Siamo nel
2018 e l’8 finale è ritornato. Ogni dieci anni si accoda al numero che indica
il nuovo anno e ci costringe a ricordare che “lui” è un numero importante,
perché alcuni anni contraddistinti dall’8 finale hanno segnato la storia, con eventi e
fatti che, nel bene o nel male, hanno contribuito a scrivere
pagine significative del nostro passato.
Intendiamo ricordare
alcuni di questi avvenimenti, tra i più significativi, che per brevità e memoria sono
accaduti nell’ultimo secolo, il Novecento, accompagnati da doverosi commenti.
1918
Il
4 novembre alle ore 15, cessate tutte le operazioni di guerra, fu proclamata la
fine della prima guerra mondiale. Armando Diaz
emanò un bollettino che
celebrava, non senza retorica, la vittoria su "uno dei più potenti
eserciti del mondo".
Prima
dell'entrata in vigore dell'armistizio, firmato a Padova il giorno prima, l'esercito
proseguì la sua rincorsa ai territori italiani che erano stati persi l'anno
precedente. Non vennero raggiunte le località sulla riva sinistra dell'Isonzo, mentre in Alto Adige mancavano ancora
diversi chilometri prima di giungere sul Passo del Brennero, considerato come il confine naturale
dell'Italia. La pace però non presupponeva l'impossibilità di continuare
l'avanzata, ma solo quella di cessare qualsiasi combattimento. E così nei
giorni seguenti furono raggiunte anche altre località abbandonate dalle
autorità austro-ungariche.
II
4 novembre 1918, dunque, finiva il primo conflitto mondiale. Un evento che
segnò in modo profondo e indelebile l'inizio del '900 e che determinò radicali
mutamenti politici e sociali. Oggi il 4 novembre si celebra la Giornata
dell'Unità Nazionale e delle Forze Armate.
Due
mesi dopo, il 18 gennaio 1919,
iniziarono a Versailles i trattati di
pace.
L'edizione del Corriere della Sera dell'11 novembre 1938
1938
Le
leggi razziali fasciste in Italia furono un insieme di provvedimenti
legislativi e amministrativi (leggi, ordinanze, circolari, ecc.) applicati fra
il 1938 e i primissimi anni Quaranta, inizialmente dal regime fascista e poi
dalla Repubblica Sociale Italiana. Esse furono rivolte prevalentemente,
ma non solo, contro le persone di religione ebraica. Il loro contenuto fu
annunciato per la prima volta il 18 settembre 1938 a Trieste da Benito
Mussolini, l’approvazione avvenne meno di un mese dopo, il 6 ottobre, quando il
Gran Consiglio del Fascismo sottoscrisse la “Dichiarazione sulla razza”. Per
la legislazione fascista era ebreo chi era nato da: genitori entrambi ebrei, da
un ebreo e da una straniera, da una madre ebrea in condizioni di paternità
ignota oppure chi, pur avendo un genitore ariano, professasse la religione
ebraica. Sugli ebrei venne emanata una serie di leggi discriminatorie.
Il
fascismo, attraverso l'emanazione di leggi e norme sulla difesa della razza
italiana, ammise tuttavia la figura del cosiddetto ebreo arianizzato, dando “facoltà
al Ministro per l'interno di dichiarare, su conforme parere della Commissione,
la non appartenenza alla razza ebraica anche in difformità delle risultanze
degli atti dello stato civile”. Si trattò in sostanza del conferimento di un
potere molto vasto alla Commissione per le discriminazioni: questa infatti
poteva formulare un parere motivato, sulla base del quale il Ministero
dell'interno avrebbe a sua volta emanato un Decreto di dichiarazione della
razza. Nell'autunno 1938, nel quadro di una grande azione razzista già tempo
prima, il governo Mussolini varò la "normativa antiebraica sui beni e sul
lavoro", ovvero la spoliazione dei beni mobili e immobili degli ebrei
residenti in Italia.
