lunedì 4 settembre 2017

La via Francigena nei magnifici territori della provincia di Siena

Visitare Siena, inoltrarsi tra le colline della sua provincia e ammirare le principali testimonianze architettoniche, artistiche e paesaggistiche presenti sul territorio implica necessariamente il fatto di occuparsi di una strada medievale i cui apporti culturali ed economici furono significativi per Siena e il suo territorio. Il passaggio della Francigena nel senese, infatti, e delle sue varianti, sia immediatamente tangenti o limitrofe ai territori dei comuni sia integrate con il sistema della viabilità locale, generò la nascita ed il successivo forte sviluppo di diverse tipologie di strutture assistenziali, umanitarie e commerciali ad essa funzionali e collegate.
Prima del Giubileo dell´anno 2000 si fece un gran parlare, molto spesso a sproposito e con diverse deformazioni, della via Francigena. Ma la strada in questione non può essere equiparata ad una via consolare romana, come ad esempio la via Emilia o la via Aurelia, o, ai giorni nostri, ad un‘autostrada. Nel Medioevo non esisteva un‘autorità che avesse il potere o fosse in grado di costruire percorsi sovraregionali, come fu possibile per l´Impero romano. Quindi, partendo da questo assunto, si può affermare che non è mai esistita una via Francigena a lunga percorrenza che unisse Roma al Nord Europa. Ci furono invece diverse varianti e possibilità, come attestano alcuni documenti medievali, che citano occasionalmente una via o strada francigena, o francisca, o romea. Come accennato, le possibili varianti furono molteplici. Come quella percorsa dall´arcivescovo di Canterbury, Sigerico che, tra il 990 e il 994, superò le Alpi al Gran San Bernardo e attraversò la Manica non lontano da Calais. Oppure, due secoli dopo, il viaggio del re di Francia, Filippo Augusto, che, di ritorno in patria dalla Terra Santa, percorse itinerari diversi in Toscana e superò le Alpi al Moncenisio.
Relativamente alle origini della via Francigena, questo itinerario comincia ad essere documentato nella prima metà dell´VIII secolo ma, se ci limitassimo al tratto italiano, dovremmo precisare che il percorso comincia a definirsi con i Longobardi che, per recarsi nella Tuscia e scendere nei loro possedimenti meridionali passavano per l´Alpem Bardonis, Monte Bardone, cioè da quel passo che in seguito sarà detto della Cisa. Per i Longobardi questa strada ebbe un forte peso strategico perchè in Toscana permetteva un percorso intermedio tra la costa, soggetta ad attacchi dal mare, e i territori orientali controllati dall´Esarcato. La via che superava il Monte Bardone mantenne grande importanza  anche con l´avvento dei Franchi, tanto che da questi in qualche maniera prese il nome. Sulla via Francigena si viaggiava prevalentemente a piedi. Solo i piú abbienti potevano permettersi il lusso di una cavalcatura mentre le merci venivano trasportate con animali da soma. Le strade medievali erano spesso tortuose e ripide e i selciati erano malridotti e i ponti stretti e insicuri. Per meglio comprendere, in maniera eloquente, la struttura della via Francigena e chi fossero i suoi utenti, basti osservare gli affreschi del Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti, contenuti nel Palazzo Pubblico di Siena. Sul tratto senese della strada si notano i signori a cavallo con il falcone e il seguito dei servi, ma anche il mercante con il mulo, il contadino che porta in cittá il porco, il pellegrino ed anche il povero che chiede l´elemosina. Le difficoltà e la lentezza del viaggio rendevano necessaria la presenza di numerosi ospizi, secondo il principio cristiano dell´aiuto al prossimo, bisognoso di assistenza materiale e spirituale. Nel senese furono decine e decine gli ospizi documentati presenti sulla Francigena. Una trentina nella sola Siena. L‘ospitalità era offerta anche da istituzioni religiose quali monasteri, pievi, canoniche. Successivamente si diffuse un‘ospitalità che oggi potremmo definire laica, a pagamento, quale quella delle taverne, delle osterie, delle terme, la cui conduzione vide spesso impegnate intere famiglie.
Entrando ora nel merito dei percorsi della strada che interessano i comuni senesi, con le eccezioni di Volterra (provincia di Pisa) e Cortona (provincia di Arezzo), che ho ritenuto di visitare per la loro storia e bellezza, dopo essersi infilata in Lunigiana ed aver toccato Lucca, la Francigena si avvicina ad un passaggio che intorno all’anno Mille era tra i più temuti: la piana del Serchio, i boschi delle Cerbaie, i paduli di Porcari e di Fucecchio, aree paludose oggi bonificate, l’Aqua nigra menzionata da Sigerico. Il passaggio dell’Arno lo si vede scorrere da un solido  ponte in muratura e se si alza lo sguardo dagli argini già si vede svettare la torre di San Miniato, roccaforte imperiale a controllo della strada. Oltre quel crinale si distende il mare ondulato delle colline toscane. Orizzonti vastissimi si aprono dal crinale che si affaccia sulla Val d´Elsa, dove si cammina seguendo fedelmente le orme dell’arcivescovo Sigerico. I viandanti si ritrovano immersi nella solitudine dei campi di grano, contemplando paesi lontani: Castelfiorentino, Gambassi Terme, Certaldo, una costellazione di borghi sui crinali, i casali, le pievi romaniche tra gli ulivi e i cipressi, poco più a sud, si cominciano a intravedere le magnifiche torri di San Gimignano, ricordato fin dal X secolo come castello di pertinenza della Chiesa volterrana. Due secoli più tardi la comunitá di San Gimignano si staccò progressivamente dal dominio politico di Volterra, avviando la formazione di un proprio distretto. Tra varie difficoltà e apposizioni di ostacoli da parte di Firenze e Siena, nei primi anni del Trecento la città fu teatro di una grande espansione mercantile e di operazioni finanziarie di ampio raggio che, però, non ressero a lungo alla forte pressione e ingerenza fiorentina e alla grave crisi internazionale che iniziò verso la metà del Trecento. La crescita urbana della città ebbe un arresto definitivo. Ma l‘immobilismo dei secoli e drastiche operazioni di tutela del patrimonio monumentale hanno creato le premesse per la fortuna di oggi, tanto da poterci consentire di ammirare una cittá che ha pochi eguali al mondo.


