domenica 4 marzo 2012

Pasolini a 90 anni dalla nascita.

Il 5 marzo 1922 nasceva a Bologna Pier Paolo Pasolini. Sono trascorsi 90 anni da quel giorno ed oltre 36 dalla tragica notte fra il 1 e il 2 novembre 1975 quando, sul litorale di Ostia, il poeta fu massacrato da alcune persone non ancora identificate. Le indagini sono state riaperte da un paio d’anni, ma ciò che appare ormai certo è che nel “caso Pasolini” siano in campo diverse ipotesi sulla dinamica dell’assassinio, sugli autori materiali e sugli eventuali mandanti.
Alcune circostanze della morte di Pasolini, quindi, non sono ad oggi ancora state chiarite. Contraddizioni nelle deposizioni rese dall'omicida, un "chiacchierato" intervento dei servizi segreti durante le indagini e alcuni passaggi a vuoto o poco coerenti riscontrati negli atti processuali, sono fattori che lasciano aperte le porte a più di un dubbio.




Pier Paolo Pasolini con Anna Magnani


Non è mia intenzione, tuttavia, ripercorrere e richiamare qui la bontà o meno degli aspetti investigativi e giudiziari seguiti alla morte di Pasolini. Con questo breve pensiero vorrei, prendendo spunto dall’anniversario della sua nascita, invitare i lettori a scoprire, per chi non l’avesse mai letta, l’opera pasoliniana oppure a potenziare il profilo di Pasolini per coloro che già conoscono il suo enorme lavoro artistico, complesso e articolato, che spazia dalla poesia alla narrativa, dal teatro al cinema, dal giornalismo alla critica letteraria, fino al suo straordinario ruolo di intellettuale scomodo e controcorrente, perfino per la stessa sinistra.

Chi, prima e più di lui, fu profetico e lungimirante al punto di scrivere, oltre quarant’anni fa, sulla “mutazione antropologica” cui andava incontro la società italiana oppure chiedendo un “processo” per la classe dirigente del Paese, che lui chiamava “il Palazzo”, ovvero denunciando la perdita della passione civile e intellettuale degli italiani, i quali “applaudono soltanto i luoghi comuni, mentre sarebbe il caso di coltivare l’atrocità del dubbio”.

Più di quanto possa valere un articolo di ricorrenza, ritengo sia più utile e illuminante riproporre una delle sue tante testimonianze. Siamo a Milano nel 1974. Pasolini era presente ad un dibattito avente titolo “Ideologia e politica nell’Italia che cambia” al quale partecipavano anche il pittore Renato Guttuso e Giorgio Napolitano, l’attuale presidente della Repubblica.
A me pare che diversi concetti da lui espressi ed alcune denunce contenute nel suo discorso siano di estrema attualità (modelli culturali, corruzione, ruolo della televisione, sviluppo e progresso…) e siano diventati dei nodi mai sciolti nella nostra società, anzi, oserei dire che la loro degenerazione e la distorsione dei loro processi evolutivi ci hanno condotti alla grave crisi economica, sociale ed etica di oggi, alla “mutazione antropologica” degli italiani.



Alberto Moravia, Pasolini e Laura Betti


Che cosa dobbiamo oggi a Pasolini? Soprattutto riconoscenza per il suo lascito culturale e artistico e gratitudine perchè ci ha insegnato a non accettare compromessi di alcun tipo, a non discriminare alcuno, a non dare troppo peso al potere e al denaro, a stare alla larga dalla televisione, a provare vera gioia ammirando un dipinto o a leggere un buon libro, a non cambiare le idee (politiche, sociali, esistenziali) ad ogni stormir di fronde, ad apprezzare la lealtà, l’amicizia, la generosità che era un tratto tanto caratteristico della personalità pasoliniana, a non assumere un determinato comportamento perché “è di moda”, ad essere laici nel pensiero e nei comportamenti, a stigmatizzare le gerarchie ecclesiastiche quando ingeriscono ed eccedono nella vita delle persone. In una parola: a non conformarsi per ignoranza o per pigrizia mentale a ciò che viene definito comunemente “la normalità”.

Beniamino Colnaghi



Pier Paolo Pasolini - Milano, 7 settembre 1974

Premesse…
Dirò subito che la mia tesi è molto più pessimistica, più acremente dolorosamente critica di quella di Napolitano. Essa ha come tema conduttore il genocidio: ritengo cioè che la distruzione e sostituzione di valori nella società italiana di oggi porti, anche senza carneficine e fucilazioni di massa, alla soppressione di larghe zone della società stessa. Non è del resto un’affermazione totalmente eretica e eterodossa.
C’è già nel Manifesto di Marx un passo che descrive con chiarezza e precisione il genocidio ad opera della borghesia verso determinati strati delle classi dominate, soprattutto non operai, ma sottoproletari o certe popolazioni coloniali. Oggi l’Italia sta vivendo in maniera drammatica per la prima volta questo fenomeno: larghi strati che erano rimasti fuori della storia, la storia del dominio borghese e della rivoluzione borghese, hanno subìto questo genocidio, ossia questa assimilazione al modo e alla qualità di vita della borghesia. Come avviene questa sostituzione di valori? Io sostengo che oggi essa avviene clandestinamente, attraverso una sorta di persuasione occulta. Mentre ai tempi di Marx era ancora la violenza esplicita, la conquista coloniale, l’imposizione violenta, oggi i modi sono molto più sottili, abili e complessi, il processo è molto più tecnicamente maturo.

