domenica 28 giugno 2015

Carrettieri e cavallanti in Brianza. Un antico mestiere da tempo scomparso 
 
Qualche mese fa, mentre stavo ricostruendo la storia di mio nonno paterno(1), morto a 41 anni sul carro trainato da Nino, il cavallo di famiglia, mi imbattei in una categoria di lavoratori che oggi non esiste più: i cavallanti, o carrettieri, come dir si voglia. Mi incuriosì l’essenza romantica, seppur dentro una vita di stenti e privazioni, di quel mestiere, il rapporto intenso tra l’uomo ed il suo cavallo, l’uscire dallo stretto ambito del villaggio per scoprire realtà e mondi diversi. Spiriti liberi? Esseri alla ricerca di indipendenza? Nomadi? Oppure, più semplicemente, persone mosse dal bisogno e dalla necessità di far quadrare i bilanci familiari?   

Partiamo da uno dei due attori principali: il cavallo. Possiamo affermare che senza il contributo del cavallo il corso dell'evoluzione e della storia dell'uomo sarebbero stati sicuramente diversi? Probabilmente sì. Fra i molti animali domestici che hanno affiancato l'uomo nella sua evoluzione e nella storia, il cavallo ha avuto indubbiamente il ruolo di protagonista. Pensiamo a tutte le attività in cui il cavallo ha affiancato l'uomo: il lavoro nei campi, il trasporto di persone e cose, la compagnia negli spostamenti e nei viaggi, la partecipazione alle guerre e alle conquiste, la salvezza di vite umane, la fedeltà in campo sportivo e ricreativo.  
Il cavallo radunava attorno a sé un fitto sciame di persone per la sua cura. Dal maniscalco al sellaio, dal cavallante al manovale addetto alla pulizia della stalla, questi animali offrivano ed esigevano lavoro. Nei borghi contadini, fino agli anni Sessanta, i cavalli erano innumerevoli. Ogni famiglia che lavorava la terra ne aveva uno. In ogni corte e nelle cascine se ne contavano più d’uno, a seconda delle esigenze e delle dimensioni del luogo. Ma chiunque poteva permetterselo investiva nell'acquisto di un cavallo.  

 
 

In ogni caso, una volta acquistato, il cavallo non era più un animale qualsiasi, ma diventava parte della famiglia, membro di una comunità. Gestire un esemplare richiedeva tempo e fatica. I coloni si dovevano occupare anche di questi animali, accudirli, pulirli, tenerli in buona salute perché i cavalli erano fonte di lavoro e guadagno per le misere entrate delle famiglie contadine. La giornata iniziava presto, quando le stalle venivano aperte per la pulizia quotidiana e per rifornire gli animali di acqua e cibo. A mezzogiorno il lavoro si fermava: i cavalli, con le loro cuffie di tela e i salariati con i cappelli di paglia uscivano dai campi e si riposavano per poi affrontare il sole del pomeriggio. La stessa piccola processione ogni sera ritornava alla corte ed alla cascina.

Ogni lavoro a contatto con i cavalli richiedeva attenzione ed esperienza nel prevedere le azioni e le intenzioni di questi animali, con cui spesso si dovevano trascorrere, come nel mestiere del cavallante, molte ore a contatto con l’animale stesso. Carri e cavalli trasportavano ogni genere di merci. Alcuni facevano il carrettiere di professione, altri lo svolgevano saltuariamente, mentre altri ancora prestavano o affittavano a pagamento i loro cavalli. Era raro vedere un cavallante viaggiare da solo per lunghi tragitti. Di solito preferivano spostarsi con due carri, o anche più, qualora il caso lo richiedesse, accompagnati da qualche garzone, per sentirsi più sicuri e per aiutarsi a vicenda nelle salite aumentando il tiro con i cavalli dell'altro. I comuni della Brianza e le poche aziende private allora presenti commissionavano il trasporto di ogni tipo di materiale o prodotto finito. Alcuni viaggi erano più legati alla stagione, come il trasporto del carbone. Durante tutto l'anno, invece, i carri si dirigevano verso i mulini carichi di granaglie per tornare con la farina per i fornai o facevano la spola fra le cascine e i mercati per raccogliere e vendere i prodotti dei campi. Per i lunghi viaggi, che richiedevano di stare più notti fuori casa, erano a disposizione gli alberghi con stallazzo, locande fornite di stalle e di personale addetto alla cura dei cavalli. In alcuni comuni della Brianza milanese, Meda, Cantù, Lissone i cavallanti cominciarono ad occuparsi anche del trasporto dei mobili. Stiamo parlando della seconda metà dell’Ottocento. In quel distretto industriale divennero sempre più numerose le botteghe che producevano manufatti d’arredamento, venduti poi in tutta Italia e in Europa. Si racconta che i carri, carichi di fusti di salotti, partivano ogni giorno da quella parte della Brianza alla volta di Milano. Divenne famoso un cavallante di Meda, un certo Angelo Bianchi, detto Buscan, classe 1915, che, insieme al suo cavallo Piero, comparve nel film di Ermanno Olmi Il posto, ambientato a Meda nel 1961. Un altro personaggio balzato alle cronache locali, si fa per dire, è stato Luigi Cappellini, detto Bulogie, contadino e cavallante. Abitava alla casine Famète di Meda e la sua principale abilità consistette nell’aver messo le ruote gommate al suo carro. Caratteristica, questa, che gli avvalse il soprannome di Liturina, Littorina, proprio come il treno. 

