Il 1943 fu un anno drammatico per la storia dell’Italia ed il
corso della seconda guerra mondiale.
Nella notte fra il 24 e il 25 luglio il gran consiglio
fascista destituisce Mussolini da ogni incarico e affida al re Vittorio
Emanuele III il comando delle Forze armate. Lo stesso giorno Mussolini viene
arrestato e mandato al confino prima a Ponza, poi alla Maddalena e infine a
Campo Imperatore, sul Gran Sasso.
L'8 settembre il re e Badoglio annunciano l'armistizio con gli
alleati anglo-americani e fuggono a Brindisi, consegnando l'Italia in mano ai
tedeschi, che occupano militarmente il Paese.
Il 12 settembre i paracadutisti nazisti, aiutati da alcuni ufficiali fascisti dei carabinieri, riescono a liberare con un blitz Mussolini.
Il 12 settembre i paracadutisti nazisti, aiutati da alcuni ufficiali fascisti dei carabinieri, riescono a liberare con un blitz Mussolini.
Il 15 settembre la radio comunica che "Benito Mussolini
ha ripreso la suprema direzione del fascismo in Italia", mentre tre giorni
dopo in un discorso radiofonico da Monaco, lo stesso Mussolini, annunciando la
rinascita di uno stato fascista, indica il compito di riprendere le armi al
fianco della Germania e del Giappone.
Il 23 settembre si costituisce ufficialmente il governo della Repubblica
sociale italiana, Rsi, con sede
nel comune di Salò (Brescia) e Mussolini, rientrato nel frattempo in Italia, si
autoproclama capo dello Stato, del governo e duce del nuovo partito fascista
repubblicano.
Il 28 ottobre viene promulgata la legge costitutiva delle
Forze Armate della Rsi.
Il generale Rodolfo Graziani, ministro della Difesa e successivamente della Guerra, non perse tempo per indire i bandi di reclutamento che si succedettero fino alla metà del 1944.
Nel primo bando, su 180.000 iscritti alle liste di leva se ne
presentarono circa 100.000.
Fu però l’ultimo credito spontaneo che le generazioni soggette
alla chiamata militare diedero al fascismo, scoraggiate dalle penose condizioni
in cui si trovavano le caserme, dal vitto scarso e dall’arroganza tedesca. Il
loro impiego operativo, inoltre, era spesso rivolto contro altri italiani nei
rastrellamenti e nelle azioni contro i gruppi partigiani. Cominciarono così le
diserzioni e gli abbandoni dei reparti. I bandi successivi furono dei
fallimenti: parecchi renitenti scelsero la montagna e la resistenza si
fortificò con il loro arrivo. Molti giovani si rifugiarono nei loro stessi
paesi, nelle loro stesse case, aspettando la fine della bufera.
Del contesto nazionale abbiamo detto.
Per quanto attiene, invece, la situazione nei comuni della
Brianza comasca e lecchese, una raccolta di dati ordinata dal capo della
provincia di Como accerta che, al 31 dicembre 1943, furono 1287 i giovani che
rifiutarono la chiamata alla leva. Furono 43 a Cernusco Montevecchia, 76 a
Merate, 45 a Paderno Robbiate, 19 ad Osnago, 18 a Verderio Inferiore mentre a
Verderio Superiore furono 8.[1]
La reazione delle autorità politiche e militari si articolò in
una serie di pene da applicarsi ai renitenti e in una sequenza di ritorsioni. I
capi delle province fecero affiggere dei manifesti nei quali si formalizzavano
le misure che lo stesso capo era autorizzato a prendere in caso di mancata
presentazione ai distretti dei giovani di leva. Provvedimenti venivano adottati
anche a carico dei familiari dei giovani: dall’arresto del padre al ritiro
delle tessere annonarie a tutti i familiari, dal ritiro delle licenze
d’esercizio a quello delle licenze di circolazione per autovetture, dalla
sospensione immediata del pagamento delle pensioni a quella degli impieghi
statali e parastatali dei familiari.
Il capo dei comandi militari delle varie province e il capo
delle province stesse inviarono a tutti i commissari prefettizi ed ai podestà
dei comuni una circolare che li invitava ad uno spirito di massima
collaborazione e, nello stesso tempo, li ammoniva ad adottare tutte le misure
possibili affinché i renitenti alla leva ed i disertori si presentassero nelle
loro caserme.
Il culmine della collera causata dal montare del fenomeno
della renitenza, le autorità della Rsi lo raggiunsero con il decreto del duce
del 18 aprile 1944 che, in concomitanza con la chiamata alle armi delle
classi 1922, 1923 e primo quadrimestre del 1924, dichiarava di comminare a
renitenti e disertori la pena di morte e più dure ritorsioni contro la famiglia
di appartenenza.
