“deportati” in Boemia negli anni 1915-1919
L’articolo che segue contiene
integrazioni e ulteriori approfondimenti rispetto ad un post pubblicato il 4 novembre 2017 che trattava la deportazione di diverse migliaia di persone che risiedevano nei territori del Trentino e del Sud Tirolo durante la prima guerra mondiale (1).
I deportati erano italiani, anche se i loro territori di residenza si trovavano sotto il
dominio della potentissima famiglia austriaca degli Asburgo. Difatti, nel
1914, allo scoppio della prima guerra mondiale, gli abitanti del Trentino, così
come quelli della Boemia, della Moravia e di molte regioni slave del centro e
del sud dell’Europa, facevano parte di uno Stato multinazionale e
multiculturale: l’Austria-Ungheria.
Al
fine di approfondire e nutrire di maggiori dettagli storici la vicenda, sono
venuto in possesso di alcuni libretti pubblicati da diversi comuni boemi che
ospitarono gli sfollati trentini, contenenti preziose informazioni documentali,
testimonianze, numeri e aneddoti, scritti in ceco e tradotti in italiano, in omaggio al
Patto di gemellaggio sottoscritto tra quei comuni boemi ed i comuni italiani della
Val di Ledro.
Sarebbe
storicamente utile ricordare, perché quando sono in gioco il potere, il dominio e i grandi
interessi geopolitici nulla è scontato, che, nel dicembre del 1912, due anni
prima dell’inizio del conflitto bellico, l’Italia riconfermò l’alleanza con la
Germania e l’Austria-Ungheria, gli imperi centrali europei. Allo scoppio della guerra,
anche questo è importante ribadirlo, l’Italia non entrò subito in guerra ma finse
una sospetta neutralità. Nel frattempo, però, pare che il nostro Paese cominciò
a trattare il proprio sostegno alla Francia, all’Inghilterra ed alla Russia
(Triplice Intesa) in cambio dell’impegno a ottenere, a guerra finita, i
territori dell’Impero austriaco confinanti con l’Italia. Nonostante i molti problemi
interni e la grave crisi economica, il 24 maggio 1915 il Regno d’Italia
dichiarò guerra all’Austria-Ungheria, convinto che la guerra sarebbe stata
breve e vittoriosa e di poter ristabilire in poco tempo l’ordine nel Paese. I
campi di battaglia più importanti e cruenti del fronte italiano furono i
territori lungo i fiumi Isonzo, Adige e Piave e, soprattutto, il Trentino. In
questa regione il fronte passava a nord-ovest del lago di Garda, su alcuni
villaggi della Valle di Ledro.
Per
liberare dai civili le linee del fronte, le autorità militari austro-ungariche
decisero, nei giorni 22 e 23 maggio 1915, di evacuare i villaggi di
quest’ultima valle e di zone limitrofe. La gente che aveva sempre vissuto nelle
valli e in montagna per tutta la propria vita, isolata dal resto del mondo e
dipendente in gran parte dall’agricoltura e dalla pastorizia, fu costretta ad
abbandonare la propria casa, gli animali, i possedimenti e a partire per
recarsi in località a loro ignote. Dovettero abbandonare anche i propri cari,
che nel frattempo vennero arrestati, perché sostenitori dell’Italia unita o
perché avevano a casa un quadro di Giuseppe Garibaldi. Secondo il decreto
ufficiale, la cittadinanza del Sud Tirolo venne divisa in base alla lingua
parlata. La notifica di evacuazione venne consegnata anche ai bambini nelle
scuole e agli adulti, comunicata anche dai pulpiti delle chiese. Nella cronaca
del tempo si legge che, di notte, una lunga colonna di donne, anziani e bambini
si avviò verso la stazione ferroviaria di Riva del Garda. Il viaggio in treno
durò dai tre ai cinque giorni, perché i treni carichi di soldati per il fronte
avevano la precedenza. Il numero esatto degli evacuati non è certo, tuttavia, lo
storico militare ceco Ivan Šedivý ha affermato che ”… più di 100.000 sfollati
polacchi ed ebrei, insieme a 20.000 italiani, furono alloggiati in Boemia,
altri 50.000 italiani in Moravia. È quasi certo che verso la metà del 1915
oltre 250.000 profughi avevano trovato asilo in Boemia e Moravia. Nel 1917 il
numero delle “vittime” di questa guerra raggiunse le 760.000 unità”.
Le
autorità austriache cercarono di occuparsi dei profughi inviando ordinanze nei
vari comuni ove essi erano stati assegnati, normalmente in comuni piccoli e in villaggi.
