Questo è il racconto di un periodo della mia vita, legato a un indimenticabile e vivo ricordo che considero come una pagina di storia del nostro paese.
Nel secolo scorso si allevavano i bachi da seta, chiamati in dialetto “cavalée”.
I contadini possedevano diversi appezzamenti di terreno, in cui erano disposti in fila rigogliosi alberi di gelso, in dialetto “muròn”. Le foglie di questi alberi servivano per nutrire i bachi.
Verderio Superiore, 1940. Ampia distesa di gelsi. Sullo sfondo la Grigna ed il Resegone. |
L’allevamento dei bachi iniziava nel mese di maggio e terminava in quello di giugno, era affidato principalmente alle donne di casa che provvedevano a comprare dei grandi fogli di carta e i bachi stessi, che acquistavano in once. I bachi erano animaletti piccolissimi che sembravano tante formichine fuoriuscite da uova, venivano subito nutriti in modo che di giorno in giorno crescessero velocemente e si moltiplicassero.
Verderio Superiore. La rotonda del gelso, in prossimità del cimitero del paese. |
In attesa della riproduzione dei bachi gli uomini dovevano preparare delle tavolozze di canne di bambù, disposte a strati su una o più strutture verticali, calcolando con precisione la distanza fra una tavolozza e l’altra. Queste strutture venivano sistemate in cucina e a volte persino nelle camere da letto, quando i contadini non avevano a disposizione altri locali liberi ed era prevista una maggiore produzione. In questo caso alcune persone della famiglia di notte dovevano dormire nel fienile.
Visto che la cucina era occupata, per cucinare si usava il portico che solitamente rappresentava il deposito del carretto del contadino.
Friuli, 1929. L'allevamento dei bachi da seta (fonte: storiastoriepn.it) |
Una volta preparata la struttura, il lavoro passava alle donne che prendevano i fogli con i bachi e li stendevano sulle tavolozze. Quindi accendevano il camino, perché i bachi richiedevano un ambiente sano e asciutto e una temperatura di circa 19 - 20 gradi ed era necessario inoltre che restassero al buio per tutto il tempo dell’allevamento. La luce a petrolio veniva usata solamente quando le donne dovevano pulire le tavolozze e dare ai bachi le foglie di gelso.
I bachi venivano nutriti due volte al giorno, tranne un giorno alla settimana in cui venivano lasciati dormire. Al loro risveglio riprendevano a mangiare voracemente e così crescevano preparandosi a tessere i bozzoli.
Un altro compito degli uomini era quello d’infilare dei ramoscelli secchi fra le tavolozze su cui i bachi maturi si arrampicavano per tessere i bozzoli, chiamati in dialetto “galet”.
Questi bozzoli erano di tre colori: gialli, rosa e bianchi.
Nel periodo della maturazione i bachi producevano un filo di seta con cui costruivano una specie di ragnatela, in mezzo alla quale producevano i bozzoli.
Il particolare, questa operazione consisteva che i bachi costruivano le ragnatele intorno a sé stessi e così facendo si chiudevano all’interno dei bozzoli.
Lombardia, 1941. Raccolta dei bozzoli (fonte: lombardiabeniculturali.it) |
Una volta terminato il lavoro dei bachi, le donne prendevano tutti i ramoscelli pieni di bozzoli e li adagiavano su un panno pulito steso per terra. Quindi preparavano dei cestini in cui mettevano i bozzoli, una volta tolta la ragnatela di seta che li avvolgeva. Prima di depositare i bozzoli nel cestino le donne li selezionavano, agitandoli uno ad uno per capire dal rumore se fossero sani o guasti. Se il baco era morto non si sentiva nessun rumore e in breve tempo il bozzolo era destinato a marcire, per cui doveva essere scartato.
La falena sul bozzolo (fonte wikipedia.it) |
Terminato il lavoro i bozzoli venivano consegnati a chi si occupava della raccolta, detta in dialetto “all’ammasso”.
La loro vendita alle filande portava discreti benefici economici a tutta la famiglia, anche se la produzione costava sacrifici e non sempre si rivelava proficua.
La provincia di Como era considerata la patria della seta, grazie soprattutto al lavoro umile e appassionato dei suoi contadini.
Livia Colnaghi
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