di Giorgio Federico
Brambilla
Nell’area lombarda la
corte rappresenta senza dubbio l’immagine più tipica e riconoscibile del
paesaggio agricolo. Vi è però una notevole differenza tra le corti della Bassa
pianura irrigua e quella dell’Alta pianura asciutta: a sud di Milano le grandi
corti sono “monoaziendali” cioè condotte direttamente dalla proprietà tramite
un fattore il quale, come un capitano d’industria, governa l’azienda agricola
in cui lavorano decine di contadini. A nord della città, in Brianza, le corti
sono invece “pluriaziendali”, cioè condotte da più famiglie contadine, ciascuna
delle quali è una piccola azienda autonoma.
Gli
edifici a corte, un tempo classificati come “architettura minore”, segnano il
territorio rurale e la sua evoluzione: solo di recente la storia
dell’architettura li ha considerati degni di studio, in quanto portatori di un
valore di testimonianza di una cultura materiale così complessa ed evoluta.
Tale tipologia architettonica è così
diventata oggetto di numerosi studi che ne hanno ipotizzato origini ed
evoluzioni differenti a seconda dell’ambito geografico a cui la corte si
insedia. Soprattutto l’origine è molto dibattuta: se dapprima veniva
esclusivamente fatta risalire al periodo della conquista romana, studi condotti
da Caraci(2)
negli anni Trenta la riconducono, per quanto riguarda l’area lombarda, al
periodo celtico, nel quale si sarebbe sviluppato il tipo base elementare,
matrice delle successive articolazioni tipologiche.
La
tipologia della corte era sicuramente assai diffusa in epoca romana, quando la
conquista di nuovi territori determinava un’organizzazione e una regolamentazione
del paesaggio agrario, basata sulla sua suddivisione in centurie. Nel mondo
romano la corte assume l’aspetto di “villa rustica”, luogo di organizzazione
della produzione agricola del latifondo, dove si sviluppa uno sfruttamento dei
terreni a coltura, grazie all’impiego di grandi quantità di manodopera
schiavile. La tipologia stessa trova conferma nella corte monastica in periodo
medievale, di cui si hanno molti esempi soprattutto nella Bassa pianura
irrigua, dove la fondazione di un monastero comportava la bonifica e il
dissodamento dei terreni che lo circondavano e l’instaurarsi di una produttiva
attività agricola.
In
merito comunque all’effettiva utilità di dimostrare una diretta origine della
tipologia rurale e corte da tali antichi ascendenti forse giova ricordare la
naturale tendenza dell’uomo a disporre i vari elementi della dimora quando si
sente la necessità e si ha la possibilità di aumentarne il numero intorno ad un
cortile quadrangolare, chiuso o aperto: così che le dimore a corte sono presenti
nelle più disparate e lontane regioni della terra.
Verderio, la cascina La Salette in una foto degli anni '80
Alla
fine del Seicento probabilmente non vi era ancora una grande differenza tra le
dimore rurali della Bassa e dell’Alta pianura, è stato solo a seguito dei
notevoli investimenti nella zona irrigua da parte dei grandi proprietari
terrieri dell’epoca, residenti principalmente a Milano, che ebbe inizio la
progressiva differenziazione ed evoluzione dell’agricoltura nella Bassa e
quindi lo sviluppo di un sistema di conduzione delle cascine in senso capitalistico
che portò all’affermazione della grande corte
monoaziendale come tipologia prevalente a sud della città, mentre a nord,
sull’altopiano asciutto, a causa della minore fertilità del suolo,
l’agricoltura non fu soggetta al medesimo radicale e rapido sviluppo, con una
conseguente più lenta e naturale evoluzione delle dimensioni delle dimore
rurali dalle semplici forme settecentesche a quelle più complesse
ottocentesche, con il consolidarsi della corte
pluriaziendale come tipologia usuale(3).
L’evoluzione
tipologica avviene per addizione di
nuovi corpi attorno alla corte centrale, tanto da portare, al suo massimo
sviluppo, alla formazione di una corte chiusa completamente all’interno di un
recinto fortificato. Se fino al Seicento, quindi, la tipologia maggiormente
diffusa è quella più semplice, con pochi corpi disposti attorno alla corte e
con un uso ancora unifamiliare, tra Settecento e Ottocento la tipologia si
evolve in forme più complesse, aumentando il numero dei fabbricati che tendono
alla chiusura della corte, diventando un organismo edilizio plurifamiliare.
