di Alberto Novati (architetto)
Volendo studiare il romanico non
possiamo sottrarci alla necessità di intrecciare i temi dell’urbanistica con
quelli dell’architettura. Solo in questo modo si riuscirà a fornire qualche
contributo apprezzabile alla ricostruzione storica del definirsi del romanico
nel cosiddetto triangolo lariano. Invece, utilizzando nei fatti un ampio
spettro di indagini, si potranno restituire le modalità insediative e i
processi di civilizzazione di lunga durata che caratterizzano l’evo medio.
Dobbiamo subito chiederci: dopo
il declino dell’impero romano, come la cristianità ha voluto e saputo costruire
il proprio consistere nel pagus e nel
castrum e come ha reinterpretato
globalmente l’insediamento umano?
Collochiamoci, da subito, in un
preciso orizzonte macrourbanistico: la direttrice est-ovest proveniente da
Aquileia e da Ivrea passante per il ponte di Olginate, nelle diverse
alternative e varianti locali, si interfaccia nel territorio lariano con la
direttrice europea nord-sud che metteva in comunicazione il bacino del Reno con
la Lombardia e il mar Mediterraneo.
Flussi di merci, uomini e idee
connessi non solo dalla città di Como ma da una serie di porti che, seppur di
dimensioni ridotte, come il porto di Nesso(1), costituivano i nodi di
interscambio dell’altopiano lariano. Altri porti, posti su entrambi i rami del
lago, costituivano una valida alternativa al porto di Nesso.
Su questo assetto
macrourbanistico si innesteranno le reti dei villaggi del romanico realizzando,
nei fatti, un sistema insediativo completamente diverso da quello del castrum romano. E’ una vicenda antica. La
struttura territoriale a rete, a grafi, radicalmente diversa da quella derivata
in quache modo dalla modellistica gravitazionale (geocentrica tolemaica o
eliocentrico copernicana-newtoniana) era, fin dall’antichità, ampiamente
conosciuta e utilizzata nella costruzione del paesaggio umanizzato come
testimonia Tucidide a proposito della città-villaggio di Sparta. Infatti,
l’occupazione militare romana del bacino lariano del 196 a.C., tramandataci
dallo storico Tito Livio, ha reso visibile la forma preesistente a rete
dell’organizzazione territoriale, come testimoniano anche gli studi di Giorgio
Luraschi. Con questa premessa urbanistica, fu compito della Pieve organizzare e
utilizzare appieno le potenzialità di quei nodi urbanistici innestando e
integrando le funzioni dei centri plebani con quelle dei porti.
Quel lago, quei luoghi, quelle
cose, quegli animali, quelle donne e quegli uomini furono i soggetti dei
dipinti di Giuseppe Canella e di Giovanni Segantini.
Il lavoro e quelle armature
urbane resero possibile la costituzione del surplus economico che venne gestito
dalla Pieve e utilizzato per la costruzione degli apparati monumentali dei
centri plebani e delle tappe intermedie degli itinerari. Fu così che, in
alternativa alla città romana-vescovile, si costruirono veri e propri santuari
extraurbani frequentati da popolazioni che si andavano, pian piano, riorganizzando
dopo il tracollo dell’impero romano. Primari centri monumentali che non furono
mai subalterni al castrum comense. Si
pensi a San Pietro al Monte o a Galliano, dove sono ancora ben visibili quei
cicli pittorici capaci di interpretare, di qua delle Alpi, quello spirito nuovo
europeo che si andava affermando nelle scuole pittoriche al di là delle Alpi,
come alla Reichenau o a Müstair.
Lo scritto del monaco Raoul
Glaber (985 circa – 1047 circa) ha la capacità di ben sintetizzare dati
quantitativi e qualitativi del candido manto di chiese che ammantò la nascente
Europa agli inizi dell’anno Mille. Così scrive: “Si era già quasi all’anno
terzo dopo il mille quando nel mondo intero, ma specialmente in Italia e nelle
Gallie, si ebbe un rinnovamento delle chiese basilicali… Pareva che la terra
stessa, come scrollandosi e liberandosi della vecchiaia, si rivestisse tutta di
un candido manto di chiese.”
Come si attuarono quelle
strategie insediative? Furono le parole dell’antico linguaggio architettonico
ad interpretare e costruire lo spazio pieno europeo non univocamente incentrato
sulla città romana. Fu così che la costituzione del nuovo paesaggio del romanico venne condotta dalle figure
matrici della basilica, della crociera, della pianta centrale, dell’abside, del
portale, della cripta, del recinto, del tumulo, della tomba a torre, del masso
avello e dalle matrici urbanistiche dell’agorà, dell’acropoli e della piazza
sagrato.
Lasnigo, chiesa di Sant'Alessandro
Secondo Virgilio Gilardoni (Il Romanico, Mondadori, 1963), “Lo
spirito di rigorosa coerenza stilistica ha trascinato a sua volta un
rivolgimento generale dei modi e delle concezioni costruttive, d’altronde
richiesto dalle nuove esigenze tecniche e tettoniche, ha sollecitato il
paesaggio dal sistema conglomerato della costruzione romana a quello elastico
romanico.”
Sulla scrittura architettonica
romanica “nessun ordine riveste più l’edificio: scompaiono le colonne
sovrapposte, le antiche trabeazioni, sostituite da una sola colonna, da una
parasta o da fasci di colonne e di paraste, da bande e da segna piani suggeriti
sempre dalle masse stesse o da ragioni comunque costruttive. Predilezione cosciente
che si afferma nella genuina dichiarazione delle forme costruttive… Lo spazio
acquista misure narrative e drammatiche, si scioglie in elementi e volumi che
non rinunciano alla propria individualità: l’atrio, il nartece, la centrale, le
navatelle, i bracci del transetto, il presbiterio, la cripta, l’abside, le
cappelle, le torri scalarie, il tiburio, la cupola, la torre o le torri
finestrate del transetto; ma tosto, appena liberate nella loro individualità,
le parti si riconnettono nell’unità del ritmo segnato dalle paraste, dalle archeggiature,
dalle fasce di archetti pensili, dalle cornici, che rispondono allo scheletro
interno di pilastri e di arcate e che dichiarano, nella nudità del loro sforzo,
la tensione di spinte e controspinte, l’organamento dei corpi murari, il
conflitto misurato, calcolato, delle masse costruttive e delle masse
atmosferiche.”
Albese con Cassano, San Pietro
Anche oggi possiamo abitare quei
paesaggi e quelle architetture del romanico, ancora prodotte, quasi per
filiazione, da quell’antico linguaggio architettonico che ha dato forma al
mondo.
Scrive Giovanni Testori: “Ormai i
soli nomi che riesco a scrivere senza essere sopraffatto da un’impressione di
falsità, sono i nome dei luoghi d’origine della mia famiglia: Lasnigo, Sormano…
Per me, deve esistere sempre, mentre scrivo una precisa incarnazione, o
co-incarnazione. Col passare del tempo… mi accorgo che in tutto questo corre
qualcosa di fondamentale, di decisivo”.
Bibliografia
Alberto Novati, Francesco Sala, Tra i due rami del lago di Como: paesaggi del romanico lombardo, GWMAX, Erba 2016.
1. Nesso: https://colnaghistoriaestorie.blogspot.com/2019/05/il-piccolo-borgo-dinesso-sul-lago-di.html
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