giovedì 11 dicembre 2014

I tre giovani disertori di Paderno d’Adda, deportati nei campi di sterminio nazisti

Il 1943 fu un anno drammatico per la storia dell’Italia ed il corso della seconda guerra mondiale.
Nella notte fra il 24 e il 25 luglio il gran consiglio fascista destituisce Mussolini da ogni incarico e affida al re Vittorio Emanuele III il comando delle Forze armate. Lo stesso giorno Mussolini viene arrestato e mandato al confino prima a Ponza, poi alla Maddalena e infine a Campo Imperatore, sul Gran Sasso.
L'8 settembre il re e Badoglio annunciano l'armistizio con gli alleati anglo-americani e fuggono a Brindisi, consegnando l'Italia in mano ai tedeschi, che occupano militarmente il Paese.
Il 12 settembre i paracadutisti nazisti, aiutati da alcuni ufficiali fascisti dei carabinieri, riescono a liberare con un blitz Mussolini.
Il 15 settembre la radio comunica che "Benito Mussolini ha ripreso la suprema direzione del fascismo in Italia", mentre tre giorni dopo in un discorso radiofonico da Monaco, lo stesso Mussolini, annunciando la rinascita di uno stato fascista, indica il compito di riprendere le armi al fianco della Germania e del Giappone.
Il 23 settembre si costituisce ufficialmente il governo della Repubblica sociale italiana, Rsi, con sede nel comune di Salò (Brescia) e Mussolini, rientrato nel frattempo in Italia, si autoproclama capo dello Stato, del governo e duce del nuovo partito fascista repubblicano.
Il 28 ottobre viene promulgata la legge costitutiva delle Forze Armate della Rsi.

Il generale Rodolfo Graziani, ministro della Difesa e successivamente della Guerra, non perse tempo per indire i bandi di reclutamento che si succedettero fino alla metà del 1944.


 
Nel primo bando, su 180.000 iscritti alle liste di leva se ne presentarono circa 100.000.
Fu però l’ultimo credito spontaneo che le generazioni soggette alla chiamata militare diedero al fascismo, scoraggiate dalle penose condizioni in cui si trovavano le caserme, dal vitto scarso e dall’arroganza tedesca. Il loro impiego operativo, inoltre, era spesso rivolto contro altri italiani nei rastrellamenti e nelle azioni contro i gruppi partigiani. Cominciarono così le diserzioni e gli abbandoni dei reparti. I bandi successivi furono dei fallimenti: parecchi renitenti scelsero la montagna e la resistenza si fortificò con il loro arrivo. Molti giovani si rifugiarono nei loro stessi paesi, nelle loro stesse case, aspettando la fine della bufera.
Del contesto nazionale abbiamo detto.
Per quanto attiene, invece, la situazione nei comuni della Brianza comasca e lecchese, una raccolta di dati ordinata dal capo della provincia di Como accerta che, al 31 dicembre 1943, furono 1287 i giovani che rifiutarono la chiamata alla leva. Furono 43 a Cernusco Montevecchia, 76 a Merate, 45 a Paderno Robbiate, 19 ad Osnago, 18 a Verderio Inferiore mentre a Verderio Superiore furono 8.[1]
 
 
 
 
La reazione delle autorità politiche e militari si articolò in una serie di pene da applicarsi ai renitenti e in una sequenza di ritorsioni. I capi delle province fecero affiggere dei manifesti nei quali si formalizzavano le misure che lo stesso capo era autorizzato a prendere in caso di mancata presentazione ai distretti dei giovani di leva. Provvedimenti venivano adottati anche a carico dei familiari dei giovani: dall’arresto del padre al ritiro delle tessere annonarie a tutti i familiari, dal ritiro delle licenze d’esercizio a quello delle licenze di circolazione per autovetture, dalla sospensione immediata del pagamento delle pensioni a quella degli impieghi statali e parastatali dei familiari.    

Il capo dei comandi militari delle varie province e il capo delle province stesse inviarono a tutti i commissari prefettizi ed ai podestà dei comuni una circolare che li invitava ad uno spirito di massima collaborazione e, nello stesso tempo, li ammoniva ad adottare tutte le misure possibili affinché i renitenti alla leva ed i disertori si presentassero nelle loro caserme.
Il culmine della collera causata dal montare del fenomeno della renitenza, le autorità della Rsi lo raggiunsero con il decreto del duce del 18 aprile 1944 che, in concomitanza con la chiamata alle armi delle classi 1922, 1923 e primo quadrimestre del 1924, dichiarava di comminare a renitenti e disertori la pena di morte e più dure ritorsioni contro la famiglia di appartenenza.
A causa della paura furono in molti a presentarsi ma, trascorso l’effetto terroristico, il fenomeno della renitenza riprese, come pure riprese quello della diserzione dai reparti.
 
