lunedì 5 febbraio 2018

Quando è il suo turno, puntuale, l’8 si rifà vivo

Siamo nel 2018 e l’8 finale è ritornato. Ogni dieci anni si accoda al numero che indica il nuovo anno e ci costringe a ricordare che “lui” è un numero importante, perché alcuni anni contraddistinti dall’8 finale hanno segnato la storia, con eventi e fatti che, nel bene o nel male, hanno contribuito a scrivere pagine significative del nostro passato. 
Intendiamo ricordare alcuni di questi avvenimenti, tra i più significativi, che per brevità e memoria sono accaduti nell’ultimo secolo, il Novecento, accompagnati da doverosi commenti.
 
1918 
Il 4 novembre alle ore 15, cessate tutte le operazioni di guerra, fu proclamata la fine della prima guerra mondiale. Armando Diaz emanò un bollettino che celebrava, non senza retorica, la vittoria su "uno dei più potenti eserciti del mondo".
Prima dell'entrata in vigore dell'armistizio, firmato a Padova il giorno prima, l'esercito proseguì la sua rincorsa ai territori italiani che erano stati persi l'anno precedente. Non vennero raggiunte le località sulla riva sinistra dell'Isonzo, mentre in Alto Adige mancavano ancora diversi chilometri prima di giungere sul Passo del Brennero, considerato come il confine naturale dell'Italia. La pace però non presupponeva l'impossibilità di continuare l'avanzata, ma solo quella di cessare qualsiasi combattimento. E così nei giorni seguenti furono raggiunte anche altre località abbandonate dalle autorità austro-ungariche.
II 4 novembre 1918, dunque, finiva il primo conflitto mondiale. Un evento che segnò in modo profondo e indelebile l'inizio del '900 e che determinò radicali mutamenti politici e sociali. Oggi il 4 novembre si celebra la Giornata dell'Unità Nazionale e delle Forze Armate.  
Due mesi dopo, il 18 gennaio 1919, iniziarono a Versailles i trattati di pace.
 
L'edizione del Corriere della Sera dell'11 novembre 1938

1938
Le leggi razziali fasciste in Italia furono un insieme di provvedimenti legislativi e amministrativi (leggi, ordinanze, circolari, ecc.) applicati fra il 1938 e i primissimi anni Quaranta, inizialmente dal regime fascista e poi dalla Repubblica Sociale Italiana. Esse furono rivolte prevalentemente, ma non solo, contro le persone di religione ebraica. Il loro contenuto fu annunciato per la prima volta il 18 settembre 1938 a Trieste da Benito Mussolini, l’approvazione avvenne meno di un mese dopo, il 6 ottobre, quando il Gran Consiglio del Fascismo sottoscrisse la “Dichiarazione sulla razza”. Per la legislazione fascista era ebreo chi era nato da: genitori entrambi ebrei, da un ebreo e da una straniera, da una madre ebrea in condizioni di paternità ignota oppure chi, pur avendo un genitore ariano, professasse la religione ebraica. Sugli ebrei venne emanata una serie di leggi discriminatorie.
Il fascismo, attraverso l'emanazione di leggi e norme sulla difesa della razza italiana, ammise tuttavia la figura del cosiddetto ebreo arianizzato, dando “facoltà al Ministro per l'interno di dichiarare, su conforme parere della Commissione, la non appartenenza alla razza ebraica anche in difformità delle risultanze degli atti dello stato civile”. Si trattò in sostanza del conferimento di un potere molto vasto alla Commissione per le discriminazioni: questa infatti poteva formulare un parere motivato, sulla base del quale il Ministero dell'interno avrebbe a sua volta emanato un Decreto di dichiarazione della razza. Nell'autunno 1938, nel quadro di una grande azione razzista già tempo prima, il governo Mussolini varò la "normativa antiebraica sui beni e sul lavoro", ovvero la spoliazione dei beni mobili e immobili degli ebrei residenti in Italia.
La legislazione antisemita comprendeva: il divieto di matrimonio tra italiani ed ebrei, il divieto per gli ebrei di avere alle proprie dipendenze domestici di razza ariana, il divieto per tutte le pubbliche amministrazioni e per le società private di carattere pubblicistico, come banche e assicurazioni, di avere alle proprie dipendenze ebrei, il divieto di trasferirsi in Italia di ebrei stranieri, la revoca della cittadinanza italiana concessa a ebrei stranieri in data posteriore al 1919, il divieto di svolgere la professione di notaio e di giornalista e forti limitazioni per tutte le cosiddette professioni intellettuali, il divieto di iscrizione dei ragazzi ebrei, che non fossero convertiti al cattolicesimo, nelle scuole pubbliche, il divieto per le scuole medie di assumere come libri di testo opere alla cui redazione avesse partecipato in qualche modo un ebreo.
E molto altro ancora, fino alla deportazione, all’internamento e alla morte nei campi di concentramento nazisti.
 