San Gimignano

Poc‘anzi ho accennato al fatto che Volterra meriti senz‘altro una visita, in primis per la sua bellezza e per la vicinanza a San Gimignano, e poi perchè essa, seppur non interessata direttamente dal passaggio della Francigena, estese storicamente il suo territorio e il dominio proprio su zone oggi appartenenti alla provincia di Siena.

Volterra

Il percorso della Francigena descritto da Sigerico poco più a sud di San Gimignamo entra nel territorio comunale di Colle di Val d´Elsa, la quale si vide certamente favorita e beneficiata da tale passaggio, sia dal punto di vista dello sviluppo economico sia dall‘incremento demografico. Nel corso del Medioevo Colle mantenne dapprima una politica di equilibrio tra le due città egemoni della Toscana, Siena e Firenze, per poi avvicinarsi sempre più a quest´ultima. Numerosi sono i monumenti di un certo interesse presenti sul suo territorio, soprattutto a Colle Alto, sviluppatosi lungo la sottile cresta di una scoscesa collina.
L´estremitá sud-occidentale del comune di Castellina in Chianti era interessata da un percorso della Francigena proveniente da Poggibonsi che correva sulla destra del torrente Staggia, il quale vedeva la presenza di alcuni ospizi. Nei primi anni del Duecento il territorio di Castellina entrò a far parte anch‘esso dell‘influenza di Firenze, assumendo un ruolo importante nel sistema difensivo del confine meridionale, in contrapposizione al castello senese di Monteriggioni. Alla metà dello stesso secolo fu posta a capo di uno dei terzieri che formavano la Lega del Chianti. Situata sulla cresta di una collina, in posizione panoramica a dominio delle valli della Pesa, dell‘Arbia e dell‘Elsa, Castellina venne fortificata e potenziata, ad opera dei Fiorentini, nella cinta muraria, con torri mozzate a pianta quadrata.
 
