martedì 5 marzo 2019

“Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno…”
Da Lecco verso l’abbazia cistercense di Piona

Da Lecco, per raggiungere il piccolo promontorio dell’Olgiasca, sul quale è dolcemente adagiata l’abbazia cistercense di Piona, o per meglio dire il Priorato di Piona, poco prima che l’Adda si getti nel lago di Como, è consigliabile, dal punto di vista panoramico, percorrere la vecchia strada costiera. Quella, per intenderci, che attraversa tutte le piccole località che da Lecco portano a Colico, dove, “ad un tiro di schioppo”, inizia la Valtellina.
Da Lecco all’abbazia di Piona sono circa 40 chilometri. Un percorso che può essere tranquillamente intrapreso in bicicletta o con uno scooter. Comunque lo si voglia affrontare, la bellezza di alcuni luoghi e gli scorci panoramici sullo specchio d’acqua lariano meriterebbero alcune soste, senza lasciarsi sopraffare da quella frenesia visiva e cognitiva che contraddistingue i turisti di oggi e il popolo dei selfie.
Se un escursionista avesse buone gambe, fiato e il giusto tempo a disposizione, potrebbe raggiungere l’abbazia percorrendo a piedi il “sentiero del viandante”, in passato conosciuto come "via Ducale" o "via Regia", che riprende una serie di tracciati che anticamente collegavano i paesi della sponda orientale del lago, da Lecco a Colico, e che facevano parte di un più ampio sistema di collegamento da Milano ai passi alpini. L'origine della rete di comunicazione non è certa, ma di sicuro costituiva un sistema alternativo al trasporto tramite imbarcazioni sul lago e collegava diverse fortificazioni presenti sul territorio.

A Mandello del Lario, gli appassionati di motociclismo, volendo, potrebbero visitare il museo Moto Guzzi, posto all’interno dell’omonima fabbrica di motociclette. L'esposizione del museo ripercorre la storia della produzione delle moto, dai prototipi ai primi modelli di serie. Tra gli oltre 150 esemplari, spiccano la prima motocicletta costruita nel 1919 da Carlo Guzzi e il primo modello "Norge" del 1928. Il percorso espositivo si sofferma anche sulle moto di serie che furono molto diffuse nell'Italia del dopoguerra. Un'altra sezione è dedicata ai veicoli da corsa, dalla Guzzi 4V alla 350 che vinse il Campionato del Mondo nel 1950. Nell'ultima sezione sono illustrati con alcuni filmati i momenti più significativi della storia della produzione della fabbrica lariana.

Di seguito alcune foto di Varenna
 
 
 


Una manciata di chilometri separano Mandello da Varenna. Personalmente ritengo questa località la più bella e caratteristica della sponda lecchese del Lario, con squarci davvero incantevoli.  Varenna è situata su un promontorio roccioso sovrastato da un monte a picco, si propone da una parte come un vivace e moderno centro turistico, nodo della navigazione lacustre, dall’altra come custode di vestigia di un passato medievale tra i meglio conservati della zona dei laghi. Il centro storico del paese parte dalla piazza antistante la Chiesa di S. Giorgio, antico foro romano, e scende per le strette viuzze e scalinate verso il lungolago, dove si concentrano bar, ristoranti e negozi. Molto suggestiva è la passeggiata dell’amore, un percorso pedonale lungo una passerella a sbalzo sull’acqua che conduce dal centro del paese fino all’imbarcadero, dal quale si può raggiungere Bellagio in battello. Oltre al Castello di Vezio, in posizione sopraelevata, tra gli edifici di interesse storico e monumentale di Varenna spiccano Villa Cipressi, oggi adibita a hotel, e Villa Monastero, situata a pochi passi dal centro, uno degli esempi più interessanti di residenza in stile eclettico, circondata da un giardino di grande impatto scenografico.
 