I consigli scolastici crearono classi per l’insegnamento ai bambini dei
profughi ed i sindaci dei comuni ospitanti ricevettero sovvenzioni volte a
organizzare la sistemazione degli sfollati italiani ed a pagare i privati che
ospitavano i profughi. Le osterie, hospoda o hostinec, in lingua ceca, erano obbligate
dallo Stato a destinare qualche locale per far posto a questa povera gente. Un
altro motivo, stimolo per i boemi, affinché si desse accoglienza era la possibilità di avere più braccia nelle
attività agricole e produttive.
Gli
italiani, sui documenti ufficiali che circolavano tra Vienna, Praga e i vari
distretti locali, venivano indicati con epiteti tedeschi o con le
corrispondenti espressioni in lingua ceca: profughi di guerra (Kriegsfluchtlinge), Italiani
dell’impero (Reichsitaliener),
cittadini di uno Stato in guerra con la monarchia, Italiani internati,
Tirolesi…
Le fotografie che seguono ritraggono interi nuclei familiari italiani vissuti nei piccoli villaggi boemi e scene di vita quotidiana, nei campi, durante un funerale o presso un cimitero locale.
Sono
stati rinvenuti negli archivi storici di alcuni comuni e presso le stazioni
distrettuali della polizia diversi verbali circa dei controlli, da parte della gendarmeria,
di “Italiani dell’Impero” sospettati di aver commesso piccoli reati o di non
essersi presentati negli uffici preposti per essere arruolati come militari di
leva. Appena raggiungevano l’età per essere arruolati, i nostri giovani
venivano mandati al campo d’internamento di Katzenau, nei pressi di Linz, o a
Drosensdorf nella Bassa Austria.
Più
liberi di muoversi erano i preti cattolici italiani che, dovendo spostarsi per
far visita ai loro fedeli o officiare la messa, ricevevano un sussidio e anche
un biglietto gratuito della ferrovia statale. L’Impero, però, li obbligava a
tenere un registro su cui annotare il numero dei loro fedeli, le spese di
viaggio e di alloggio sostenute, le entrate e le ricompense. Fin da subito, i
parroci italiani ebbero un ruolo fondamentale di sostegno e supporto, anche
psicologico e morale, nei confronti dei loro parrocchiani. Alcuni preti
partirono subito con gli sfollati, duranti i primi trasporti, gli altri li
raggiunsero più tardi già nelle località a loro assegnate. Per i contadini
analfabeti o semianalfabeti, fortemente credenti, il prete fu il loro principale
punto di riferimento, il consigliere, l’interprete.
Nella
regione a sud-ovest di Praga, nel distretto di Beroun, i preti organizzavano
anche i pellegrinaggi presso il santuario di Svatá Hora (Montagna
Sacra), il più importante della Boemia, dedicato alla Vergine Maria, nel quale
si incontravano tutti gli italiani rifugiati in Boemia.
I deportati italiani in due foto di gruppo presso il santuario
Il santuario di Svata Hora oggi
Nei
cimiteri dei piccoli paesi ove vissero gli italiani, sono stati sepolti
soprattutto i contadini, le donne e i bambini, che dopo la guerra non sono
ritornati nella Valle di Ledro. Il loro prete li battezzò e li istruì, diede
loro l’estrema unzione, celebrò i loro funerali. Li accompagnò, nel bene e nel
male, durante tutte le fasi della loro vita in Boemia.