La
legislazione antisemita comprendeva: il divieto di matrimonio tra italiani ed
ebrei, il divieto per gli ebrei di avere alle proprie dipendenze domestici di
razza ariana, il divieto per tutte le pubbliche amministrazioni e per le
società private di carattere pubblicistico, come banche e assicurazioni, di
avere alle proprie dipendenze ebrei, il divieto di trasferirsi in Italia di
ebrei stranieri, la revoca della cittadinanza italiana concessa a ebrei
stranieri in data posteriore al 1919, il divieto di svolgere la professione di
notaio e di giornalista e forti limitazioni per tutte le cosiddette professioni
intellettuali, il divieto di iscrizione dei ragazzi ebrei, che non fossero
convertiti al cattolicesimo, nelle scuole pubbliche, il divieto per le scuole
medie di assumere come libri di testo opere alla cui redazione avesse
partecipato in qualche modo un ebreo.
E
molto altro ancora, fino alla deportazione, all’internamento e alla morte nei
campi di concentramento nazisti.
1948
La Costituzione della Repubblica italiana entrò in
vigore il 1° gennaio 1948. La Costituzione è la legge fondamentale e
fondativa dello Stato italiano. Venne approvata dall’Assemblea Costituente
il 22 dicembre 1947 e promulgata cinque giorni dopo dal capo
provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola. Fu pubblicata sulla Gazzetta
Ufficiale della Repubblica Italiana n. 298, edizione straordinaria, del 27
dicembre 1947.
Il 30 gennaio, presso la Birla House a Nuova Delhi,
in India, mentre si recava nel giardino per la consueta preghiera ecumenica del
pomeriggio, Mohandas Karamchand
Gandhi venne assassinato con tre colpi di pistola da
un fanatico indù radicale che aveva legami anche con gruppi estremisti indiani.
In
Italia, il 18 aprile del 1948 si tennero le prime elezioni politiche libere
dopo la caduta del fascismo e la fine della seconda guerra mondiale. In una campagna elettorale tesa e
molto combattuta si scontrarono la Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi e
il Fronte democratico popolare, l’alleanza di comunisti e
socialisti guidata da Togliatti e Nenni.
Le sinistre, uscite a testa alta dalla Guerra di Liberazione e
dalla Costituente, erano convinte di vincere, ma non colsero fino in fondo la
portata di quello scontro, nel quale entrarono pesantemente il Vaticano e la
Chiesa Cattolica e forze di levatura internazionale, tra le quali gli Stati Uniti
d’America. La Dc prese oltre il 48% dei voti, mentre il Fronte raggiunse il
31%. Quella tornata elettorale segnò per decenni la vita
politica e sociale italiana. Inoltre, quel 18 aprile, segnò anche territorialmente
gli equilibri politici: le sinistre forti al Centro e nelle grandi aree urbane e industrializzate,
la Dc ed i moderati nel resto del Paese, soprattutto al Sud e nel Nord-Est.
La Dichiarazione universale dei diritti umani fu redatta
dai rappresentanti di tutte le aree del mondo ed incluse tutte le usanze
legali. Adottata formalmente dalle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, è il
documento sui diritti umani più universale che esista e delinea i diritti
fondamentali che formano le basi per una società democratica. A seguito di
questo atto storico, l’Assemblea dell’Onu fece appello a tutti gli stati membri
di divulgare il testo della Dichiarazione “affinché venga disseminata, esposta,
letta e spiegata principalmente nelle scuole ed in altre istituzioni educative,
senza distinzione basata sulla posizione politica dei paesi o dei territori”. La
Dichiarazione è un documento concreto che è stato accettato come contratto tra
un governo e il suo popolo in tutto il mondo, ma purtroppo è largamente
disatteso in molte parti del mondo.
1968
Martin
Luther King, leader instancabile della resistenza non violenta e
paladino dei diritti dei poveri e degli emarginati, venne ucciso il 4 aprile
1968 a Memphis, Usa, colpito da un colpo di fucile di precisione alla testa,
mentre era sul balcone dell’hotel in cui alloggiava.
