ciò che lui definì “genocidio culturale”, ossia  gli effetti nefasti prodotti dalla società capitalistica matura, dal punto di vista economico-sociale e antropologico, primo fra tutti, appunto, il “genocidio” delle classi sottoproletarie e subalterne e della loro specificità e autonomia culturale.     

Per citare alcuni esempi che possano meglio chiarire il concetto, pensiamo alla scomparsa della civiltà contadina. Per più di mezza Italia gli anni del “miracolo economico” sono anche gli anni della grande migrazione contadina, dello spopolamento delle campagne e dei piccoli borghi, della fine dell’agricoltura, La migrazione contadina causò profondi sconvolgimenti dal punto di vista sia sociale sia culturale. Poi subito dopo seguì l’inarrestabile e distruttiva espansione edilizia, che ha dapprima circondato e poi indistintamente sommerso le dimore rurali e le magnifiche cascine lombarde. Con essa sono scomparsi i saperi, le manualità, l’uso degli oggetti tradizionali, le botteghe e le osterie storiche, le tracce della diffusa religiosità brianzola. Le poche testimonianze superstiti, se non prontamente recuperate da proprietari e amministratori illuminati e lungimiranti, versano ormai in condizioni precarie e di abbandono, al limite della demolizione.

Qualcuno ha scritto che l’esercizio della memoria permette al passato di riaffiorare e di essere rivissuto. Ma c’è qualcuno, oggi, a parte alcuni studiosi e appassionati di storia locale, a cui interessa esercitare la memoria per far riaffiorare il passato dei nostri contadini, così duro, faticoso, a tratti disumano? Chi oggi sa leggere e interpretare il dialetto della Brianza antica? Chi conosce come si svolgeva la vita nei vecchi borghi contadini? Chi ha mai sentito parlare dei ritmi lentissimi scanditi non dagli orologi ma dalle stagioni del lavoro nei campi, dai muggiti delle mungiture quando era ancora buio, dall’incedere lento del vomere, dalle campane delle pievi, dalle sirene dei filatoi e degli opifici? Pochi, ormai, immersi come siamo in questa vita frenetica e autodistruttiva, che cancella anche la memoria del nostro passato.

Come accennato poco sopra, la Brianza non è oggi, e non è mai stata in passato, una unitaria provincia lombarda. E l’istituzione della provincia di Monza e Brianza, avvenuta nel 2004, non colma la lacuna, riguardando di fatto solo la Brianza milanese.

Per rintracciare una unicità amministrativa di questa terra occorre ritornare nei secoli addietro, allorché il Ducato di Milano aveva suddiviso il proprio territorio in “contadi”. Uno di questi era il contado della Martesana che aveva pressappoco gli stessi confini dell’attuale Brianza. Era il riconoscimento di una realtà oggettiva. Qualcosa di omogeneo già allora esisteva in quella gente che abitava fra il Seveso e l’Adda. Il Contado della Martesana aveva un capoluogo piuttosto decentrato, Vimercate, ove erano insediati il Vicario ducale e il Capitano, e mantenne le sue funzioni per almeno tre secoli.

 

 
Vimercate. Collegiata di Santo Stefano

 

Poi, a fine Settecento, le grandi sistemazioni attuate dagli Asburgo d’Austria introdussero nel territorio lombardo la suddivisione in province ripartire in circondari e questi, a loro volta, in distretti. Il Contado della Martesana, che era ormai conosciuto maggiormente con il nome di Brianza, si trovò suddiviso fra le province di Como e Milano. In questo frangente anche Monza venne accorpata nel disegno generale perdendo le sue autonomie, ma guadagnando, nella tradizione popolare, il titolo di capoluogo della Brianza sebbene, in realtà, fosse assurta a capo non dell’intera Brianza ma di un circondario pur molto importante che comprendeva i distretti di Vimercate, Desio, Carate, Barlassina. Dopo il breve intervallo di dominazione francese, che introdusse i dipartimenti, si tornò con la Restaurazione alle province austriache. Una situazione che è rimasta immutata sino all’ultimo decennio del secolo scorso, con lo scorporo della provincia di Lecco da quella di Como, e all’istituzione della provincia di Monza e Brianza.

Lasciamo un attimo da parte le modifiche territoriali e gli scorpori attuati dai potenti di turno. Poniamoci invece la domanda se, nella sua lunga storia, la Brianza abbia mai vissuto, al suo interno, una defezione, ossia una pieve, un feudo o un paesotto che abbiano voluto andarsene, rimanere fuori dai suoi confini. Parrebbe proprio di no, anzi, sono invece numerosi i casi di comuni che si sono arrogati nel tempo il diritto di aggiungere al proprio nome storico questo segno distintivo, l’attributo Brianza. L’unica cosa che si sa con certezza è che per ricomprendere tutti i comuni, gli elastici confini della Brianza si sono sempre più allargati.