Il santuario di Lezzeno visto da Bellano e, sotto, l'interno della chiesa
 
 
Proseguendo l’itinerario verso Piona, si incontra Bellano, famoso anche per la presenza sul suo territorio dell’Orrido, una cascata situata in una gola naturale che si stima si sia formata 15 milioni di anni fa, a causa dell'erosione delle acque del torrente Pioverna che, scolpendo il fondovalle, scavò un solco sempre più stretto e profondo che da Taceno raggiunge il Lario.
Dal lungolago di Bellano, alzando lo sguardo verso la collina, si scorge la frazione di  Lezzeno, nella quale, il 6 agosto 1688 la leggenda narra che  il contadino Bartolomeo Mezzora, sorpreso da un furioso temporale mentre lavorava nei campi, si rifugiò in una piccola cappella con all'interno un medaglione raffigurante l'immagine di una Madonnina. Quando il contadino iniziò a pregare verso l'immagine sacra, chiedendo clemenza per i suoi vigneti, si accorse che l'immagine della Madonna stava piangendo lacrime di sangue. Due anni più tardi iniziò la costruzione del santuario sul colle vicino al luogo in cui avvenne il miracolo. Il santuario è in stile barocco classicheggiante, con navata a volte, presbiterio rettilineo, ed una bella cupola affrescata. La facciata è a tre colori ed ai lati dell’arco si trovano due grandi nicchie con le statue di San Pietro e San Giuseppe. L'interno è costituito da tre pregiati altari: quello maggiore, che risale al 1746 ed è fatto di marmi policromi, ed i due laterali, quello di sinistra dedicato a San Giuseppe e quello di destra, settecentesco, dedicato a Sant’Anna. La volta e le pareti del santuario sono ricoperte di affreschi di Luigi Morgari e sulla cupola si possono ammirare gli angeli che portano in cielo Maria, alla quale viene offerto lo stemma di Bellano.
 
Scendendo da Lezzeno si riprende la provinciale verso nord. Superato l’abitato di Dorio un cartello turistico indica che per l’abbazia di Piona occorre svoltare a sinistra, percorrere un breve tratto di strada in leggera salita e quindi svoltare nuovamente a sinistra. Lasciati alla spalle un paio di ristoranti e alcune villette immerse nel verde, ciò che appare di fronte a noi è una strada in leggera discesa, pavimentata con ciottoli di fiume ben arrotondati e levigati. Qualche modesto avvallamento e cedimento del terreno consiglia di affrontarla con la dovuta prudenza.  
L’abbazia, o meglio il Priorato di Piona, ci appare dopo una manciata di minuti, adagiata sull’estremità del promontorio dell’Olgiasca e incorniciata dai monti Legnone e Legnoncino. 
La prima fonte in possesso della comunità dei religiosi e degli storici attesta che nel VII secolo d.C. in quel territorio esisteva una comunità monastica, probabilmente di impostazione eremitica.
Il luogo, abitato fin dall'antichità da Celti e Romani, divenne caposaldo longobardo alla fine del VI sec. Nel 616 vi giunse Agrippino, vescovo di Como, che edificò un oratorio dedicandolo a Santa  Giustina, come testimonia un cippo in marmo bianco, con l’iscrizione: ''Monaci dell'abbazia cluniacense di S. Pietro in Vallate vi si stabiliscono costruendo una grangia". Edificano una chiesa più ampia, in stile romanico, dedicata alla Beata Vergine Maria, che nell'anno 1138 venne consacrata dal vescovo Ardizzone. L'abside è affrescata: al centro del catino il "Cristo Pantocratore", Signore del mondo, ai lati i quattro evangelisti, rappresentati nei noti simboli di leone, aquila, angelo e bue. Sotto, i dodici apostoli in atteggiamento di preghiera. Nel 1154 la chiesa fu ampliata e dedicata a un nuovo patrono: San Nicola. Nel 1252 venne attuata a spese del priore del monastero, Ser Bonacorso De Canova di Gravedona, l'opera artistica di maggior risalto dell’intera abbazia: il chiostro, che mostra ancora oggi l’antica bellezza e la religiosità medievale nei capitelli, che raffigurano piante e animali. In un documento della curia vescovile di Como, datato 1256, il monastero di Piona è indicato come uno dei dodici più ricchi di tutta la diocesi.