A causa della paura furono in molti a presentarsi ma,
trascorso l’effetto terroristico, il fenomeno della renitenza riprese, come
pure riprese quello della diserzione dai reparti.
A seguito del disastroso risultato ottenuto, il duce sentì la
necessità di emanare un’amnistia. Il 28 ottobre 1944 furono condonati i reati
di diserzione e renitenza per chi si fosse presentato entro il 14 dicembre. Nei
comuni della Brianza si sono ottenuti risultati comunque modesti. I giovani
presentatisi in seguito all’armistizio del 28 ottobre furono 75 a Merate, 19 a
Missaglia e 15 in totale a Verderio Superiore e Inferiore.[2]
In tutto questo periodo di tentata ricostruzione della forza
militare dello stato fascista, le milizie e le brigate nere cercarono di
risolvere il problema operando frequenti rastrellamenti. Normalmente avvenivano
circondando improvvisamente un paese, o un quartiere, con forze ingenti e si
fermavano tutti gli uomini che ad occhio fossero in età di servizio militare.
Anche in alcuni comuni della Brianza si usò questo metodo. La terribile anomalia,
inspiegabile e drammatica, fu che alcuni di questi giovani, fermati per non
avere risposto a qualcuno dei bandi di reclutamento, furono deportati nei campi
di sterminio nazisti.
Fu il caso di tre ragazzi della classe 1922 residenti a Paderno
d’Adda, a quel tempo in provincia di Como.
La vicenda che portò alla deportazione di Pasquale Brivio,
Guido Panzeri e Giuseppe Villa, tutti nati nel 1922 e residenti in via Manzoni
a Paderno d’Adda, è legata alla loro diserzione dal presidio della Gnr (Guardia
nazionale repubblicana) di Monza.
Via Manzoni a Paderno d'Adda. |
La sera del 9 maggio 1944 una squadra della Gnr si presentò in via Manzoni, dove
abitavano i tre ragazzi. Non trovandoli, iniziarono a terrorizzare e minacciare
le rispettive famiglie finché, dopo circa un’ora, i giovani saltarono fuori. Furono
immediatamente portati alla caserma di Monza e il giorno dopo a Gallarate, dove
subirono un processo sommario al termine del quale vennero condannati a diversi
periodi di reclusione.
Durante la loro prigionia, i tre ragazzi padernesi rifiutarono
sempre e decisamente di arruolarsi nell’esercito fascista, motivo per il quale,
in accordo con le SS, i fascisti decisero la loro deportazione in Germania.[3]
Non si hanno molte informazioni sugli spostamenti dei tre
ragazzi padernesi verso i luoghi detentivi del Reich. Ciò che è certo, invece,
è che il primo approdo in Germania fu la fortezza di Torgau, trasformata in
prigione militare, mentre successivamente furono spostati nel piccolo campo di
rieducazione di Zoschen, sulla strada che da Merseburg porta a Lipsia. Con un
treno merci, ogni giorno i deportati venivano condotti nelle grandi fabbriche
di uno dei bacini dell’industria chimica tedesca, dove lavoravano con turni
massacranti di dodici ore al giorno. Una piccola scodella di zuppa era tutto
ciò che veniva loro concesso per ricaricarsi per il giorno dopo.
I tre ragazzi padernesi erano:
Pasquale Brivio. Morì il 5 aprile 1945 in luogo non
noto ma si sa che il 29 marzo era presente a Buchenwald. La commissione che si
occupò di effettuare sopralluoghi nei lager per ritrovare oggetti dei deportati
fece recapitare al padre la carta d’identità di Pasquale recuperata a Dachau.
Guido Panzeri. Inviato a Torgau
fu spostato a Zoschen e utilizzato a Spergau, nel sito produttivo di Leuna.
Morì il 25 marzo 1945 a Zoschen.
Giuseppe Villa. Cessò di vivere a causa di un grave deperimento
il 5 aprile 1945 a Zoschen e venne inumato nel cimitero locale.[4]
In memoria di tutti quei brianzoli che sotto il regime nazi-fascista
subirono violenze inconcepibili, persecuzioni, maltrattamenti disumani oppure furono
uccisi qui in Brianza o deportati nei campi di sterminio nazisti.
Beniamino Colnaghi
Note e fonti bibliografiche
Pietro Arienti, Dalla
Brianza ai Lager del Terzo Reich, Bellavite, 2011, p.223-224. [1] Asco, Gabinetto Prefettura, Pratiche chiamata alle armi, “Elenchi dei giovani delle classi di leva non presentatisi data 31.12.1943”.
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