28 dicembre 1943: l’eccidio dei sette fratelli Cervi ad opera dei fascisti
In Italia ci sono luoghi
apparentemente marginali e laterali che, se gli si dedica una visita con il
giusto approccio curioso e interessato, sanno raccontare molto, consentendo esperienze
uniche e stimolanti, non solo nel campo storico, ma anche in quello culturale,
agroalimentare, dell’innovazione.
Uno di questi luoghi è a
Gattatico, un piccolo paese in provincia di Reggio Emilia. Custodisce un
passato d’inestimabile importanza e ne fa un motivo imprescindibile per
guardare avanti.
Tutto si svolge attorno
all’Istituto Alcide Cervi, che sorge in quella che fu la cascina della famiglia
Cervi e che prende il nome del padre di sette fratelli, contadini e partigiani,
vittime della repressione e della barbarie fascista.
La storia di questa famiglia
appassiona ed emoziona principalmente per due motivi: da una parte perché è una
storia di contadini e fa parte della storia della vita e delle tradizioni del
nostro Paese, dall’altra perché costituisce una testimonianza d’impegno civile.
La famiglia Cervi attraversa il
Novecento passando dalla condizione di mezzadri a quella di affittuari,
coltivando la terra e cercando nella terra quel riscatto dalla miseria che
contraddistingueva l’Italia della prima metà del secolo scorso.
In casa Cervi
circolavano parecchi libri e le discussioni politiche erano all’ordine del
giorno. In questo contesto fu quasi naturale la nascita di quello spirito
antifascista che costituì un carattere fondante del nucleo che segnò per sempre
il destino dei sette figli maschi. Sempre qui avvenne l’incontro dei fratelli
Cervi con Dante Castellucci, un partigiano poi fucilato dai suoi stessi
compagni, poco prima dei fatti che portarono alla caduta del fascismo, e ciò
sarà determinante per i Cervi perché entreranno a far parte attiva nella
Resistenza.
Ma la rivoluzione di casa Cervi
non è solo politica, è anche sindacale: il loro senso di giustizia sociale li
ha portati a scelte importanti. La famiglia è unita e progressista, spinta
all’innovazione, a guardare avanti, tutti elementi che saranno fondamentali
anche per lo sviluppo della loro azienda agricola. Poter migliorare il lavoro
agricolo è per i Cervi la condizione indispensabile per uscire dalla povertà e
dallo sfruttamento della mezzadria. Con queste convinzioni, nel 1934 la
famiglia si stabilisce nel podere Campirossi, in località Gattatico, dando
inizio all’attività di affittuari. Il lavoro è duro e tutti insieme si
impegnano a trasformare il loro podere, non particolarmente fertile, in
un’attività produttiva evoluta attraverso gli studi innovativi sulle pratiche
agricole. Il simbolo di modernità dell’azienda è il trattore Balilla,
acquistato dai Cervi nel 1939. Nonostante la scarsa alfabetizzazione, ai Cervi
piaceva leggere, documentarsi, imparare non solo per migliorare le tecniche del
loro lavoro, ma anche per il proprio accrescimento culturale.
La famiglia Cervi. Al centro, seduti, papà Alcide e mamma Genoeffa (1)
Con
la dichiarazione di Mussolini che certificava l’entrata in guerra dell’Italia il
10 giugno 1940, la situazione nel nostro Paese peggiorò ulteriormente. Nella notte
tra il 24 e il 25 luglio 1943, Benito Mussolini
venne esautorato dal Gran Consiglio del Fascismo e subito dopo deposto dal re
Vittorio Emanuele III. Furono giorni aggrovigliati, inquieti, densi di agguati,
tradimenti e vendette.
La notizia esplose nel paese come un fulmine a
ciel sereno. Poco più di un mese dopo, l'armistizio di Cassibile fu diramato l'8 settembre del 1943, e
prevedeva la resa incondizionata italiana alle forze alleate con il disimpegno italiano dall'alleanza dell'Asse e l'inizio di fatto della cobelligeranza tra Italia e Alleati in caso di reazione della Germania nazista. L'annuncio
dell'armistizio ebbe per conseguenza l'occupazione dei territori italiani da parte tedesca e l'inizio della Resistenza e della guerra di liberazione italiana contro il nazifascismo.
Così,
mentre avveniva il totale sbandamento delle forze armate, le armate tedesche
della Wehrmacht e delle SS presenti in
tutta la penisola poterono far scattare l'Operazione Achse, occupando
tutti i centri nevralgici del territorio nell'Italia settentrionale e centrale,
fino a Roma, sbaragliando quasi
ovunque l'esercito italiano: la maggior parte delle truppe fu fatta prigioniera
e venne mandata nei campi di internamento in Germania, mentre il resto
andava allo sbando e tentava di rientrare al proprio domicilio. Di questi
ultimi, una buona parte, quella più politicizzata, si diede alla macchia, andando
a costituire i primi nuclei del movimento partigiano che partecipò attivamente
alla resistenza italiana.
Dentro questo clima complicato,
il 25 novembre 1943 casa Cervi viene circondata e al primo mattino, dopo uno
scontro a fuoco, i sette fratelli vengono arrestati. Anche il padre Alcide, che
non voleva abbandonarli, seguirà la stessa sorte. Gelindo, Antenore,
Ferdinando, Aldo, Agostino, Ovidio ed Ettore Cervi rimasero in carcere a Reggio
Emilia sino al 28 dicembre, quando vengono trasferiti al Poligono di tiro, appena
fuori Reggio, e lì fucilati come rappresaglia per l’uccisione del segretario
comunale di Bagnolo in Piano. Anche don Pasqualino Borghi, parroco di Tapignola,
morirà fucilato al Poligono, in quanto fervente antifascista e facente parte del
movimento partigiano con il nome di Albertario. La sua canonica fu un rifugio
sicuro per tanti perseguitati e ricercati dalla milizia fascista, ebrei,
militari sbandati.
La tomba dei Cervi al cimitero di Campegine (RE)
Alcide Cervi
Alla fine la casa della famiglia
venne bruciata dai fascisti, con le donne ed i bambini
abbandonati in strada. Papà Cervi era ancora in cella e non fu nemmeno
informato quando i suoi figli vennero condannati a morte e fucilati. “Dopo un
raccolto ne viene un altro, bisogna andare avanti”. Queste le parole del
vecchio “Cide” quando, tornato a casa dal carcere, seppe dalla moglie Genoeffa
la tragica fine dei suoi ragazzi. Da quel giorno infatti, furono le donne dei
Cervi a lavorare la terra con Alcide e con gli 11 nipoti.
Nell’immediato dopoguerra, il
Presidente della Repubblica appuntò sul petto del vecchio padre sette Medaglie
d’argento, simbolo del sacrificio dei suoi figli. Papà Cervi viaggiò in mezzo
mondo, rappresentando la Resistenza italiana, partecipando alle grandi
manifestazioni politiche, partigiane ed antifasciste. Morì a 94 anni il 27
marzo 1970, salutato ai suoi funerali da oltre 200.000 persone.
L’Istituto Alcide Cervi gestisce
la casa museo dei Cervi, oggi uno straordinario museo della storia
dell’agricoltura, dell’antifascismo e della Resistenza, e la Biblioteca
Archivio Emilio Sereni, che ospita la biblioteca privata di questo importante
scrittore, politico e storico italiano. Entrambe le strutture sono visitabili.
Beniamino Colnaghi
Note
1) Fonte Wikipedia https://commons.wikimedia.org/wiki/File:La_famiglia_Cervi.jpg?uselang=it
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