Un
mese dopo, il 6 giugno, nell'Ambassador Hotel di Los Angeles (Usa) Bob Kennedy,
fratello dell’ex presidente John Fitzgerald Kennedy, ucciso a Dallas
il 22 novembre 1963, venne ucciso in circostanze poco chiare da un uomo
di origini giordane, che gli esplose contro alcuni colpi di pistola.
Ma
il 1968 verrà ricordato in tutto il mondo come l’anno della contestazione
giovanile e studentesca.
Il
Sessantotto fu quindi un fenomeno prima di tutto giovanile, ed in modo
particolare studentesco. Caratteristica peculiare che fa delle rivolte di
quegli anni una rarità storica, fu la simultaneità e la vastità geografica
delle rivolte: in situazioni socio-economiche e geografiche molto diverse (dai
Paesi europei al Giappone, dal Messico agli Stati Uniti) si assistette a forme
di ribellione simili e contemporanee, senza che vi fosse stata alcuna forma di
preparazione o di coordinamento. Tra la metà degli anni Sessanta e i primi anni
Settanta, le giovani generazioni dei paesi più diversi si ribellarono ai
rispettivi sistemi politici, culturali e sociali.
E’
sufficiente ricordare alcuni eventi di quegli anni per rendersi conto delle
dimensioni del fenomeno: il “Maggio francese”; la “Primavera di Praga”;
l’esplodere dei movimenti studenteschi in Italia e Germania; l’opposizione
negli Stati Uniti alla guerra in Vietnam; l’assassinio di Martin Luther King e
le sanguinose rivolte dei ghetti neri; il famoso gesto di protesta degli atleti
afro-americani alla premiazione olimpica dei 200 metri piani, con Tommy Smith e
John Carlos sul podio a pugno chiuso, a segnare l’adesione al movimento del
Black Power.
La guerra in
Vietnam, evento chiave della politica internazionale degli anni Sessanta, fu
uno dei motivi più forti di aggregazione dei movimenti di protesta in tutto il
mondo. I giovani e gli studenti che scendevano in piazza per il Vietnam
vedevano nella crisi dell’egemonia militare americana l’elemento decisivo per
una ridefinizione complessiva degli equilibri internazionali.
Un filo
conduttore nei movimenti sociali del ’68, un loro carattere storico comune, può
essere individuato nell’essere stati i primi movimenti di contestazione
radicale del modello sociale ‘neocapitalistico’ e dell’equilibrio mondiale
fondato sull’egemonia statunitense, condotta in forme di massa. Una critica “da
sinistra”, ma culturalmente non ascrivibile alla tradizione comunista.
Sotto questo
aspetto i movimenti di contestazione, definiti come movimenti della ‘nuova
sinistra’, contenevano forti elementi di innovazione nei confronti della
tradizione politica e culturale delle sinistre, verso la quale erano fortemente
critici. In primo luogo era ritenuto estremamente importante il riferimento
alle lotte dei popoli del terzo mondo, alle rivoluzioni del mondo arabo,
dell’Asia e di Cuba. L’Unione Sovietica non veniva più assunta come
Stato-guida, ma anzi come uno dei garanti, insieme agli Stati Uniti,
dell’ordine da abbattere.
Quei gruppi
che contestavano il sistema non si battevano più per lo sviluppo e la
modernizzazione, ma contro le caratteristiche autoritarie e di classe di quello
sviluppo e di quella modernizzazione. La loro era dunque la prima critica della
modernità, fatta non in nome delle nostalgie passate della destra, ma in nome
di una modernità più libera e più giusta.