Quando
arrivarono in Boemia e Moravia, gli sfollati italiani vennero distribuiti nelle
località loro assegnate, in un numero proporzionale alle dimensioni di quei
paesi. I sindaci e molti volontari locali furono costretti, anche in piena
notte, a recarsi nelle varie stazioni ferroviarie con i necessari carri per
prelevare gli sfollati italiani. Durante gli ultimi giorni di maggio e i primi
di giugno del 1915, da parte delle autorità boeme e morave vennero attuate
tutte quelle azioni volte a ricevere e sistemare i nostri “deportati”. A Kladno,
un telegramma trasmesso al sindaco parla dell’arrivo di cento sfollati, a Podkozi
furono trenta, anche a Libečov una trentina, solo a Železná
ne arrivarono circa 60, ma, in una lettera del parroco di questa località, si
racconta della presenza di circa 240 italiani in tutti i villaggi compresi
nella parrocchia di Železná. A Chyňava, secondo
alcune informazioni verbali tramandate dai più anziani, i profughi italiani
alloggiarono in tre taverne e osterie che avevano delle sale idonee ad
ospitarli. In alcune di queste località i consigli comunali fecero domanda alle
autorità centrali di ulteriori sovvenzioni in corone austriache affinché si
concedessero nuovi finanziamenti ai proprietari delle strutture private che
ospitavano i profughi, che, come abbiamo visto poco sopra, non erano solo
italiani. In una delle tre taverne del villaggio, denominata Hospoda U Lepičů, accanto alla stazione dei gendarmi
imperiali, abitava il parroco italiano, don Luigi Miorelli, sua nipote e la
perpetua. A Železná, un villaggio di circa 400 anime, in una struttura pubblica
che veniva definita “granaio comunale” abitava una famiglia di contadini di
Mezzolago, sul lago di Ledro, mentre un altro nucleo familiare italiano abitò
nell’albergo dei poveri, adiacente la chiesa parrocchiale. Dalle registrazioni
anagrafiche dei decessi risulta che Železná ospitò
soprattutto persone provenienti da Mezzolago e Bezzecca, distretto di Pieve di
Ledro, ossia l’allora Capitanato di Riva in Tirolo. A Libečov, presso la taverna
locale, abitavano una decina di “Tirolesi”, mentre nella casa del calzolaio Rudolf Kučera,
pare che abitassero, secondo la cronachista locale, due sorelle italiane, così
brave a cantare canzoni della loro terra in jodel che vennero invitate a
cantare nelle chiese dei villaggi.
Dell’amore per il canto dei profughi scrive
il parroco Miorelli di Bezzecca subito dopo le prime settimane di permanenza
nella parrocchia di Železnà: “I cechi
osservano con ammirazione la devozione del popolo trentino. La domenica sera
molti partecipano alla nostra Santa Messa e ascoltano volentieri le canzoni
italiane. La nostra religiosità riesce a diffondere gioia e consolazione”.
A
Podkozi, come quasi ovunque, i
profughi alloggiati erano bambini, donne e uomini con un’età superiore a 52
anni. Il cronachista locale scrive che lì nacquero e morirono molti profughi,
in media più che da ogni altra parte. La carenza di cibo e la mancanza di
igiene erano diffusi ovunque, ma in quella località mancava anche l’acqua
potabile che, molto probabilmente, fu la causa dello scoppio di un’epidemia di
tifo. Poi, nel 1918, ci si mise anche l’influenza spagnola, che fece altre
vittime.
Classi
di bambini italiani vennero aperte in po’ in tutte le scuole. In molti
documenti e verbali reperiti negli archivi di quei comuni si trovano
annotazioni e aneddoti sulle classi italiane. A Chyňava, nel libro dei ricordi
della scuola è scritto. “Classe italiana. Su ordinanza dell’I.R. Consiglio
scolastico distrettuale è stata istituita nella nostra scuola la classe per i
figli dei profughi tirolesi di Chyňava, Železnà, Libečov e Prilepy.
L’insegnamento è iniziato il giorno 13 dicembre 1915. Insegna il prete, profugo
tirolese, don Luigi Miorelli. I bambini sono oltre 40”. Un’altra nota dice: “A
causa di un’epidemia di tifo, i bambini di Podkozi non potevano venire a
scuola”. Nella cronaca dei vigili del fioco di Podkozi è riportato che si
ammalarono di tifo circa trenta persone e ne morirono sei. Alcuni cronachisti
delle località boeme ospitanti italiani scrissero che, nelle scuole, i nostri
bambini studiavano tutti insieme, in quanto non erano divisi né secondo l’età
né secondo il sesso. Le scuole nei capitanati distrettuali erano visitate e
controllate dagli ispettori o direttamente dal Consiglio distrettuale.
L’Ispettorato dovette spesso registrare l’atteggiamento negativo dei bambini
cechi verso i profughi italiani, come è stato documentato in più d’una
circolare dei responsabili delle scuole distrettuali, trasmesse alle direzioni
e amministrazioni delle scuole, agli uffici comunali e alle autorità religiose.
In una di queste, è scritto: “Il comportamento incivile di alcuni bambini è per
noi una vergogna…, dimostra una brutalità e un’insensibilità degne di
deplorazione e che vanno combattute con ogni mezzo… Lo stesso Consiglio
scolastico distrettuale è dovuto intervenire direttamente ed è indignato e
addolorato per l’ineducazione dei nostri giovani”.
