27 gennaio: “Giorno della Memoria”
La storia di Fabrizio
Collini
L’articolo 1 della legge 20 luglio 2000 n. 211 definisce così le finalità del Giorno della Memoria:
«La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio,
data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della
Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo
ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli
italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché
coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto
di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e
protetto i perseguitati».
27 maggio 2001. Berlino, lussuoso
hotel adiacente alla Porta di Brandeburgo. Sul pavimento della “Brandenburg
suite” viene trovato riverso a terra il corpo di un ultraottantenne. L’aspetto
distinto, se non fosse per quei proiettili che gli sono penetrati nell’occipite,
uno fuoriuscito dall’altra parte portandogli via metà faccia, facendo schizzare
ovunque sangue e massa grigia. La cameriera ai piani ed alcuni clienti
dell’hotel hanno visto un uomo dall’aspetto corpulento aggirarsi intorno alla quella
suite. In poche ore quell’uomo viene identificato. Il suo nome è Fabrizio
Collini. Un pensionato di origini italiane che ha passato oltre metà della sua
vita in Germania. Tutto sembra portare proprio a lui. Le prove del delitto
ancora sul suo corpo e sui suoi abiti. Ma c’è molto di più: Collini è reo
confesso. Manca solo il movente. A Collini, che si chiude nel silenzio
rifiutando ogni difesa e tacendo le ragioni del suo gesto, viene assegnato
d’ufficio un giovane e brillante avvocato, Caspar Leinen, alla sua prima causa.
Una causa apparentemente semplice, ma che ben presto non si dimostrerà tale,
tanto più che la vittima è un potente industriale tedesco, noto in tutto il
Paese, e suo avvocato di parte civile un brillante patrocinatore del foro di
Berlino. Una causa ancor più complessa, perché Leinen viene a scoprire
che la vittima, Jean-Baptiste Meyer all’anagrafe, è in realtà quello stesso
Hans Meyer che egli conosce dall’infanzia, il nonno del suo migliore amico, un
uomo di cui ricorda i modi gentili e affettuosi. Benché combattuto, Caspar
Leinen decide di non rinunciare all’incarico e di cercare in tutti i modi di
far luce sul movente del delitto, alla ricerca della verità. Un’indagine in cui
nulla è come sembra all’inizio. La sua caparbietà lo porterà a scavare nel
passato di Meyer e di Collini, seguendo il filo di un labile indizio,
grazie al quale indagherà su un episodio accaduto in Italia molti, molti anni
prima. Il presunto omicida e la vittima sono legati a doppio filo da una storia
che ha radici lontane, sepolte nella Seconda guerra mondiale durante il regime
nazista, nei crimini e nelle stragi compiute in Italia dai nazi-fascisti in
quegli anni. Consapevoli o inconsapevoli, volenti o desiderosi di seppellire il
passato sotto una coltre di oblio, devono confrontarsi con ciò che fu quella
tragedia storica, con la responsabilità delle loro azioni e con le conseguenze
di ciò che vissero.
Nelle fasi processuali, entra prepotentemente una quarta figura, l’avvocato Eduard Dreher. A quanto pare, in Germania, ogni bravo studente di legge prima o poi deve studiare il suo commento al diritto penale. Eppure, sotto il Terzo Reich, Dreher era pubblico ministero presso il tribunale speciale di Innsbruck. Un duro che chiedeva la pena di morte anche per i reati più lievi. Un uomo abile che, dopo la guerra, fece una sorprendente carriera all' interno del Ministero della Giustizia, fino a diventare Segretario di Stato. E che nel 1968, nella distrazione generale, mentre fuori imperversavano la manifestazioni studentesche, all'ultimo piano del suo ministero, concepì, scrisse e fece passare una legge che, sotto il nome innocente di "legge programmatica alla legge sull'illecito amministrativo", con venti parole cambiò la storia. Una legge che ha vanificato in un sol colpo un lavoro di un ventennio in Germania. Una legge che faceva cadere in prescrizione la maggior parte dei processi in corso contro i passati protagonisti e complici del nazismo. Alcuni giornali si accorsero, qualche settimana più tardi, che la legge era praticamente un'amnistia generale per la maggior parte dei crimini perpetrati durante il regime nazista. Ma fu troppo tardi.
Il caso
Collini (Longanesi,
pagg. 176) è stato in Germania un autentico caso letterario, balzato in vetta
alle classifiche di vendita nell’arco di poche settimane. E se ne capisce la
ragione. Un ritmo narrativo incalzante, serrato, avvincente, in cui la verità
viene fatta affiorare un po’ per volta - indizio dopo indizio - ma con inattese
virate. Traspare, nella scrupolosa e serrata dialettica in cui si svolge il
dibattimento in tribunale la formazione stessa dell’autore, Ferdinand von
Schirach, brillante avvocato penalista di Monaco, “prestato” alla letteratura. E
ora autore di un romanzo che si sviluppa in forma di noir processuale, proprio
attorno agli effetti della legge Dreher. Un noir che comincia con una scena di
violenza in una stanza dell'elegante Hotel Adlon di Berlino, oggi. Ma che tocca
la storia personale di von Schirach. Perché Ferdinand von Schirach è, nella
realtà, nipote di quel Baldur von Schirach che fu il capo della Hitlerjugend, poi governatore di Vienna
e organizzatore della deportazione degli ebrei viennesi, condannato a
Norimberga a venti anni di prigione e uscito giusto in tempo perché Ferdinand
bambino ne registrasse qualche ricordo. E qualche tratto di questo nonno
tragico c'è nel personaggio di Hans Meyer, il grande vecchio industriale, al
tempo stesso dolcissimo e durissimo, massacrato nel corso del brutale omicidio
perpetrato da Fabrizio Collini, l'assassino confesso, che non vuole né parlare
e spiegarsi, né aiutare il suo giovane avvocato d'ufficio a difenderlo.
Beniamino Colnaghi
La strage di Vinca: si veda il post pubblicato il 25 gennaio 2018.
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