 


Nel 1798, per ordine del Direttorio della Repubblica Cisalpina, tutti i beni dell'abbazia vennero incamerati dal dipartimento dell'Adda e messi all'asta. Solo un secolo dopo iniziò il restauro della chiesa, con contributi governativi e sovvenzioni del comune e della provincia di Como.
All'inizio del XX secolo comincia
rono nuovi lavori per il recupero del chiostro e della chiesa, ma il monastero tornò a rivivere solo nel 1938, quando l’imprenditore Pietro Rocca acquistò l’edificio e, con l’aiuto della madre Annetta Pogliani, a causa di una disgrazia in famiglia, decise di affidare il monastero come gesto di purificazione e perdono alla Congregazione dei cistercensi di Casamari (Frosinone).
La chiesa appare, in tutta la sua sobria eleganza, leggermente arretrata rispetto al lato occidentale del monastero cui si appoggia. Sulla facciata si apre la porta bronzea dello scultore Giuseppe Abram (1982); i due battenti sono ripartiti in sei riquadri rappresentanti la storia di san Benedetto, tratti da "I Dialoghi" di san Gregorio Magno. Sono di Abram anche le formelle che ritraggono le scene della "Via  Crucis" lungo le pareti interne della navata. Sulla facciata si apre una monofora, mentre una serie di arcatelle segue gli spioventi del tetto e prosegue lungo le pareti laterali, la cui superficie è scandita da monofore e sottili lesene. A destra dell'abside si erge il campanile quadrangolare, un rifacimento del XVII secolo, la cui verticalità è rallentata da tre cornici marcapiani. Sui lati del campanile si susseguono con ritmo ascensionale e alterno loculi e feritoie fino alla cella campanaria che prende respiro da quattro fornici a tutto sesto.


 


Qualche considerazione anche sul chiostro. Realizzato intorno al 1242 in uno stile di passaggio tra il romanico e il gotico, è il punto di riferimento di tutto il complesso monastico. L'edilizia claustrale si ispira al peristilio della villa romana nell'intento di raccordare le parti dell'intero monastero. Nel periodo della riforma cluniacense nascono in Europa numerosi monasteri che ricalcano il  modello della casa madre Cluny. 
Il chiostro è il luogo del silenzio, non quanto alla rinuncia della comunicazione interpersonale, ma perché è attraverso il silenzio che è possibile il dialogo con Dio. La struttura quadrangolare del chiostro evoca la forza simbolica del numero quattro: i quattro elementi dell'universo, i quattro punti cardinali, il disprezzo di se, il disprezzo del mondo, l'amore del prossimo, l'amore di Dio. Al centro del chiostro la fonte e l'albero raffigurano la fonte delle delizie e l'albero della vita del paradiso terrestre. Sulle due lapidi del 1252 e del 1257 si legge che il chiostro di Piona fu fatto costruire dal priore Bonacorso de Canova di Gravedona. Gli archi a tutto sesto delle gallerie poggiano su capitelli compositi e sono marcati da ghiere in mattoni rossi. Di incredibile bellezza i capitelli decorati con motivi vegetali e figurati, oltre agli affreschi “Calendario con Santi” degli inizi del XIII secolo e “Miracolo di San Benedetto”, della fine del XII secolo.


 



La sala capitolare, posta sul lato orientale del chiostro, prende il nome dalla sua antica funzione di luogo di lettura del Capitolo della Regola e del Capitolo delle Colpe, nei quali i monaci si accusavano delle colpe commesse e chiedevano perdono ai fratelli.
Attualmente, in questa sala la comunità elegge, con votazione segreta, il superiore, discute i problemi più importanti, ammette postulanti al noviziato e alla vestizione dell'abito monastico e si riunisce per la lecito divina. L'aspetto attuale della sala è il risultato degli ultimi restauri.
Gli stalli e le spalliere in legno - di scuola veneziana del secolo XVIII - provengono dalla sagrestia di San Zeno a Verona. Lo stile classicheggiante, con colonne tortili e lesene sormontate da capitelli compositi, è arricchito da pannelli intarsiati. Particolare attenzione meritano il pannello raffigurante il sole che irradia luce sulla terra e i due pannelli con la cacciata di Adamo ed Eva dal paradiso terrestre. 

Beniamino Colnaghi 

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