Luigi Cappellini con il suo cavallo

Certo, occorrerà anche discernere, distinguere tra cavallanti e cavallanti. Nella categoria ci saranno pur stati dei furfanti e degli irresponsabili se, nei primi decenni dell’Ottocento, precisamente il 28 maggio 1822, a Torino, capitale del Regno di Sardegna, si manifestò l’esigenza di pubblicare il “Manifesto senatorio portante proibizione ai carrettieri, e cavallanti di caricare i loro carri, e bestie da soma, e porsi in viaggio ne' giorni festivi”. Anche la Chiesa fu contraria, negli ultimi secoli, al lavoro svolto la domenica, giorno che invece doveva essere dedicato al Signore. Oppure se nel Canton Ticino, in Svizzera, il “Piccolo Consiglio” fu costretto a regolamentare il lavoro dei cavallanti emanando il decreto “Custodia delle bestie da soma e da tiro sulle strade pubbliche(2), che così recitava:
“Informato che dei cavallanti e carrettieri abbandonano spesso sulla strada le bestie da soma, e i carri che hanno in condotta, in modo, che talvolta da tale trascuranza la mercanzia loro affidata si guasta o perisce, e ne nasce pure, tra gli altri inconvenienti, quello di ritardare la corsa ai Corrieri, ed il cammino a’Viandanti;
Decreta
1.      Ogni Cavallante e Carrettiere è tenuto di accompagnare costantemente sulla strada le bestie da soma, o carri che ha in condotta.
2.      Chiunque contravverrà ad un tale ordine sarà multato nella pena di 10 franchi (ossiano lire venti quattro Cantonali) per ogni volta…
3.      Saranno pure tenuti i Cavallanti, e i Carrettieri ad indennizzare i proprietari per le robbe, o merci che saranno guaste, o perdute per qualunque causa…
4.      E’ proibito sotto la stessa amenda di 10 franchi a qualunque Cavallante o Carrettiere di ritardare la corsa de’Corrieri, ovvero de’passeggeri a cavallo o in vettura…
Bellinzona, 11 Dicembre 1812

Lasciamo la Svizzera e trasferiamoci ora nella Brianza lecchese e vediamo com’era la situazione del trasporto merci a Verderio Superiore. Anche nel piccolo borgo brianzolo si registrò l’esigenza, almeno fino ai primissimi anni Cinquanta, di utilizzare i carri trainati dai cavalli per il trasporto e la movimentazione di merci di qualsiasi tipologia. Quando il lavoro dei campi lo consentiva, i coloni, al fine di incrementare le già magre disponibilità economiche familiari, occupavano il tempo residuo a loro disposizione fornendo le sopraccitate prestazioni. Erano almeno un ventina i residenti che, regolarmente o saltuariamente, svolgevano il mestiere di cavallante. Felice Colnaghi me ne ha elencati alcuni. Il coordinatore era Marco Gariboldi, Marcu de l’Irolda, colui che spesso riceveva le richieste e gli ordini e li girava ai singoli contadini. Poi c’erano i coloni che abitavano nelle corti del centro storico: Aquilino e Mario Colombo, dei Benedétt; Guido e Rinaldo Frigerio, dei Custònt; Giuseppe Colnaghi, dei Barbìs; Vincenzo Oggioni della corte dei Fredich; Angelo Oggioni, dei Beloeusch; Luigi Viganò, dei Peregài. Alcuni cavallanti abitavano invece nelle cascine di Verderio Superiore, come Battista Villa, dei Pelòt, o Romeo Frigerio della cascina La Salette.    

