venerdì 24 ottobre 2025

Pier Paolo Pasolini (Bologna, 5 marzo 1922 – Ostia, 2 novembre 1975)

Cinquant’anni dopo il suo efferato omicidio, Pasolini continua a parlarci ed a dirci con lucidità e lungimiranza come leggere il nostro tempo.  Moravia diceva che Pasolini è stato l’unico poeta civile italiano venuto dopo Foscolo. In vita questo grande poeta e intellettuale fu letteralmente perseguitato da un’Italia non ancora matura e libera dalla rozza ipocrisia e dal moralismo clerico-fascista. Il volume Le ceneri di Gramsci è il monumento di Pasolini all’antichità della sapienza popolare, a quel mondo inesorabilmente subalterno, sempre uguale nei secoli, almeno fino ai primi anni Sessanta del secolo scorso, gli anni del boom economico, dell’ affermazione del consumismo e della contaminazione della cultura italiana. Pochi anni dopo, a seguito di questo profondo cambiamento, intervenuto in gran parte del popolo italiano, si registrò una regressione che lui stesso chiamò “genocidio culturale”. Arrivati gli anni Settanta, gli ultimi della sua vita, Pasolini cominciò a scrivere sulle pagine di riviste e giornali, tra i quali il “Corriere della Sera” articoli che scandalizzavano l’entusiasmo conformista dell’Italia di quel tempo, ormai diventata una delle maggiori potenze industriali del mondo. Coniugò il concetto di “omologazione culturale” della società, e dunque come fase ultima della lotta di classe. Coniò dei termini che ancora oggi sono richiamati nei dibattiti e negli articoli dei giornali: “il corvo”, “il Palazzo”, “la scomparsa delle lucciole” divennero metafore universali nel vocabolario italiano. La distinzione tra Sviluppo e progresso, un articolo del 1973 che il “Corriere della Sera” mai pubblicò, è ancora oggi al centro del dibattito politico. Pasolini spesso non offriva soluzioni; il suo intento pedagogico e le sue denunce volevano semplicemente far riflettere, evidenziare il problema, porre domande,  a cui altri avrebbero dovuto dare risposte.

Pasolini di fronte alla tomba di Antonio Gramsci al Cimitero Acattolico di Roma

A cinquant’anni dalla sua tragica morte, il suo pensiero non solo non ha perso rilevanza, ma è considerato come una profezia compiuta. Il capitalismo sfrenato, l’edonismo imposto dai potenti e dal mercato, la cultura borghese che omologa le diversità, che hanno soggiogato non solo le istituzioni, ma anche le coscienze, sono tutti concetti che Pasolini denunciava con forza e lucidità.    


La poesia Supplica a mia madre, scritta da Pasolini nell’aprile 1962, venne inserita nella prima edizione del libro Poesia in forma di rosa, pubblicato nel 1964. 

Supplica a mia madre 

È difficile dire con parole di figlio
ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.

Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,
ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore.

Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere:
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.

Sei insostituibile. Per questo è dannata
alla solitudine la vita che mi hai data.

E non voglio esser solo. Ho un’infinita fame
d’amore, dell’amore di corpi senza anima.

Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu
sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:

ho passato l’infanzia schiavo di questo senso
alto, irrimediabile, di un impegno immenso.

Era l’unico modo per sentire la vita,
l’unica tinta, l’unica forma: ora è finita.

Sopravviviamo: ed è la confusione
di una vita rinata fuori dalla ragione.

Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.
Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile…

Il monumento dedicato a Pier Paolo Pasolini dal Comune di Roma, eretto sul luogo dove venne ucciso e dove venne rinvenuto il suo corpo
 

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