Le
modificazioni non avvengono solo a livello planimetrico, ma anche in altezza:
la stragrande maggioranza degli edifici più antichi pervenuti sino a noi si
presentano su due piani, un’altezza legata alla tecnica costruttiva più diffusa
in ambito rurale costituita da murature portanti realizzate prevalentemente in
sassi con solamente alcuni corsi in mattoni.
Verderio, la cascina Airolda, in una recente foto
Alla
fine dell’Ottocento si cominciano invece a costruire normalmente edifici a tre
piani per due ragioni: da un lato si ha un generale incremento demografico, e
quindi una maggiore richiesta di vani d’abitazione, dall’altro, grazie alle
nuove tecnologie produttive, i mattoni di laterizio diventano disponibili in
grandi quantità e ad un costo decisamente inferiore rispetto al passato.
Il
consolidamento dell’ordine rurale di tipo mezzadrile, soprattutto
nell’altopiano, era avvenuto già a partire dal XVII secolo, ma fu dopo il
periodo delle riforme avviato dal governo austriaco, il quale promosse varie
iniziative per uno sfruttamento più razionale del suolo alla metà del XVIII secolo, che l’attività
agricola ebbe un impulso allo sviluppo come mai prima era accaduto.
Dal
Catasto Teresiano è così possibile desumere la situazione di partenza, mentre
dal confronto con il successivo rilevamento catastale, il nuovo Catasto
Austriaco di metà Ottocento, evidenzia come vi sia stata una notevole crescita
economica del comparto agricolo, soprattutto dove, come nel caso dell’Alta
pianura asciutta, la coltivazione della vite e del gelso associata a quella dei
cereali, era assai redditizia, con il conseguente consolidamento ed ampliamento
delle dimore rurali.
Tra la fine
dell’Ottocento e il primo decennio del Novecento si assiste all’edificazione di
nuove cascine e corti, caratterizzate da grandi impianti regolari,
segno di una maturità psicologica che si arricchisce di un nuovo gusto per la
monumentalità, come esemplificato dalle tante facciate con timpano centrale
classicheggiante.
Al
di là delle diversità legate al grado di evoluzione raggiunto in ciascun luogo
dalla tipologia a corte, ciascun episodio è chiaramente riconducibile ad uno
schema insediativo comune, caratterizzato da uno spazio collettivo centrale in
cui si convogliano pratiche di vita comune e privata di più nuclei familiari,
tanto da definire l’insieme come un organismo autonomo, tendente all’isolamento
rispetto all’esterno. Ciò è facilmente ravvisabile nelle modalità di relazione
della corte con l’esterno. Gli edifici
si aprono verso l’interno con portici e loggiati, ribadendo una sorta di
autocontenimento delle risorse vitali all’interno della corte stessa. I portici
ed i loggiati antistanti i corpi residenziali, oltre a proteggere uomini e
attrezzature dalla pioggia, sono in genere rivolti a sud proprio per catturare
i raggi solari utili per l’essicazione dei prodotti della terra.
La
tipologia a corte è propria dell’architettura rurale e configura spazialmente
la risposta ad esigenze di tipo sociale ed economico produttivo: innanzitutto a
quella di non dispersione delle dimore rurali nel territorio, in modo di
conseguire una sorta di “economia di scala”, legata alle necessità primarie di
sussistenza. Esempio ne sia, soprattutto nell’Alta pianura lombarda, il
problema dell’approvvigionamento idrico: lo scavo di un pozzo era un’opera
assai ardua e onerosa, ma la presenza in ogni corte di un unico pozzo in comune
risolveva l’esigenza idrica di molte unità produttive contemporaneamente.
Le
corti monoaziendali della Bassa sono
più note alla cultura accademica in quanto le loro maggiori proporzioni le
hanno rese più appetibili agli occhi degli studiosi. Le corti pluriaziendali dell’Alta pianura asciutta sono meno
conosciute e vengono spesso confuse con le altre; sebbene normalmente di minori dimensioni
queste corti sono però la testimonianza di un’organizzazione
sociale basata sulla minima unità produttiva costituita dalla singola famiglia
contadina, che in circa due secoli e mezzo ha formato quella mentalità
microimprenditoriale che forse può contribuire a spiegare il successo
industriale ed economico della Brianza, fondata nella piccola e media impresa.
Le
dimore contadine dell’altopiano, pur mantenendo come elemento centrale la
corte, si differenziano dalle abitazioni rurali della Bassa per le dimensioni
più ridotte e per la diversa distribuzione degli edifici. Le dimensioni dei
lati variano normalmente da una lunghezza di 25-30 metri ad un massimo di 60
metri; non tutti i lati della corte sono occupati da edifici, ma possono essere
delimitati da un muro di cinta o di siepi.
