Quando Pasolini vi girò Il Vangelo secondo Matteo
Come nacque Il Vangelo secondo Matteo? Cosa
spinse Pier Paolo Pasolini, nel 1964, un marxista non credente, anticlericale, a
realizzare un film sulla vita di Gesù così aderente al sacro testo, essenziale,
privo di ideologismi?
Il regista era affascinato dal Cristo-uomo, apologeta
degli ultimi, e rimase rapito dalla bellezza della Parola: ma poteva bastare,
questo, a fare «il miglior film su Gesù di tutta la storia del cinema», come ha
sostenuto non molto tempo fa L'Osservatore
Romano, il giornale della Santa Sede? Sulla genesi del capolavoro
cinematografico pasoliniano è stato detto e scritto molto, durante gli anni.
Ma, si sa, lo scrittore e poeta nato a Bologna, friulano d’adozione, romano per
necessità era un intellettuale complesso, non certamente facile da decifrare.
Pasolini sul set del film e sullo sfondo Matera
Pasolini maturò la decisione di raccontare la storia del
Nazareno dopo aver riletto il Vangelo «come un romanzo», in una notte
«illuminata», in occasione di un dibattito sul suo Accattone. Pasolini
ambienta Il Vangelo secondo Matteo nell’Italia meridionale degli anni
Sessanta, tra Lazio, Campania, Puglia e Lucania, e guarda al mondo contadino
per individuare attori i cui volti rappresentino con rudezza la sofferenza dei
palestinesi, si serve di amici intellettuali per gli apostoli e si rivolge a
esponenti della borghesia per rappresentare i farisei, per consegnare della
religione un ritratto quale strumento di dominio politico e sociale. Attraverso
il suo sguardo, quindi, Pasolini ripropone quello delle scritture evangeliche e
di Gesù, nel quale si rivede, tant’è che sceglie proprio sua madre, Susanna
Colussi, per rappresentare la Vergine Maria, non come figlio di Dio, ma appunto
come uomo fra gli uomini, portavoce e leader rivoluzionario dei più deboli,
degli umili e degli oppressi palestinesi. L’autore e cineasta si era già
avvicinato al mondo del sacro da una prospettiva “atea” e, anzi, solo l’anno
precedente, nel 1963, era stato accusato di vilipendio della religione di Stato
per l’episodio de La ricotta, laddove uno dei ladroni moriva per
indigestione della ricotta rubata, tant’è che Pasolini riscontra difficoltà nel
trovare un produttore che finanzi il film.
Sono anni in cui la Chiesa Cattolica, col Concilio
Vaticano II e soprattutto grazie all’opera di papa Giovanni XXIII, si avvia ad
una fase post-bellica, di rinnovamento e di apertura alle donne e alla sinistra
intellettuale; ed è proprio alla persona del Papa che Pasolini dedica Il Vangelo
secondo Matteo, poiché è a lui che pensa quando, aprendo per caso la Bibbia
e leggendo il Nuovo Testamento, partorisce l’idea del film. Un ateo,
anticlericale e marxista questa volta consegna una visione tutta personale del
sacro, profondamente cristiana, che gli vale l’apprezzamento della parte più
aperta del mondo della Chiesa. Anche se papa Giovanni era nel frattempo morto, Pasolini
volle inserire una commovente dedica nei titoli di testa “Alla cara, lieta,
familiare memoria di Giovanni XXIII” e il desiderio dell’autore di proiettare
il film “nel giorno di Pasqua in tutti i cinema parrocchiali d’Italia e del
mondo”.
Una scena del film
Pasolini era un artista complesso e controverso,
scandalizzava il mondo con il suo cinema e la sua letteratura, si trovava
spesso in contrasto con il pensiero della Chiesa. Eppure sentiva vivo, dentro
di sé, il senso religioso. La fede fu qualcosa di molto presente nella sua vita.
Che l’intellettuale rivolgesse una particolare attenzione ai valori antichi
radicati nella civiltà contadina, nonché al sacro, è un dato indiscutibile. La
sua copiosa opera artistica e letteraria, d’altronde, rispecchia un costante
impegno di denuncia nei confronti di una società consumistica risucchiata nell’abisso
dell’assenza di Dio. Soprattutto, il
Pasolini ateo ed anticlericale riconosceva nel Cristianesimo, essenza di quel
mondo contadino che egli decantava nostalgicamente, una forza liberante
dall’avvilimento borghese e dalla cultura moderna.Quello che forse rimane ancora da capire è quanti e
quali spazi si era ritagliato Pasolini nel descrivere la vicenda di Cristo, pur
riprendendo “punto per punto” il Vangelo, senza adattamento né sceneggiatura. E
in questo sta, forse, il nocciolo della questione: riscoprire il “destino
corsaro” di un uomo, di un poeta, di un grande intellettuale, che sulla libertà
si è giocato tutto. Anche la sua vita.
Beniamino Colnaghi
Beniamino Colnaghi
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