 
 
 
 
A seguito del disastroso risultato ottenuto, il duce sentì la necessità di emanare un’amnistia. Il 28 ottobre 1944 furono condonati i reati di diserzione e renitenza per chi si fosse presentato entro il 14 dicembre. Nei comuni della Brianza si sono ottenuti risultati comunque modesti. I giovani presentatisi in seguito all’armistizio del 28 ottobre furono 75 a Merate, 19 a Missaglia e 15 in totale a Verderio Superiore e Inferiore.[2]
 
 
 
In tutto questo periodo di tentata ricostruzione della forza militare dello stato fascista, le milizie e le brigate nere cercarono di risolvere il problema operando frequenti rastrellamenti. Normalmente avvenivano circondando improvvisamente un paese, o un quartiere, con forze ingenti e si fermavano tutti gli uomini che ad occhio fossero in età di servizio militare. Anche in alcuni comuni della Brianza si usò questo metodo. La terribile anomalia, inspiegabile e drammatica, fu che alcuni di questi giovani, fermati per non avere risposto a qualcuno dei bandi di reclutamento, furono deportati nei campi di sterminio nazisti.

Fu il caso di tre ragazzi della classe 1922 residenti a Paderno d’Adda, a quel tempo in provincia di Como.
La vicenda che portò alla deportazione di Pasquale Brivio, Guido Panzeri e Giuseppe Villa, tutti nati nel 1922 e residenti in via Manzoni a Paderno d’Adda, è legata alla loro diserzione dal presidio della Gnr (Guardia nazionale repubblicana) di Monza.


Via Manzoni a Paderno d'Adda.
La sera del 9 maggio 1944 una squadra della Gnr si presentò in via Manzoni, dove abitavano i tre ragazzi. Non trovandoli, iniziarono a terrorizzare e minacciare le rispettive famiglie finché, dopo circa un’ora, i giovani saltarono fuori. Furono immediatamente portati alla caserma di Monza e il giorno dopo a Gallarate, dove subirono un processo sommario al termine del quale vennero condannati a diversi periodi di reclusione.
Durante la loro prigionia, i tre ragazzi padernesi rifiutarono sempre e decisamente di arruolarsi nell’esercito fascista, motivo per il quale, in accordo con le SS, i fascisti decisero la loro deportazione in Germania.[3]
Non si hanno molte informazioni sugli spostamenti dei tre ragazzi padernesi verso i luoghi detentivi del Reich. Ciò che è certo, invece, è che il primo approdo in Germania fu la fortezza di Torgau, trasformata in prigione militare, mentre successivamente furono spostati nel piccolo campo di rieducazione di Zoschen, sulla strada che da Merseburg porta a Lipsia. Con un treno merci, ogni giorno i deportati venivano condotti nelle grandi fabbriche di uno dei bacini dell’industria chimica tedesca, dove lavoravano con turni massacranti di dodici ore al giorno. Una piccola scodella di zuppa era tutto ciò che veniva loro concesso per ricaricarsi per il giorno dopo.
I tre ragazzi padernesi erano:

Pasquale Brivio. Morì il 5 aprile 1945 in luogo non noto ma si sa che il 29 marzo era presente a Buchenwald. La commissione che si occupò di effettuare sopralluoghi nei lager per ritrovare oggetti dei deportati fece recapitare al padre la carta d’identità di Pasquale recuperata a Dachau.
Guido Panzeri. Inviato a Torgau fu spostato a Zoschen e utilizzato a Spergau, nel sito produttivo di Leuna. Morì il 25 marzo 1945 a Zoschen. 
Giuseppe Villa. Cessò di vivere a causa di un grave deperimento il 5 aprile 1945 a Zoschen e venne inumato nel cimitero locale.[4]

In memoria di tutti quei brianzoli che sotto il regime nazi-fascista subirono violenze inconcepibili, persecuzioni, maltrattamenti disumani oppure furono uccisi qui in Brianza o deportati nei campi di sterminio nazisti.

Beniamino Colnaghi

Note e fonti bibliografiche
Pietro Arienti, Dalla Brianza ai Lager del Terzo Reich, Bellavite, 2011, p.223-224.


[1] Asco, Gabinetto Prefettura, Pratiche chiamata alle armi, “Elenchi dei giovani delle classi di leva non presentatisi data 31.12.1943”.
[2] Ar.com. Merate “Militari sbandati e renitenti”.
[3] Ans, esposto del 15.01.1946 alle autorità giudiziarie dei genitori dei tre deportati.
[4] Ans, fascicoli personali.

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