1948
La Costituzione della Repubblica italiana entrò in vigore il 1° gennaio 1948. La Costituzione è la legge fondamentale e fondativa dello Stato italiano. Venne approvata dall’Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947 e promulgata cinque giorni dopo dal capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola. Fu pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 298, edizione straordinaria, del 27 dicembre 1947. 

Il 30 gennaio, presso la Birla House a Nuova Delhi, in India, mentre si recava nel giardino per la consueta preghiera ecumenica del pomeriggio, Mohandas Karamchand Gandhi venne assassinato con tre colpi di pistola da un fanatico indù radicale che aveva legami anche con gruppi estremisti indiani. 
 
In Italia, il 18 aprile del 1948 si tennero le prime elezioni politiche libere dopo la caduta del fascismo e la fine della seconda guerra mondiale. In una campagna elettorale tesa e molto combattuta si scontrarono la Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi e il Fronte democratico popolare, l’alleanza di comunisti e socialisti guidata da Togliatti e Nenni. Le sinistre, uscite a testa alta dalla Guerra di Liberazione e dalla Costituente, erano convinte di vincere, ma non colsero fino in fondo la portata di quello scontro, nel quale entrarono pesantemente il Vaticano e la Chiesa Cattolica e forze di levatura internazionale, tra le quali gli Stati Uniti d’America. La Dc prese oltre il 48% dei voti, mentre il Fronte raggiunse il 31%. Quella tornata elettorale segnò per decenni la vita politica e sociale italiana. Inoltre, quel 18 aprile, segnò anche territorialmente gli equilibri politici: le sinistre forti al Centro e nelle grandi aree urbane e industrializzate, la Dc ed i moderati nel resto del Paese, soprattutto al Sud e nel Nord-Est.

La Dichiarazione universale dei diritti umani fu redatta dai rappresentanti di tutte le aree del mondo ed incluse tutte le usanze legali. Adottata formalmente dalle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, è il documento sui diritti umani più universale che esista e delinea i diritti fondamentali che formano le basi per una società democratica. A seguito di questo atto storico, l’Assemblea dell’Onu fece appello a tutti gli stati membri di divulgare il testo della Dichiarazione “affinché venga disseminata, esposta, letta e spiegata principalmente nelle scuole ed in altre istituzioni educative, senza distinzione basata sulla posizione politica dei paesi o dei territori”. La Dichiarazione è un documento concreto che è stato accettato come contratto tra un governo e il suo popolo in tutto il mondo, ma purtroppo è largamente disatteso in molte parti del mondo.  

1968
Martin Luther King, leader instancabile della resistenza non violenta e paladino dei diritti dei poveri e degli emarginati, venne ucciso il 4 aprile 1968 a Memphis, Usa, colpito da un colpo di fucile di precisione alla testa, mentre era sul balcone dell’hotel in cui alloggiava.  