Gli ideali anti-imperialisti, anti-militaristi, anti-autoritaristi
e anti-borghesi sono i principali
fili conduttori che attraversano tutti i movimenti di protesta sorti nei primi
anni Sessanta. Viene contestata ogni istituzione che si fondi sul principio di
autorità, come la famiglia e la scuola, che trasmettono modelli di disciplina e
che stigmatizzano ogni comportamento deviante, fino a tutte quelle istituzioni
per loro natura finalizzate alla repressione o fondate su un forte principio
gerarchico: l’esercito, la magistratura, la polizia, la Chiesa, la burocrazia
degli stati e dei partiti tradizionali. Nascono tentativi di dar vita a luoghi
dove l’autorità sia bandita: la comune al posto della famiglia, l’assemblea e
la democrazia diretta in luogo delle deleghe e della democrazia rappresentativa,
con lo scopo di voler simboleggiare il rovesciamento del potere costituito e
quello di creare un proprio spazio autonomo. Tutte forme che finirono per
mettere definitivamente in crisi le figure sociali in cui l’autorità si
esprimeva: dal padre al poliziotto, dal giudice al militare.
Oggetto
della contestazione non è solo il potere statale, ma anche e soprattutto i
singoli poteri quotidiani: dalla famiglia autoritaria al professore in aula al
caporeparto nella fabbrica. Questi movimenti combattono qualunque forma di
burocrazia, da quella statale a quella delle tradizionali organizzazioni dei
partiti. All’apparato organizzativo della politica tradizionale contrappongono
le reti informali dei comitati, le assemblee, la democrazia diretta.
La
generazione nata tra gli anni ’40 e ’50 si forma nella consapevolezza della
minaccia mondiale di una catastrofe nucleare, di un rischio di totale
distruzione tecnologica che appariva essere del tutto indipendente dal luogo di
nascita e dalla volontà del singolo individuo.
Altri movimenti che si svilupparono in contemporanea a quello degli
studenti furono il movimento hippy, nato a metà degli anni Sessanta a New York e S. Francisco, che
esprimeva il concetto di amore libero in tutte le sue forme ed una maggiore
libertà sessuale e il movimento femminista, come conseguenza
dell’insoddisfazione che le donne avevano nei confronti delle società
occidentali. L’insoddisfazione femminile inizialmente si concentrò negli stessi
gruppi studenteschi e sugli stessi ideali condivisi da questi ultimi: libertà
di pensiero e diritti civili. Ben presto le ideologhe del movimento femminista
si resero conto che la componente maschile dei movimenti studenteschi tendeva a
mettere in minoranza l’altro sesso, cosa che generò rivendicazioni femminili
autonome e indirizzate all’ottenimento della piena uguaglianza tra i sessi.
Ogni aspetto personale dell’universo femminista costituiva argomento di lotta,
non solo il mondo del lavoro, ma anche quello della famiglia e soprattutto della salute.
1978
Sul
piano politico, nel 1978 in Italia ci fu una situazione instabile, che a meno
di due anni dalle elezioni portò alla caduta del governo monocolore della
Democrazia Cristiana, guidato da Giulio Andreotti. Di fronte a quest'impasse e
per dare una risposta convincente al Paese, attraversato da una profonda crisi
sociale ed economica, il presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro sostenne l'ipotesi di un
governo di solidarietà nazionale, con la partecipazione dei comunisti.
Si
trattò di un gesto politico di considerevole portata, i cui echi
oltrepassarono i confini nazionali. Il
segretario del Partito Comunista Italiano, Enrico Berlinguer, elaborò la proposta del “Compromesso storico”, una
strategia che si fondava sulla necessità della collaborazione e dell’accordo
fra le forze popolari di ispirazione comunista e socialista con quelle di
ispirazione cattolico-democratica, al fine di dar vita a uno schieramento
politico capace di realizzare un programma di profondo risanamento e
rinnovamento della società e dello Stato italiano, sulla base di un consenso di
massa, tanto ampio da poter resistere ai contraccolpi delle forze più
conservatrici, anche di natura internazionale. Le resistenze però erano forti,
sia all'interno della Dc, sia tra gli alleati internazionali dei due principali
partiti italiani. Da un lato gli Usa timorosi che, nell'ottica della “guerra
fredda”, un partito filosovietico al governo avrebbe potuto minare i piani
militari della Nato e spostare l’asse geopolitico nel Mediterraneo. Dall'altro
l'Urss giudicava tale prospettiva una forma di emancipazione dal modello
sovietico, e quindi non tollerabile.
