venerdì 14 marzo 2014

Leggende dal ghetto di Praga: Reb Schime Scheftels

Circa l’insediamento dell’antico popolo ebraico a Praga sono stati pubblicati tre post, nei mesi di novembre e dicembre 2012 e nel mese di giugno 2013. Questo quarto post riguarda le gesta di un povero rammendatore di nome Reb Schime Scheftels, che viveva, con sua moglie e i suoi tre bambini, in una delle case più povere della parte superiore della città ebraica di Praga. A causa del suo umile lavoro, Schime non era particolarmente considerato e non godeva di molta stima all’interno della comunità praghese. Non era un uomo erudito e spesso si asteneva dal commentare fatti e avvenimenti che accadevano in città, tanto che gli venne dato il soprannome di “ebreo silenzioso”. Sua nonna Ziperl, vecchissima servitrice del tempio, interveniva appassionatamente in difesa di suo nipote, gridando verso chi lo dileggiava e scherzava: “Lasciate stare il mio Schimele, le acque chete sono profonde, seppiatelo.” E i fatti le avrebbero dato ragione.
 
Era il mese di giugno dell’anno 1286. In città si respirava un’aria vivace poiché era la vigilia della festa dello Schawuot, una tra le maggiori festività ebraiche.
Il vicolo principale del ghetto di Praga sembrava un giardino, perché, dalla Sinagoga Vecchia-Nuova fino al Vicolo d’Oro, le donne vendevano fiori sui banchetti, destinati alla decorazione delle case per i giorni dello Schawuot. Inoltre, le botteghe e gli stretti vicoli erano presi d’assalto dalla gente. Reb Leser, un omone grande e grosso, nonché banditore della comunità, uscì dalla casa del rabbino e batté tre volte per terra un grosso bastone nodoso decorato. Improvvisamente calò il silenzio. Reb Leser lesse un comunicato importante che annunciava l’arrivo nella città ebraica dell’imperatore, re Venceslao II di Boemia, accompagnato dalla moglie Jutta.

Museo di Praga, illustrazione dalla Aggadah (1526)

Il rabbino ordinò di fare tutti i preparativi per accogliere con onore l’illustre ospite: la preghiera pomeridiana, detta Mincha, fu pronunciata nelle sinagoghe già a mezzogiorno e i rappresentanti della comunità si radunano con largo anticipo davanti al Municipio. Gli abitanti del ghetto erano tutti nelle strade e nei vicoli. Le campane della chiesa di Tein annunciarono che il re era arrivato nel cuore del ghetto ebraico e che stava ricevendo gli omaggi delle autorità religiose e civili.
Quando il corteo reale stava percorrendo il vicolo Belele, un grosso mattone cadde da una vecchia casa, proprio di fronte al sovrano. Re Venceslao rimase illeso, ma se ne andò via di corsa, pieno d’ira.
La sera, quando l’intera comunità si riunì per il rito divino nella Sinagoga Vecchia-Nuova, il Beth-din-Schammes, il servitore del collegio dei rabbini, portò al rabbino capo Jonathan uno scritto provvisto del sigillo reale. Il re Venceslao chiedeva al Rabbi di consegnare alla comunità, entro otto giorni, il malfattore che aveva scagliato il mattone dalla casa del vicolo Belele, pena la cacciata di tutti gli abitanti.

Praga, il municipio ebraico (1910)

Tutti i tentativi di trovare il responsabile rimasero infruttuosi. Nella casa da cui era caduto il mattone non era stato trovato nessuno. Il secondo giorno dello Schawuot il Roschhakohol, il capo della comunità, tentò di ottenere un’udienza dal cancelliere di Stato del re, Zawisch von Rosenberg, ma venne respinto. Trascorsi i giorni dello Schawuot, Rabbi Jonathan ordinò alla comunità tre giorni di digiuno e penitenza. I cancelli di ferro del ghetto furono chiusi anche di giorno per paura di rappresaglia da parte di chi nutriva un odio sfrenato nei confronti degli ebrei, i quali non fecero altro che radunarsi nelle sinagoghe e nel vecchio cimitero a pregare i loro avi.
Così avvenne anche nell’ultimo giorno concesso dal re per consegnare il colpevole. Intanto, una terribile folla armata di asce, scuri e vanghe cominciò a radunarsi davanti ai cancelli, pronta a saccheggiare il ghetto. Tutta la comunità ebraica era radunata nelle sinagoghe. Soltanto uno mancava, Reb Schime Scheftels, “l’ebreo silenzioso”, il quale era uscito di casa la sera prima e non vi aveva fatto più ritorno.
Rabbi Jonathan salì improvvisamente sull’Almemor, la tribuna nella sinagoga sulla quale viene letta la Thora, e annunciò: “l’intera comunità è salva dalla disgrazia incombente. Uno dei nostri uomini, senza tante parole, come era nel suo stile, si è sacrificato per la comunità di Israele. Ieri sera Reb Schime Scheftels è andato al castello e si è consegnato, dicendo di essere l’uomo che aveva tentato di uccidere il re. Noi tutti sappiamo però che egli è innocente. Presto il suo sacrificio sarà compiuto: il re ha deciso che Schime dovrà pagare con la vita. Onore a Reb Schime Scheftels che ha salvato la nostra comunità!”
In mezzo a tanto rammarico, un solo cuore esplose di gioia per ciò che udì: Ziperl, la nonna di Reb Schime nonché servitrice del tempio, che sedeva nell’area femminile della sinagoga, emise un urlo di gioia e cadde a terra morta.

I consiglieri del re decisero che il colpevole sarebbe stato giustiziato facendolo precipitare dalla casa in cui aveva tentato di compiere il suo gesto. Dalla porta della Vecchia Sinagoga entrò una colonna di Lanzichenecchi a cavallo, in mezzo alla quale camminava in catene Reb Schime. La colonna si fermò davanti alla casa nel vicolo Belele. L’intera comunità era lì radunata per volere del re. Reb fu condotto sul tetto: si voltò un’ultima volta verso Oriente e con il grido di invocazione: “Sch’ma Jisrael, adonai elohenu, adonai echod”(1) si gettò contro le lance dei Lanzichenecchi che erano puntate verso l’alto.

 
Praga, sinagoga Vecchia-Nuova vista da via Maiselova

Per tre giorni l’intera comunità di Praga si mise a lutto per il martire, per dieci giorni di seguito rimase accesa per lui la candela delle anime nella Sinagoga Vecchia-Nuova. Il terzo giorno dopo la morte, Rabbi Jonathan sognò che Schime era un discendente del profeta Zaccaria, il quale era stato ucciso da Israele perché ne aveva denunciato i costumi degenerati.

Due anni più tardi, il cancelliere di Stato del re, Zawisch von Rosenberg, morì sul patibolo in quanto colpevole di alto tradimento. Prima di morire volle parlare con Rabbi Jonathan, al quale confessò che fu lui ad istigare un suo servo affinché attentasse alla vita del re Venceslao II, perché sapeva che questo misfatto sarebbe stato attribuito agli ebrei.
Il Rabbi, da quel preciso momento, ordinò che la comunità ebraica di Praga si prendesse cura della famiglia dell’”ebreo silenzioso” e pagasse gli studi ai suoi tre figli orfani.

Beniamino Colnaghi

Note e riferimenti bibliografici
1. Le prime parole di una importante preghiera della liturgia ebraica, una tra le più sentite, la quale proclama l’unità di Dio.
Bloch Chajim, Der Prager Golem (Il Golem di Praga), Berlino 1920.
Collezione praghese di leggende ebraiche, nuova raccolta rivista, Vienna e Lipsia 1926.

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