Un mese dopo, il 6 giugno, nell'Ambassador Hotel di Los Angeles (Usa) Bob Kennedy, fratello dell’ex presidente John Fitzgerald Kennedy, ucciso a Dallas il 22 novembre 1963, venne ucciso in circostanze poco chiare da un uomo di origini giordane, che gli esplose contro alcuni colpi di pistola.


 Cortei degli studenti in Italia 

Ma il 1968 verrà ricordato in tutto il mondo come l’anno della contestazione giovanile e studentesca.
Il Sessantotto fu quindi un fenomeno prima di tutto giovanile, ed in modo particolare studentesco. Caratteristica peculiare che fa delle rivolte di quegli anni una rarità storica, fu la simultaneità e la vastità geografica delle rivolte: in situazioni socio-economiche e geografiche molto diverse (dai Paesi europei al Giappone, dal Messico agli Stati Uniti) si assistette a forme di ribellione simili e contemporanee, senza che vi fosse stata alcuna forma di preparazione o di coordinamento. Tra la metà degli anni Sessanta e i primi anni Settanta, le giovani generazioni dei paesi più diversi si ribellarono ai rispettivi sistemi politici, culturali e sociali.  
E’ sufficiente ricordare alcuni eventi di quegli anni per rendersi conto delle dimensioni del fenomeno: il “Maggio francese”; la “Primavera di Praga”; l’esplodere dei movimenti studenteschi in Italia e Germania; l’opposizione negli Stati Uniti alla guerra in Vietnam; l’assassinio di Martin Luther King e le sanguinose rivolte dei ghetti neri; il famoso gesto di protesta degli atleti afro-americani alla premiazione olimpica dei 200 metri piani, con Tommy Smith e John Carlos sul podio a pugno chiuso, a segnare l’adesione al movimento del Black Power.
La guerra in Vietnam, evento chiave della politica internazionale degli anni Sessanta, fu uno dei motivi più forti di aggregazione dei movimenti di protesta in tutto il mondo. I giovani e gli studenti che scendevano in piazza per il Vietnam vedevano nella crisi dell’egemonia militare americana l’elemento decisivo per una ridefinizione complessiva degli equilibri internazionali.
Un filo conduttore nei movimenti sociali del ’68, un loro carattere storico comune, può essere individuato nell’essere stati i primi movimenti di contestazione radicale del modello sociale ‘neocapitalistico’ e dell’equilibrio mondiale fondato sull’egemonia statunitense, condotta in forme di massa. Una critica “da sinistra”, ma culturalmente non ascrivibile alla tradizione comunista. 
Sotto questo aspetto i movimenti di contestazione, definiti come movimenti della ‘nuova sinistra’, contenevano forti elementi di innovazione nei confronti della tradizione politica e culturale delle sinistre, verso la quale erano fortemente critici. In primo luogo era ritenuto estremamente importante il riferimento alle lotte dei popoli del terzo mondo, alle rivoluzioni del mondo arabo, dell’Asia e di Cuba. L’Unione Sovietica non veniva più assunta come Stato-guida, ma anzi come uno dei garanti, insieme agli Stati Uniti, dell’ordine da abbattere.
Quei gruppi che contestavano il sistema non si battevano più per lo sviluppo e la modernizzazione, ma contro le caratteristiche autoritarie e di classe di quello sviluppo e di quella modernizzazione. La loro era dunque la prima critica della modernità, fatta non in nome delle nostalgie passate della destra, ma in nome di una modernità più libera e più giusta. 
Gli ideali anti-imperialisti, anti-militaristi, anti-autoritaristi e anti-borghesi sono i principali fili conduttori che attraversano tutti i movimenti di protesta sorti nei primi anni Sessanta. Viene contestata ogni istituzione che si fondi sul principio di autorità, come la famiglia e la scuola, che trasmettono modelli di disciplina e che stigmatizzano ogni comportamento deviante, fino a tutte quelle istituzioni per loro natura finalizzate alla repressione o fondate su un forte principio gerarchico: l’esercito, la magistratura, la polizia, la Chiesa, la burocrazia degli stati e dei partiti tradizionali. Nascono tentativi di dar vita a luoghi dove l’autorità sia bandita: la comune al posto della famiglia, l’assemblea e la democrazia diretta in luogo delle deleghe e della democrazia rappresentativa, con lo scopo di voler simboleggiare il rovesciamento del potere costituito e quello di creare un proprio spazio autonomo. Tutte forme che finirono per mettere definitivamente in crisi le figure sociali in cui l’autorità si esprimeva: dal padre al poliziotto, dal giudice al militare.
Oggetto della contestazione non è solo il potere statale, ma anche e soprattutto i singoli poteri quotidiani: dalla famiglia autoritaria al professore in aula al caporeparto nella fabbrica. Questi movimenti combattono qualunque forma di burocrazia, da quella statale a quella delle tradizionali organizzazioni dei partiti. All’apparato organizzativo della politica tradizionale contrappongono le reti informali dei comitati, le assemblee, la democrazia diretta.
La generazione nata tra gli anni ’40 e ’50 si forma nella consapevolezza della minaccia mondiale di una catastrofe nucleare, di un rischio di totale distruzione tecnologica che appariva essere del tutto indipendente dal luogo di nascita e dalla volontà del singolo individuo.
Altri movimenti che si svilupparono in contemporanea a quello degli studenti furono il movimento hippy, nato a metà degli anni Sessanta a New York e S. Francisco, che esprimeva il concetto di amore libero in tutte le sue forme ed una maggiore libertà sessuale e il movimento femminista, come conseguenza dell’insoddisfazione che le donne avevano nei confronti delle società occidentali. L’insoddisfazione femminile inizialmente si concentrò negli stessi gruppi studenteschi e sugli stessi ideali condivisi da questi ultimi: libertà di pensiero e diritti civili. Ben presto le ideologhe del movimento femminista si resero conto che la componente maschile dei movimenti studenteschi tendeva a mettere in minoranza l’altro sesso, cosa che generò rivendicazioni femminili autonome e indirizzate all’ottenimento della piena uguaglianza tra i sessi. Ogni aspetto personale dell’universo femminista costituiva argomento di lotta, non solo il mondo del lavoro, ma anche quello della famiglia e soprattutto della salute.