Ma c’è un nucleo della Brianza vera che avrebbe potuto eccepire qualcosa contro questo annacquamento della specie? “Sono gli abitanti del Monte di Brianza, ove c’era il comune di Brianza (improvvidamente modificato nel secolo scorso in un meno significativo Colle Brianza), ovvero quel lungo crinale verde detto “San Genesio”, che va da Olgiate e da Santa Maria Hoé a Galbiate e che culmina con la cima del Monte Crocione (877 metri) e con il bianco eremo che fu dei monaci Camaldolesi” (Dr. Fabrizio Mavero, La grande Brianza, Canturium, 2009).  

 


 

Il Monte di Brianza, detto anche San Genesio, è una montagna delle Prealpi Luganesi che si trova in Provincia di Lecco. E’ suddiviso in 3 colli: Monte Regina (817 m), Monte Crocione (877 m) e Monte San Genesio (832 m). Il suo territorio ha un’estensione di 3362 ettari, pari a 33 chilometri quadrati.

 


 

Mavero riprende aggiungendo che “I fatti storici sono questi. Siamo negli ultimi decenni del 1300. L’Adda funge da confine fra Ducato di Milano e Repubblica della Serenissima. I Veneziani non nascondono le loro mire sullo Stato milanese governato dai Visconti. Il fronte degli attacchi è lungo l’Adda  nei pressi di Brivio, ove il fiume offre un facile guado (il termine celtico “briva” significava proprio questo). I primi a dover fronteggiare le armate della Serenissima sono pertanto i brianzoli del Monte di Brianza che costeggia l’Adda in quel punto”.

Fu proprio per la fedeltà delle genti brianzole che, di fatto, nel 1373 Bernabò Visconti, respinti i Veneziani, premiò i brianzoli del Monte concedendo immunità e privilegi,ovvero esentandoli da tutta una serie di tasse. “I brianzoli del Monte – prosegue Mavero – non persero tempo e si organizzarono in una Universitas Montis Briantie, ovvero l’insieme di coloro che avevano diritto a queste esenzioni. La corsa ad essere “dentro” l’Universitas dovette essere furibonda tant’è che, per semplificare le cose, tutti gli abitanti delle quattro Pievi (di Garlate, di Oggiono, di Brivio e di Missaglia) in cui il Monte è compreso furono esentati da dette tasse. Alcuni anni dopo, siamo nel 1449, i brianzoli del Monte aiutarono Francesco Sforza a conquistare Milano. Al nuovo padrone, che aveva confermato e ulteriormente arricchito i privilegi, i brianzoli chiesero anche che il territorio dell’Universitas così delimitato assurgesse al grado di Vicariato. E così fu. Dal 1451 al 1544, quindi per quasi un secolo, le Pievi citate costituirono il Vicariato del Monte di Brianza con sede del Vicario in Oggiono”.

Ma la storia non finisce mica qui, sarebbe stato fin tropp bel…  Nel 1544 gli Spagnoli, i nuovi potenti di turno, decisero che il Vicariato dovesse chiudere e le quattro Pievi sopraccitate tornare nel Vicariato della Martesana, un territorio antico e vastissimo, con sede del Vicario e del Capitano a Vimercate. Comprendeva dodici Pievi, da Vimercate a Desio e Cantù, a Garlate, sino ad Asso e alle sue valli, ben oltre le Pievi brianzole.

E, con questi cambiamenti, qualcuno potrebbe dedurre che i “brianzoli” siano ritornati a chiamarsi “martesani”. No, non avvenne così, ma esattamente il contrario, e nessuno sa bene sulla base di quale decisione o imposizione. I “martesani” divennero, si presume in maniera graduale, “brianzoli”. Non sappiamo perché tutta questa gente ritenne utile essere considerata dentro la Brianza, che allora non esisteva, se non su quel Monte. “Forse – cerca un possibile motivo il dr. Mavero – potevano essere ancora quei privilegi fiscali che cessarono solo nel 1746 col governo austriaco di Maria Teresa. Chiamarsi brianzoli lasciava pur sempre qualche speranza. L’imperatrice asburgica, però, non cadde nel tranello e li tolse tutti”.

Comunque sia, il marchio Brianza ebbe la meglio e l’intero territorio che era Martesana divenne Brianza per la soddisfazione di tutti, compresi gli aristocratici e gli industriali milanesi che qui costruirono la loro elegante e sontuosa villa.

La Brianza, quindi, assorbì tutto il vasto territorio che era ancora ufficialmente Vicariato della Martesana, sempre con capoluogo Vimercate.