Marco Gariboldi è il primo a sinistra (fonte Giulio Oggioni)

Le attività erano tra le più varie, come pure diverse tra loro erano le località che dovevano essere raggiunte dai carri. Milano era una meta abituale e ambita, una metropoli che attirava i poveri contadini delle aree rurali lombarde, curiosi e desiderosi di vedere cose nuove e gente che viveva, bene o male, in maniera diversa rispetto alla loro. A Milano, i cavallanti verderiesi trasportavano sabbia scavata nelle cave di Porto d’Adda, cemento dallo stabilimento Italcementi di Calusco d’Adda, carbone scaricato dai vagoni dei treni merci arrivati alla stazione FS di Paderno-Robbiate, mattoni fabbricati nelle fornaci di Trezzo d’Adda e Ronco Briantino. Questi materiali, naturalmente, venivano trasportati e distribuiti anche in molti altri comuni, ovunque se ne registrasse l’esigenza e laddove vi fosse richiesta. Dalla fonderia Rossi di Calusco d’Adda, ad esempio, venivano prelevati e portati alle varie destinazioni le fusioni e gli stampi, come pure alla ditta Frigerio di Paderno d’Adda i cavallanti consegnavano le materie prime volte alla produzione del sapone e dei detersivi. Durante gli anni della seconda guerra mondiale i carri trainati dai cavalli vennero impiegati per il trasporto di mobili e arredi degli sfollati, famiglie costrette a lasciare le proprie abitazioni, che da Milano, Monza e dai centri industriali del Nord sfuggivano ai bombardamenti, trasferendosi nella più tranquilla e sicura Brianza.

Sfollati nella Milano bombardata del 1943

Nei viaggi più lunghi, per i quali i cavallanti impiegavano tutta la giornata, nasceva la necessità, un po’ come avviene oggi durante lunghi viaggi in auto, di effettuare alcune soste intermedie per far riposare cavallo e conduttore, rifocillarsi e adempiere a naturali bisogni fisiologici. Quando i carri si dirigevano a Milano, una delle mete più frequentate dai verderiesi era un’osteria situata in località Sant’Albino, un  piccolo borgo vicino Monza. Lì insisteva un’osteria/trattoria di proprietà della famiglia Pozzoni di Verderio Inferiore ma, probabilmente, originaria di Robbiate. Era gestita da Agostina Pozzoni, detta Gustina, la quale era una brava cuoca e sapeva cucinare i piatti della tradizione brianzola.   Agostina aveva due sorelle: Celeste, detta Celestra, che possedeva anch’essa una trattoria in via Papa, a Milano, e Giuseppina, sposatasi con Alessandro Riva, Sonder, di Verderio Superiore.

Carrettieri, vestiti elegantemente per l'occasione, trasportano una campana presso una chiesa brianzola
 
Che dire, per concludere? Un mondo scomparso. L’abbandono e la fine del trasporto delle merci ad opera dei cavallanti e dei carrettieri sono dipesi da vari fattori. Il primo, a mio avviso, fu dovuto al rapido mutamento socio-economico verificatosi nell’Italia del dopoguerra, quando il repentino cambiamento del modello di sviluppo, soprattutto nel Nord-Ovest del Paese, causò diversi problemi, tra cui l’abbandono progressivo delle campagne e la trasformazione delle destinazioni d’uso delle stalle di corti e cascine, dalle quali vennero espulse mucche e cavalli per far posto ai primi esemplari della Vespa e della Fiat 600. La famosa mutazione antropologica di pasoliniana memoria, un fenomeno descritto da Pasolini che riguarda i cambiamenti profondi verificatisi con l'avvento della società dei consumi. Qui però mi fermo, altrimenti il ragionamento mi porterebbe troppo lontano.              

Beniamino Colnaghi

Note
1.Vedasi il post “Begnamen di Barbiss, mio nonno” pubblicato il 3 gennaio 2014
2.Compendio del bullettino officiale del cantone ticino, Volume 1, Lugano, 1826.

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