1978
Sul piano politico, nel 1978 in Italia ci fu una situazione instabile, che a meno di due anni dalle elezioni portò alla caduta del governo monocolore della Democrazia Cristiana, guidato da Giulio Andreotti. Di fronte a quest'impasse e per dare una risposta convincente al Paese, attraversato da una profonda crisi sociale ed economica, il presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro sostenne l'ipotesi di un governo di solidarietà nazionale, con la partecipazione dei comunisti.
Si trattò di un gesto politico di considerevole portata, i cui echi oltrepassarono i confini nazionali. Il  segretario del Partito Comunista Italiano, Enrico Berlinguer, elaborò la proposta del “Compromesso storico, una strategia che si fondava sulla necessità della collaborazione e dell’accordo fra le forze popolari di ispirazione comunista e socialista con quelle di ispirazione cattolico-democratica, al fine di dar vita a uno schieramento politico capace di realizzare un programma di profondo risanamento e rinnovamento della società e dello Stato italiano, sulla base di un consenso di massa, tanto ampio da poter resistere ai contraccolpi delle forze più conservatrici, anche di natura internazionale. Le resistenze però erano forti, sia all'interno della Dc, sia tra gli alleati internazionali dei due principali partiti italiani. Da un lato gli Usa timorosi che, nell'ottica della “guerra fredda”, un partito filosovietico al governo avrebbe potuto minare i piani militari della Nato e spostare l’asse geopolitico nel Mediterraneo. Dall'altro l'Urss giudicava tale prospettiva una forma di emancipazione dal modello sovietico, e quindi non tollerabile.
La mattina di giovedì 16 marzo Moro era atteso alla Camera dei Deputati, dove Andreotti avrebbe dovuto presentare il nuovo governo con l’astensione dei comunisti di Berlinguer. All'incrocio tra via Fani e via Stresa, a Roma, ad attenderlo un commando composto da numerosi brigatisti, armati di pistole e mitragliette automatiche. Bloccando il corteo con due auto all'inizio e alla fine dello stesso, e ostruendo le vie di fuga laterali con altri veicoli parcheggiati, i terroristi entrarono in azione facendo fuoco sulla scorta di Moro, uccidendo tutti gli uomini della scorta e rapendo il presidente della Dc. Passarono 48 ore prima che le Brigate Rosse rivendicassero l'attentato e il sequestro di Moro, attraverso una foto dello stesso, ritratto con alle spalle la famigerata "stella a cinque punte" e un comunicato in cui si annunciava che il presidente della Dc sarebbe stato processato da «un tribunale del popolo». La reazione dei cittadini si tradusse in cortei e manifestazioni per gridare il proprio dissenso alla violenza brigatista. Le istituzioni reagirono approvando una serie di "leggi speciali" volte a dare più poteri alle forze dell'ordine e agli investigatori nell'attività di contrasto al terrorismo. Sul piano politico emersero forti divisioni tra chi era per trattare con i sequestratori, come il Partito socialista e la maggioranza che era invece per la linea dura. Nei 55 giorni che seguirono ci fu uno stillicidio di comunicati delle Br, ipotesi giornalistiche e polemiche politiche, fantasiose teorie e depistaggi.