Ma manca un tassello a tutta questa ricostruzione storica: Monza. Dov’era Monza nel frattempo? Monza stava fuori, per conto suo. Era la “corte di Monza”, un feudo tra i più aristocratici ed esclusivi che storicamente vantava la propria autonomia anche da Milano, tant’è che gli vennero riconosciuti propri Statuti. Ma era anche città regale e imperiale. E sul piano ecclesiastico “enclave” di rito romano nel bel mezzo della grande diocesi ambrosiana.

 

Monza, il Duomo

 

Nel 1786 Giuseppe II d’Austria riorganizza in senso moderno lo Stato di Milano, attuando il nuovo Compartimento territoriale della Lombardia e inventando le Province. Per cui le Corti e i Vicariati non ci sono più e il territorio di quello che era la Martesana-Brianza viene diviso in due da una linea orizzontale che è più o meno ancora quella che oggi divide a nord le Province di Como e Lecco da quella di Monza-Brianza a sud. Ma allora Monza era inserita nella Provincia di Milano. Poteva la regale e altolocata Monza finire i suoi giorni come burocratica sede di qualche ufficio amministrativo alle dipendenze di Milano? Certo che no! Eccola allora intraprendere il cammino verso il titolo di capitale della Brianza.

Nel 1861, con l’Unità d’Italia, Monza diviene capoluogo di un vasto circondario al quale facevano capo gli ex distretti di Barlassina, Desio, Carate e Vimercate. Praticamente era già l’ossatura della provincia attuale, divenuta operativa nel giugno 2009.

Ma nessuno si è mai chiesto perché la nuova provincia con sede a Monza non si chiami semplicemente Provincia di Monza? Il motivo vero è che quel nome, Brianza, rappresenta un valore aggiunto cui nessuno può rinunciare e, pur di tenerselo, Monza è andata incontro alle non lievi rampogne della Brianza comasca e lecchese che si è sentita un po’ defraudata. Ma questa e ormai la storia, Monza si è definitivamente collocata dentro la Brianza.

Ai nostri giorni la Brianza si ritrova quindi suddivisa fra quattro diverse province, un frazionamento come mai in passato le era stato riservato. Malgrado ciò questa terra ha mantenuto una certa omogeneità culturale che sembra essere il carattere saliente della Brianza, una “piccola patria” come l’aveva definita Carlo Cattaneo nella prefazione al volume “Storia della Brianza e de’ paesi circonvicini” e quindi, come tutte le piccole patrie, un duraturo “luogo del cuore”.        

Malgrado ciò, la Brianza di oggi è molto diversa da quella, non solo di cento anni fa, ma persino di quarant’anni or sono. Questi ultimi anni hanno visto il tramonto definitivo del mondo agricolo ed anche il parziale  superamento dell’economia artigiana e industriale, a favore del settore terziario. Fattori di estrema importanza  per focalizzare l’immagine della Brianza odierna, ai quali si sono aggiunti una  urbanizzazione a tratti selvaggia e disordinata, un conseguente e impressionante incremento demografico e una densità abitativa per kmq quattro volte quella dell’intera Lombardia (in Italia è seconda dietro la provincia di Napoli, e tra le più elevate in Europa ).

E’ vero che a partire dalla metà degli anni Ottanta in Lombardia sono state poste sotto tutela, attraverso la costituzione dei parchi regionali, alcune centinaia di migliaia di ettari di territorio e che in Brianza la percentuale di territorio tutelato sale al 25%, se si somma la superficie dei parchi sovraccomunali, ma è altrettanto vero che, come abbiamo visto, molte testimonianze e tradizioni secolari si sono irrimediabilmente perse a causa dell’eccessivo sviluppo urbanistico.

La Brianza, come tutti gli ambienti abitati dall’uomo, è un organismo vivente, dotato di una vitalità superiore alla norma, che l’ha portata, appunto, a trasformazioni repentine e radicali. Per valutare questi cambiamenti basterebbe girovagare in queste terre in un qualsiasi giorno della settimana, con uno sguardo attento alla realtà che ci circonda: traffico elevatissimo, inquinamento tra i più alti d’Europa, presenza massiccia di capannoni e aree industriali e artigianali, carente presenza di reti e infrastrutture di servizi pubblici locali. La Brianza quindi è un territorio ad altissima concentrazione del mondo del lavoro e di quello manifatturiero in particolare. Non c’è settore economico che non sia rappresentato. 

La Brianza è diventata una inconsueta “città diffusa, multicentrica e multietnica”, in linea di massima benestante, popolosa e manifatturiera, adagiata in un originario e incantevole ambiente naturale, oggi trasformato e imbruttito, in alcuni casi devastato, dalla mano dell’uomo.

Beniamino Colnaghi