Solo qualche anno fa,
interpellati su quale fosse il maggiore scrittore vivente, i lettori del
quotidiano cattolico Avvenire risposero: Eugenio Corti (Besana
Brianza, 1921 – 2014). Corti è il caso letterario che meglio fotografa il depresso
stato della cultura italiana. Il suo capolavoro, Il cavallo rosso, è stato pubblicato nel 1983 dalla Ares, «perché
le altre case editrici erano in mano ai comunisti», diventando in pochi anni
un’opera che vanta venticinque edizioni. Tradotto in diverse lingue, Il cavallo rosso è da anni considerato,
soprattutto nella laica Francia, un’opera che non teme il confronto con Guerra e Pace di Lev Tolstoj e Il Signore degli Anelli di John R. R.
Tolkien. Sebbene qui in Italia non sia diventato famoso al grande pubblico, in
Francia il nome di Corti è accostato a quelli di Hemingway, Mann, Camus, Kafka
e Musil. Il romanzo "Il
cavallo rosso" affonda e nutre le sue radici nella vita del proprio
autore, perché nel 1940, il 10 giugno, l’Italia entrò in guerra e il Corti
interruppe gli studi e si arruolò. Nel 1941, diventato sottotenente
d'artiglieria alla scuola allievi ufficiali di Moncalieri, decise di inoltrare
la richiesta di essere destinato al fronte russo, che raggiunse nel mese di
giugno 1942. Dopo aver stabilito il fronte sul Don, alla fine di dicembre
l'esercito italiano ricevette l'ordine di abbandonare le postazioni e di
ritirarsi. Senza mezzi e senza alimenti sufficienti, i battaglioni italiani si
ritrovarono decimati. Quello di Corti, costituito da oltre 17.000 soldati, ne
perse 13.000. Rientrato in Italia, Corti, dopo l'8 settembre 1943, si diresse
verso il sud per riunirsi all'esercito regolare italiano. Dopo la laurea in
Giurisprudenza, cominciò a scrivere e pubblicare i suoi libri. Il primo fu I
più non ritornano, sull'esperienza autobiografica della ritirata di Russia,
con lo sfondamento del fronte italiano a opera delle divisioni sovietiche e la
conseguente distruzione di gran parte dell’esercito italiano.
Eugenio Corti (fonte Associazione Storico - Culturale S. Agostino - http://www.cassiciaco.it/navigazione/news/2015/corti_monza.html)
Il forte anticomunismo di
Corti, nutrito dalla sua esperienza personale nella campagna di Russia,
riemerge nei suoi due successivi libri: I poveri cristi che tratta la
guerra di liberazione dell'Italia, una sorta di continuazione del primo libro,
e Processo e morte di Stalin, scritto tra il 1960 e il 1961, che mette
in scena direttamente la destalinizzazione in corso in Unione Sovietica, da lui
vista come la prova definitiva del fallimento del Marxismo.
Nel 1972 Eugenio Corti
iniziò a scrivere quello che sarebbe diventato il suo capolavoro, Il cavallo rosso, un poderoso romanzo di
più di mille pagine, diviso in tre sezioni, nel quale lo scrittore brianzolo,
attraverso le vicende di alcuni giovani appartenenti a famiglie della Brianza
più devota e manzonianamente timorata di Dio, trasporta il lettore dagli anni
che precedono l’entrata in guerra dell’Italia fascista a fianco di Hitler a quelli
del dopoguerra. Dentro il libro c’è il dibattito politico e lo scontro
ideologico di quegli anni, la Guerra fredda, il destino dell’uomo. Il dualismo tra la vita
semplice e umile dei giovani brianzoli e l’esperienza della guerra viene
raccontato con dovizia di particolari e con grande pathos emotivo. Corti,
attraverso i suoi personaggi, allarga lo sguardo dal fronte russo a quello
balcanico, fino ai movimenti resistenziali dell’Italia del Centro-Nord,
ricostruendo eventi, personaggi, fatti, ambienti, sacrifici inauditi dei suoi
eroi. Eroi, così li vuole l’autore, sempre impregnati da un profondo senso del
dovere e da una fede cristallina. Per il
Corti, infatti, gli uomini o scelgono la via cristiana del Bene o quella
materialistica del Male. L’opera è caratterizzata da un substrato ideologico
profondo nel quale l’autore decide tenacemente di schierarsi su posizioni di
sincero integralismo cattolico e di pesante critica antimarxista che, alla
fine, sul piano letterario, lo portano ad appesantire troppo la narrazione. Gli
elementi che maggiormente interessano questa terra, la sua terra natia,
consistono nelle doti descrittive del Corti circa quel clima particolare di una
Brianza, oltre che “timorata di Dio”, fedele anche in guerra ai valori
evangelici costruiti nella famiglia e nella frequentazione di un mondo
ecclesiastico autenticamente religioso.
Dopo la pubblicazione de Il cavallo rosso Corti
scrisse vari saggi in cui, da posizioni conservatrici, criticò il Concilio Vaticano II, Il fumo nel tempio, e
la Democrazia Cristiana, Breve storia della Democrazia Cristiana, con
particolare riguardo ai suoi errori. In altri scritti ripercorse con
pessimismo la storia della civiltà occidentale dal protestantesimo al secondo
dopoguerra (Le responsabilità della cultura occidentale nelle grandi stragi
del nostro secolo, 1998).
Dopo aver attraversato la letteratura italiana del
secondo Novecento senza porsi preoccupazioni formali, Corti avvertì la
necessità di abbandonare il modello del romanzo ottocentesco, verso il quale Il
cavallo rosso aveva debiti, per rinnovare la sua scrittura. Si dedicò
quindi al ciclo dei "racconti per immagini", composizione in forma di
sceneggiatura, con notazioni espositive e con la storia affidata principalmente
ai dialoghi. Con questa tecnica Eugenio Corti ha pubblicato La terra
dell'indio, L'isola del paradiso, Catone l'antico e alcune
parti dell'ultimo libro Il Medioevo e altri racconti.
Il 6 marzo 2010, in occasione del Convegno "Eugenio
Corti, la Brianza, il mondo: la riscoperta del modello brianzolo per la società
globale del Terzo millennio", tenutosi presso l'Associazione
Industriali di Monza, tramite la lettura di un Documento Programmatico, venne presentata ufficialmente la proposta di candidare Eugenio Corti al Premio Nobel per la Letteratura, per la quale si costituì un comitato. Il 31
gennaio 2011 vennero inviate agli Accademici di Svezia le
oltre 8.000 firme raccolte e una lettera d’accompagnamento contenente
le motivazioni della candidatura. Quell’anno, però, il Nobel venne assegnato ad
uno scrittore svedese.
Eugenio Corti, scrittore,
romanziere, uomo di fede, si è spento all’età di 93 anni il 4 febbraio 2014
nella sua casa di Besana Brianza.
Beniamino
Colnaghi
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