 Castellina in Chianti
Se Castellina ebbe il compito di difendere da sud il contado fiorentino, Monteriggioni nacque come baluardo della frontiera a nord dello Stato senese. Tutti i percorsi della Francigena a nord di Siena confluivano nell´attuale circoscrizione comunale, per poi unirsi poco prima di raggiungere la città. Il tratto della Francigena che raggiunge Monteriggioni, proveniente da San Gimignano e Colle Val d´Elsa, è senza alcun dubbio di grande bellezza paesaggistica e particolarmente ricco di testimonianze storiche e architettoniche. Monteriggioni, celebre per via della cinta muraria circolare, con quattordici torri quadrilatere, presenta un asse viario principale  alle cui estremità si aprono due porte. Al centro è una vasta piazza su cui si affaccia la pieve di Santa Maria, di forme romanico-gotiche.       


Monteriggioni

Pochi chilometri di percorrenza verso sud ed eccoci a Siena, punto importante di convergenza dei vari percorsi francigeni. Siena, la colonia romana Sena Julia, emblema della via Francigena e una delle maggiori cittá del Medioevo, la cui fortuna e prosperità fu gran parte legata alla via stessa, che vi entrava a nord da Porta Camollia e usciva a sud da Porta Romana, quella raffigurata dal Lorenzetti nel Buon Governo. Le torri, piazza del Campo, il Duomo e l´inconfondibile profilo della cittá accompagnavano a lungo i viandanti e i pellegrini mentre si dirigevano verso Roma, inoltrandosi in un percorso più netto, anche se vi potevano essere delle varianti. Due di queste si dirigevano, l‘una verso Isola d‘Arbia, Monteroni, Lucignano d‘Arbia, Buonconvento e giù giù fino a San Quirico d‘Orcia, punti fissi della Francigena, l‘altra verso Taverne d‘Arbia, Vescona e Asciano, nel cuore delle Crete Senesi, una via bellissima, tutta di crinale, tra panorami immensi e dolcissime colline di argilla coltivate a grano.  


Siena
 
Da Asciano, volendo ricongiungersi con la Francigena in direzione Buonconvento, come un‘oasi nel deserto, racchiusa entro il verde immenso di un bosco di cipressi, improvvisamente appare Monte Oliveto, grande monastero fondato nel 1319 per iniziativa di alcuni nobili senesi che in questo luogo si erano da tempo ritirati a vita eremitica. In seguito divenne il centro di un‘importante e vasta congregazione religiosa. Tutt‘ora è sede di una numerosa congregazione di monaci benedettini.  


Abbazia di Monte Oliveto Maggiore

Superato Buonconvento verso sud, solo l´estremo lembo nord-orientale del territorio di Montalcino è interessanto dal passaggio della Francigena. Comune autonomo dalla fine del XII secolo lottò per tutto il Duecento a difesa della sua indipendenza contro le mire espansionistiche di Siena, che ebbe la meglio nel secolo successivo. L‘importanza della città nell‘età medievale è testimoniata da numerosi monumenti, tra i quali la Rocca, il Palazzo Comunale, il Duomo e numerose chiese.
La strada che da Montalcino porta a San Quirico d´Orcia offre belle vedute sulle dolci colline delle valli dell‘Asso e dell‘Orcia, con squarci di paesaggio tra i più fotografii della Toscana. Sede di una pieve ricordata fin dall‘età longobarda, il castello di San Quirico assunse notevole importanza nel corso del XII secolo, quando divenne residenza dei funzionari dell‘Impero. Quale ultimo grande castello prima di uno dei tratti più insicuri dell‘intero percorso, San Quirico, sede di numerosi ospizi per pellegrini e viandanti, costituì una delle principali tappe lungo la strada. La stessa struttura urbana si è in gran parte sviluppata lungo la Francigena, da Porta Camaldoli a Porta Ferrea, oggi entrambe scomparse. Da ricordare che nel 1154 Federico Barbarossa stabilì qui il proprio accampamento per trattare con i messaggeri di Papa Adriano IV i termini della propria investitura ad imperatore. Anche in epoca moderna San Quirico ha visto passare tra le sue mura principi e imperatori, religiosi, eserciti e pellegrini, tra i quali i papi Pio VI e Pio VII, quest‘ultimo mentre si recava a Parigi per l‘incoronazione di Napoleone Bonaparte.   
San Quirico d'Orcia

