sabato 9 gennaio 2021

Quando in Brianza c’era il contadino…

di Giulio Oggioni (storico verderiese)

Mese per mese, tutti i lavori dei campi: la vangatura e l’erpicatura, la semina e la raccolta del granoturco, la trebbiatura del grano e la festa dell’uccisione del maiale in inverno

Raccontare la vita contadina della nostra Brianza vuol dire parlare di moltissimi decenni fa, quando tutte le famiglie “vivevano sulla terra”. Infatti, l’agricoltura era l’unica fonte di guadagno della famiglia e determinava pure il regime alimentare ed economico della gente. 

Nei nostri paesi, sia le terre che le abitazioni erano di proprietà di poche famiglie facoltose, per le quali si pagava, fino al 1924, una forma di mezzadria. Il contadino doveva dividere il suo raccolto con il proprietario per pagare l’occupazione dell’abitazione e la lavorazione delle terre.
Ma quali erano i lavori del contadino? Eccoli in breve.
I lavori dei campi seguivano un andamento preciso per tutto l’anno ed i primi lavori iniziavano quasi sempre nel mese di febbraio, quando il gelo e la neve allentavano la presa e il tempo solare si allungava di un’oretta circa.
In febbraio, dopo la concimazione del terreno con il letame delle stalle, si iniziava la vangatura, un lavoro duro e cerimonioso da farsi sempre con gli stessi tempi e movimenti della vanga. Si vangava due volte all’anno: in primavera per preparare la semina del granoturco e in autunno per quella del frumento. Dopo l’aratura si provvedeva all’erpicatura, per spaccare le dure zolle e rendere la terra più friabile e pronta ad accogliere la semina.
Poi, tra marzo ed aprile, si piantavano le patate, dividendo in tre o quattro parti un tubero in germoglio e posti in buche profonde una quindicina di centimetri e distanziate una trentina una dall’altra. Le patate erano il “secondo piatto” di tutta la famiglia contadina e la crescita delle piante era seguita dalle donne di casa che provvedevano alla disinfestazione degli animaletti che mangiavano le foglie. Questi animaletti, gialli e neri, erano brutti da vedersi e, pare, fossero stati portati dagli americani durante la Seconda guerra mondiale.
In primavera si iniziava anche la coltivazione del baco da seta che nasceva da una falena, una grossa farfalla che depositava centinaia di uova. Appena nati, i bachi, affamati, iniziavano a mangiare le foglie di gelso, giorno e notte, e nel giro di sei settimane salivano sui rametti che il contadino preparava per prepararsi una casa, ovvero il bozzolo. Per costruirlo usava la sua stessa saliva che, a contatto con l’aria, si solidificava formando un filo leggerissimo di seta. A metà giugno, il contadino raccoglieva i bozzoli maturi e li vendeva per la successiva lavorazione della seta. Il filo del bozzolo poteva raggiungere anche i 900 o 1.000 metri.    
Se la raccolta era ottima, il guadagno per la famiglia era certo, se era scarsa significava la fame e la rinuncia a qualche necessità per la casa.
In aprile iniziava la semina del granturco, un lavoro di grande fatica per il continuo ripiegamento della schiena del contadino, che da eretto si abbassava per deporre i grani nella terra che teneva nella bisaccia, appena attorno alla vita. Nello stesso mese il contadino si occupava della preparazione dell’orto, con la semina che andava fatta durante la luna calante e mai crescente.
A maggio c’era la prima falciatura dell’erba che, dopo l’essicazione di un paio di giorni, diventava fieno e serviva in inverno per l’alimentazione degli animali della stalla.
Intanto il frumento cresceva a vista d’occhio e le spighe si indoravano. Allora il lavoro del contadino di faceva particolarmente intenso con l’inizio della mietitura che avveniva quasi sempre a metà mese e terminava alla fine. Per la mietitura occorreva l’aiuto di tutti i componenti della famiglia, donne e bambini compresi che, alla sera, raccoglievano i covoni che venivano portati sull’aia per formare enormi cataste a piramide.

Mietitura manuale del frumento

Trebbiatrice dei fratelli Sala di Verderio Inferiore

Nel mese di luglio arrivava la trebbiatrice, la “machina de batt” che portava grande allegria in tutta la corte, ma anche giorni di grande fatica e polveroni. Il grano venduto era uno delle poche risorse della famiglia contadina sulle quali poteva fare affidamento per programmare le spese dell’intero anno.
Anche per questo lavoro occorreva l’aiuto di tutta la famiglia. parenti e vicini compresi. Ai ragazzi veniva affidato il compito di salire sulle cataste per gettare i covoni alla persona che doveva infilarli nella bocca che dava inizio al processo di separazione dei chicchi dalla paglia. Altri contadini erano addetti al trasporto delle balle di paglia, mentre altri a raccogliere il grano nei sacchi e portarli al riparo sotto i porticati. Alle donne, il compito di provvedere alle necessità dei lavoratori, in particolare portare qualche bicchiere di acqua fresca per soffocare l’arsura della gola.
Poi seguiva qualche giorno di riposo, ma pochi, perché a fine mese o ai primi di settembre iniziava la raccolta delle patate. Prima di portarle a casa, venivano lasciate un giorno al sole affinché la terra umida che le ricopriva seccasse e le patate fossero ben pulite. Bisognava però curarle perché i furti erano all’ordine del giorno.
A settembre iniziavano anche i lavori della raccolta del granoturco. Le pannocchie, ad una ad una, venivano staccate dal fusto e ammonticchiate nel campo, in attesa di essere portate sotto i porticati della corte e della cascina. Alle pannocchie venivano poi tolte le foglie, tranne due o tre che servivano per essere legate tra loro per formare dei mazzi che venivano appesi ai soffitti fino all’inverno.
E l’inverno iniziava con i primi giorni di novembre, con l’arrivo delle fitte nebbie e dei primi freddi e, quasi sempre, fitte e abbondanti nevicate nel mese di dicembre. Le famiglie contadine allora si ritiravano nel caldo delle stalle. Gli uomini provvedevano alla fabbricazione o alla riparazione degli zoccoli e degli arnesi per i lavori dei campi, mentre le donne si dedicavano ai rammendi della biancheria, specialmente le calze e le maglie di lana che servivano per il lungo inverno.
Ma prima della fine dell’inverno avveniva un grande avvenimento sul quale si concentrava l’attenzione dell’intera famiglia contadina: l’uccisione del maiale.
I ragazzi e le donne avevano il compito di sorvegliare l’acqua messa a bollire nel grande calderone, mentre gli uomini si occupavano di trascinare il maiale al “patibolo”. Allora era una grande festa, oggi, con grande sincerità, una barbarie per il povero maiale che strillava a più non posso, consapevole della sua fine. Il tutto era giustificato dal fatto che la sua immolazione consentiva la sopravvivenza decente di tutta la famiglia contadina per l’intero anno. Dalle sue carni si ricavavano i vari tipi di salame e mortadelle; dalla cotenna il lardo, l’unico condimento di allora e dai resti delle vertebre, le costine, che servivano per preparare il piatto tipico della Brianza, la “casoeula” con la polenta, ancora oggi molto apprezzata.
Subito dopo questo grande avvenimento, riprendeva il ciclo dei lavori dei campi come è già stato descritto e le giornate dei contadini procedevano lineari, fino alla monotonia, per tutti i giorni dell’anno.
Questi erano i principali lavori del contadini di una volta che, nelle scuole dei nostri paesi, vengono riproposti con grande interesse ai ragazzi, affinché comprendano che il grande benessere di oggi è anche frutto delle grandi fatiche di una volta.
 
  

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