La cascina Malpensata, a Verderio, meglio conosciuta come Casineta
Gli edifici principali
sono quelli riservati alle abitazioni ed alle stalle, tra i quali non
intercorre un rapporto spaziale definito a priori. L’ingresso alla corte delle
cascine è solitamente collocato lungo il muro di cinta o ricavato dallo spazio
esistente tra due costruzioni, mentre nei complessi posti nei centri abitati
l’accesso è costituito è costituito a un androne ad arco posto nel mezzo del
fabbricato che si affaccia sulla strada. Il
cortile interno è semplicemente pavimentato in terra battuta o rizzata,
ombreggiato da gelsi e alberi da frutto, in cui vi sono il pozzo e i servizi
comuni.
Qui
trovano posto le latrine (i cess),
mentre il pozzo, che è sempre
presente nelle cascine, lo è solo in alcuni casi nei centri abitati. Stesso
discorso vale per il forno, anche se è meno frequente, e spesso manca anche
nelle cascine più vicine al centro abitato. Il corpo di fabbrica delle
abitazioni presenta un impianto modulare, dato da un susseguirsi di ambienti
uguali: ad ogni nucleo famigliare è infatti assegnato un locale al piano terra
ed uno al piano superiore.
Al
piano terreno si trova la cucina, con il
focolare, un ambiente molto povero e spoglio, mentre al piano superiore
sono collocate le stanze con i letti.
Il
corpo delle abitazioni è dunque solitamente a due piani con l’affaccio
principale a sud sul cortile, facciata in cui compaiono portico, loggiato e
ballatoio aggregati in diverse soluzioni compositive. Il portico è sicuramente
la struttura che caratterizza la tipologia a corte: esso regola il soleggia
mento degli ambienti retrostanti, funge da riparo per i prodotti agricoli e, in
caso di maltempo, consente ai contadini di svolgere le proprie mansioni in un
luogo riparato.
Negli
esempi più semplici, al primo piano si ha il ballatoio che conduce alle camere. Nelle corti più evolute al primo
piano si ha un loggiato che incrementa lo spazio disponibile all’aperto,
riparato dal porticato. In quest’ultimo caso è frequente l’utilizzo del sottotetto come locale di deposito cui
si accede direttamente dal loggiato con delle scale a pioli o con un ballatoio.
Nei
fabbricati della fine dell’ottocento o del principio del Novecento con tre
piani abitati, la soluzione normale è con un loggiato al primo piano e un
ballatoio al secondo piano, raramente si ha un secondo loggiato.
I rustici
sono disposti sui restanti lati e, come le abitazioni, sono suddivisi in unità
modulari assegnate ciascuna ad una famiglia: al piano terra vi è la stalla e nella parte superiore il fienile. La stalla può essere
ulteriormente ripartita mediante basse paretine in legno in tre spazi, per
ospitare le mucche, il cavallo o l’asino, talvolta il maiale; il fienile è
semplicemente costituito da campate scandite
da pilastri, separate da divisori in legno.
Nel
caso di corpi di fabbrica molto lunghi, alcuni divisori fra i fienili possono
essere realizzati in muratura, la quale, prolungata sopra il manto di
copertura, serviva ad evitare il propagarsi delle fiamme in caso di incendi; il
fronte sul cortile è aperto, mentre il lato posteriore è chiuso con stuoie in
paglia di segale o con dei pannelli di legno a listelli o tavole verticali
oppure, a partire dall’Ottocento, con grigliati di mattoni.
Note
1. Articolo
apparso sul periodico la curt, a cura
dell’Associazione Amici della Storia
della Brianza, N. 10 – settembre 2017
2.
G. Caraci, Le “corti” lombarde e l’origine della “corte”, in “Memorie” R
Società Geografica Italiana, n. XVII, Roma, 1932.
3. Cfr.
A. Pecora, La corte padana, in G.
Barbieri, L. Gambi, “La casa rurale in
Italia”, Firenze, 1970, p. 239.
Sitografia
Le
trasformazioni sociali in Brianza: https://colnaghistoriaestorie.blogspot.com/2016/01/le-trasformazionisociali-e-culturali.html
Il
paesaggio rurale nella vecchia Brianza: https://colnaghistoriaestorie.blogspot.com/2014/06/il-paesaggio-rurale-della-vecchia.html
Le
tradizioni brianzole: https://colnaghistoriaestorie.blogspot.com/2013/11/le-tradizioni-popolari-brianzole-nel.html
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