Tutte
le cronache e i documenti storici descrivono la grave carenza di cibo nella
regione, i soldi perdevano progressivamente il loro valore e le malattie e le
carestie uccidevano molte persone. A seguito dell’entrata in guerra
dell’Impero, in tutti i villaggi arrivarono le ordinanze di chiamata alle armi
per i giovani e gli uomini fino a 52 anni. Fu così che gran parte del peso
della vita familiare e del lavoro nei campi cadde sulle spalle delle donne. Un’altra
ordinanza riguardò la requisizione di cavalli e bestiame. Gli abitanti dei
villaggi boemi e moravi dovettero privarsi, ogni mese, di alcuni capi di
bestiame da “cedere” allo Stato. Nell’ambito delle requisizioni, i competenti
uffici statali acquistarono i beni alimentari dai poveri contadini a prezzi
molto bassi. In molti casi, a causa dei cattivi raccolti, le autorità militari
confiscarono in tutti i villaggi tutto ciò che trovarono. All’inizio del 1918
la Boemia si trovò sull’orlo di una pesante carestia e in questa difficile
situazione vissero anche gli sfollati italiani. Ma, come cita un saggio
proverbio, i contadini boemi e italiani “fecero di necessità virtù”, ossia
tutti gli abitanti dei villaggi cominciarono a collaborare secondo le loro
possibilità, compresi i bambini che portavano a pascolare le capre o le oche e
raccoglievano le spighe nei campi. I sussidi dello Stato erano distribuiti a
tutte le donne, ceche e italiane, i cui mariti erano al fronte a combattere.
I
profughi arrivati dalla Valle di Ledro erano per la maggior parte nullatenenti.
Già una delle prime ordinanze riportava che “… il sussidio è destinato a
coprire le spese per l’alloggio e il vitto dei profughi nullatenenti”. I
sindaci dei paesi ospitanti i profughi italiani dovevano obbligatoriamente
redigere e trasmette un elenco con i nomi dei profughi, quanti giorni queste
persone erano state pagate e la cifra totale erogata per questi scopi.
L’importo base dei sussidi veniva periodicamente aggiornato e rivalutato. Tutte
le operazioni nell’intera Austria-Ungheria erano dirette dall’Ufficio supremo
per gli sfollati con sede a Vienna.
Molti
dei profughi italiani strinsero profonde amicizie con la popolazione ceca e
morava, impararono parzialmente la lingua, seppur nei tratti principali,
mantennero i contatti per molti anni dopo la fine della guerra e dell’esilio,
attraverso lettere, cartoline e fotografie. I più giovani ebbero maggiori
possibilità di scambio di messaggi epistolari, grazie anche ad una maggiore
scolarizzazione e apprendimento della lingua ceca. Anche parecchi anziani in
Boemia, raccontando dei ricordi tramandati dai loro genitori, hanno affermato
che, in alcune circostanze, all’interno della loro famiglia venivano
pronunciate alcune brevi frasi in lingua italiana, che i loro genitori avevano
fatto amicizia con i loro coetanei tirolesi e che, da bambini, portavano i
fiori sulle tombe degli italiani deceduti.
Ancora
oggi, come più ampiamente documentato nel primo post del 4 novembre 2017,
iniziative, cerimonie, scambi culturali e soggiorni turistici tra i cittadini
italiani e cechi intendono ricordare l’esodo dei nostri connazionali in terra
di Boemia e Moravia.
Durante
la primavera e l'estate del 2018, in occasione del decimo anniversario del patto di amicizia e gemellaggio
tra i comuni della Valle di Ledro e alcuni comuni della Repubblica Ceca, si
sono svolte manifestazioni e iniziative importanti, volte, non solo a ricordare
gli eventi storici vissuti in quei terribili anni, ma anche a far conoscere ai
più giovani le testimonianze di ciò che i loro avi hanno vissuto ed a trasmettere
messaggi di pace, tolleranza e convivenza civile e democratica tra i popoli.
Beniamino
Colnaghi
Note
1. La Valle di Ledro e la
Boemia: storie di guerra e di amicizia:Le terre orientali dell'Impero austro-ungarico:
http://colnaghistoriaestorie.blogspot.com/2015/07/le-terre-orientali-dellimperoaustro.html
Nel santuario di Svata Hora è stato collocato il monumento a ricordo degli oltre 400 ledrensi deceduti nel corso dell'esilio in Boemia
Bibliografia
Miroslav Oliverius,
Naše Chyňava, obec Chyňava, 2014In memoria degli sfollati della Valle di Ledro nella provincia di Kladno (1915-1919), maggio 2009
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