Mi spiegherò meglio tornando al mio solito modo di parlare, da letterato. In questi giorni sto scrivendo il passo di una mia opera in cui affronto il tema in modo appunto metaforico: immagino una specie di discesa agli inferi, dove il protagonista, per fare esperienza del genocidio, percorre la strada principale di una borgata, della periferia di una grande città meridionale e gli appare una serie di visioni. Ognuna di esse è una specie di bolgia, di girone infernale della Divina Commedia: all’imbocco c’è un determinato modello di vita messo lì di soppiatto dal potere, al quale soprattutto i giovani ed i ragazzi, che vivono nella strada, si adeguano rapidamente. Essi hanno perduto il loro antico modello di vita, quello che realizzano vivendo e di cui in qualche modo erano contenti e persino fieri, anche se implicava tutte le miserie e i lati negativi. E adesso cercano di imitare il modello nuovo messo lì dalla classe dominante di nascosto.

Quali sono questi modelli?

C’è il modello che presiede a un certo edonismo interclassista, il quale impone ai giovani che inconsciamente lo imitano di adeguarsi nel comportamento, nel vestire, nelle scarpe, nel modo di pettinarsi o di sorridere, nell’agire come ciò che vedono nella pubblicità…..
I risultati sono evidentemente penosi perché un giovane povero non è ancora in grado di realizzare questi modelli, e ciò crea in lui ansie e frustrazioni che lo portano alle soglie della nevrosi.

Oppure c’è il modello della falsa tolleranza, della permissività. Nelle grandi città e nelle campagne del centro-sud vige ancora un certo tipo di morale popolare, piuttosto libero, certo, ma con tabù che erano suoi e non della borghesia, non l’ipocrisia, ad esempio, ma semplicemente una sorta di codice a cui tutto il popolo si atteneva; a un certo punto il potere ha avuto bisogno di un tipo diverso di suddito, che fosse prima di tutto un consumatore, e non era un consumatore perfetto se non gli si concedeva una certa permissività nel campo sessuale….

O un terzo modello che io chiamo dell’afasia, della perdita di capacità linguistica. Tutta l’Italia aveva proprie tradizioni regionali, o cittadine, di una lingua viva, di un dialetto che era una lingua vivente, rinsanguata da continue invenzioni nella quale nascevano battute nuove, spiritosaggini e parole impreviste. C’era una meravigliosa vitalità linguistica. Il modello messo lì dalla classe dominante li ha ora bloccati linguisticamente, si è caduti in una specie di nevrosi afasica….

Perché è successa questa tragedia, questo genocidio dovuto all’acculturazione imposta subdolamente?
Ma perché la classe dominante ha scisso nettamente “progresso” e “sviluppo”. Ad essa interessa solo lo sviluppo, perché solo da lì trae i suoi profitti. Bisogna farla una buona volta una distinzione drastica tra i due termini “progresso” e “sviluppo”. Si può concepire uno sviluppo senza progresso, cosa mostruosa che è quella che viviamo in circa due terzi d’Italia: ma in fondo si può concepire anche un progresso senza sviluppo, come accadrebbe se in certe zone contadine si applicassero nuovi modi di vita culturale e civile anche senza o con un minimo di sviluppo materiale.

Quello che occorre è prendere coscienza di questa dissociazione atroce e rendere partecipi le masse popolari perché essa scompaia, e sviluppo e progresso coincidano….
Lo sviluppo che questo nuovo potere vuole dà un colpo di spugna al fascismo tradizionale, che si fondava sul nazionalismo o sul clericalismo, su vecchi ideali, e instaura una forma di fascismo nuovo e ancora più pericolosa. E’ in corso nel nostro paese questa sostituzione di valori e di modelli, sulla quale hanno avuto grande peso i mezzi di comunicazione di massa e in primo luogo la televisione. Con questo non sostengo affatto che tali mezzi siano in sé negativi: sono anzi d’accordo che potrebbero costituire un grande strumento di progresso culturale, ma finora sono stati un mezzo di spaventoso regresso, di genocidio culturale…..
La distruzione di valori in corso non implica una immediata sostituzione di altri valori, col loro bene e il loro male, col necessario miglioramento del tenore di vita e insieme un reale progresso culturale.

C’è nel mezzo un momento di imponderabilità e qui e ora sta il grande pericolo. Pensate a cosa può significare in queste condizioni una recessione economica, e vi corre un brivido se vi si affaccia il parallelo con la Germania degli anni Trenta. Qualche analogia il nostro processo di industrializzazione degli ultimi dieci anni con quello tedesco di allora ce l’ha: fu in tali condizioni che il consumismo aprì la strada, con la recessione degli anni ’20, al nazismo….
Quando vedo intorno a me i giovani che stanno perdendo gli antichi valori popolari e assorbono i modelli imposti dal capitalismo, e rischiano una forma di disumanità, una forma di atroce afasia, una assenza di capacità critiche, una passività, ricordo che erano le forme tipiche delle SS e vedo stendersi sulle nostre città l’ombra orrenda della croce uncinata. Una visione apocalittica la mia.

Ma se accanto ad essa e all’angoscia che la produce, non vi fosse in me anche un elemento di ottimismo, il pensiero cioè che esiste la possibilità di lottare contro tutto questo, semplicemente non sarei qui.

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