Il corpo di Aldo Moro

Il 6 maggio le Brigate Rosse comunicarono l'esecuzione della condanna a morte. Tre giorni dopo il corpo di Moro fu rinvenuto in via Caetani, nel bagagliaio di una Renault 4 rossa, parcheggiata, simbolicamente, tra via delle Botteghe Oscure e Piazza del Gesù (dove avevano sede rispettivamente il Pci e la Dc). Della strage di via Fani e dell'omicidio Moro furono accusati, processati e condannati all’ergastolo e a pene molto pesanti numerosi brigatisti, la maggior parte dei quali oggi è in regime di semilibertà. Altri, nel frattempo, sono deceduti. Ma alcuni aspetti poco chiari persistono ancora oggi. 

L’8 luglio 1978 Alessandro Pertini, detto Sandro, classe 1896, venne eletto settimo presidente della Repubblica italiana, rimanendo in carica dal 1978 al 1985.  

Il 1978 vide l’avvicendamento sul trono di San Pietro di ben tre papi. Paolo VI morì il 6 agosto 1978. Il cardinale Albino Luciani venne eletto papa il 26 agosto scegliendo il nome di Giovanni Paolo I. Il suo pontificato fu però tra i più brevi della storia della Chiesa cattolica, perché il Papa morì dopo soli 33 giorni dalla sua elezione. Papa Giovanni Paolo II, nato Karol Jozef Wojtyla, polacco, venne eletto papa il 16 ottobre dello stesso anno.

2008
Il 4 novembre, il democratico Barack Obama vinse le elezioni presidenziali degli Stati Uniti d’America e divenne il 44° presidente americano. Vinse in molti Stati tradizionalmente repubblicani, tra cui la Florida, la Virginia, l'Ohio, l'Indiana, il Colorado e il Nevada. In quelle elezioni Obama ricevette il record di voti, ottenendo circa 69 milioni 500mila voti, il maggior numero di voti ottenuti da un candidato presidenziale.
Attorno alla sua figura si generò da subito speranza e entusiasmo da parte degli americani e di miliardi di persone nel mondo e si auspicò un netto miglioramento nelle relazioni politiche e internazionali tra gli Stati e delle condizioni di vita di milioni di americani.   

Beniamino Colnaghi

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