La
mattina di giovedì 16 marzo Moro era atteso alla Camera dei Deputati, dove Andreotti avrebbe
dovuto presentare il nuovo governo con l’astensione dei comunisti di Berlinguer.
All'incrocio tra via Fani e via
Stresa, a Roma, ad attenderlo un commando composto da numerosi brigatisti,
armati di pistole e mitragliette automatiche. Bloccando il corteo con due auto
all'inizio e alla fine dello stesso, e ostruendo le vie di fuga laterali con
altri veicoli parcheggiati, i terroristi entrarono in azione facendo fuoco
sulla scorta di Moro, uccidendo tutti gli uomini della scorta e rapendo il
presidente della Dc. Passarono 48 ore prima che le Brigate Rosse rivendicassero l'attentato e il sequestro di Moro,
attraverso una foto dello stesso, ritratto con alle spalle la famigerata
"stella a cinque punte" e un comunicato in cui si annunciava che il
presidente della Dc sarebbe stato processato da «un tribunale del popolo».
La reazione dei cittadini si tradusse in cortei e manifestazioni per gridare il
proprio dissenso alla violenza brigatista. Le istituzioni reagirono approvando
una serie di "leggi speciali" volte a dare più poteri alle forze
dell'ordine e agli investigatori nell'attività di contrasto al terrorismo. Sul
piano politico emersero forti divisioni tra chi era per trattare con i
sequestratori, come il Partito socialista e la maggioranza che era invece per
la linea dura. Nei 55 giorni che
seguirono ci fu uno stillicidio di comunicati delle Br, ipotesi giornalistiche
e polemiche politiche, fantasiose teorie e depistaggi.
Il corpo di Aldo Moro
Il
6 maggio le Brigate Rosse comunicarono l'esecuzione della condanna a morte. Tre
giorni dopo il corpo di Moro fu rinvenuto in via Caetani, nel bagagliaio di una Renault 4 rossa, parcheggiata,
simbolicamente, tra via delle Botteghe Oscure e Piazza del Gesù (dove avevano
sede rispettivamente il Pci e la Dc). Della strage di via Fani e dell'omicidio
Moro furono accusati, processati e condannati all’ergastolo e a pene molto
pesanti numerosi brigatisti, la maggior parte dei quali oggi è in regime di
semilibertà. Altri, nel frattempo, sono deceduti. Ma alcuni aspetti poco chiari persistono ancora oggi.
L’8 luglio 1978 Alessandro Pertini, detto Sandro,
classe 1896, venne eletto settimo presidente della Repubblica
italiana, rimanendo in carica dal 1978 al 1985.
Il 1978 vide
l’avvicendamento sul trono di San Pietro di ben tre papi. Paolo VI morì il 6
agosto 1978. Il cardinale Albino Luciani venne eletto papa il 26 agosto scegliendo
il nome di Giovanni Paolo I. Il suo pontificato fu però tra i più brevi della
storia della Chiesa cattolica, perché il Papa morì dopo soli 33 giorni dalla sua
elezione. Papa Giovanni Paolo II, nato Karol Jozef Wojtyla, polacco, venne
eletto papa il 16 ottobre dello stesso anno.
2008
Il
4 novembre, il democratico Barack Obama vinse le elezioni presidenziali degli
Stati Uniti d’America e divenne il 44° presidente americano. Vinse in molti
Stati tradizionalmente repubblicani, tra cui la Florida, la Virginia, l'Ohio, l'Indiana, il Colorado e il Nevada. In quelle elezioni
Obama ricevette il record di voti, ottenendo circa 69 milioni 500mila voti, il maggior numero di
voti ottenuti da un candidato presidenziale.
Attorno
alla sua figura si generò da subito speranza e entusiasmo da parte degli
americani e di miliardi di persone nel mondo e si auspicò un netto
miglioramento nelle relazioni politiche e internazionali tra gli Stati e delle condizioni di vita di milioni di americani.
Beniamino Colnaghi
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