Ad est di quest‘ultima località troviamo due importanti città della provincia senese, Pienza e Montepulciano. La prima, molto vicina al passaggio principale della Francigena deve il suo nome e la sua fama a Enea Silvio Piccolomini, Papa Pio II, che nel 1459 concepì l‘idea di sperimentare i nuovi sentimenti e i nuovi ideali estetici dell´Umanesimo nel castello di Corsignano, dove lui stesso ebbe i natali. Nel giro di pochi anni elevò il castello a sede episcopale, ne cambiò il nome, obbligò i cardinali al suo seguito a costruirvi proprie residenze e dette l´incarico al Rossellino di mettere a punto il progetto, che si fermò alla morte di Pio II. Fulcro estetico ed urbanistico del grande progetto è piazza Pio II, dalla singulare forma trapezoidale, con il Duomo, dalla facciata rinascimentale in travertino, e i palazzi che la circondano, tra i quali il Palazzo Piccolomini, il Palazzo Pubblico e il Palazzo Borgia.

Pienza

Montepulciano, anche se distante una ventina di chilometri dalla Francigena, merita senz´altro una visita. Per rendersi conto della bellezza e della storia della città, basti iniziare la visita dalla piazza Grande, centro monumentale ed insieme alla Rocca elemento emergente del suo impianto insediativo. L’architettura degli edifici attuali risale al rinnovamento prodottosi in città nei secoli XV e XVI e mostra gli influssi delle correnti culturali del Rinascimento fiorentino e romano. Il Palazzo Comunale, Palazzo Contucci Del Monte, il Duomo e il pozzo meritano particolare attenzione. E poi conviene percorrere le diverse stradine che contengono numerosi segni e testimonianze della gloriosa storia di Montepulciano.   


Montepulciano

A sud di  San Quirico ai viandanti si aprivano piú possibilitá per superare il monte Amiata, al fine di dirigersi verso Radicofani, Piancastagnaio a sud-ovest e San Casciano dei Bagni a sud-est. A sud di questi tre comuni, in localitá Ponte del Rigo, confluivano tutti i percorsi di quel fascio di strade che caratterizzava l´andamento della Francigena tra la Val d´Orcia e l´ingresso nel Patrimonio di San Pietro, cosí come oggi segna il confine tra la Toscana e il Lazio. Da qui passava il piú antico percorso della strada, quello di fondovalle, attestato dall´arcivescovo Sigerico e rimasto in uso fino alla fine del Cinquecento.
Qui la via Francigena entra nel Lazio e prosegue verso Roma. E qui termina il mio viaggio.        

Beniamino Colnaghi

Note e bibliografia
Le fotografie che corredano l’articolo sono state scattate nel mese di giugno 2017
I percorsi della via Francigena nelle terre di Siena, prodotto dalla Provincia di Siena, edizione 2003, Editrice Le Balze, Montepulciano
Via Francigena, sito ufficiale: http://www.viefrancigene.org/it/
Via Francigena, Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Via_Francigena

sabato 1 luglio 2017

Il santuario ed il convento di Santa Maria Nascente di Sabbioncello, Comune di Merate

Nella maggior parte dei casi, la scelta di scrivere e pubblicare su questo blog storie di personaggi o racconti di fatti ed eventi avviene quando c’è una traccia, una fotografia, una testimonianza scritta o orale. Per la stesura di questo post, volto a narrare la storia del santuario di Sabbioncello, sono partito invece dal luogo ove sorge e dalla “fama”, che dal punto di vista storico e religioso ha sempre avuto nella Brianza meratese e lecchese.
L’intento che mi ha condotto in cima al piccolo colle, sul quale sono adagiati il santuario ed il convento, è stato quello di scattare alcune fotografie agli edifici ed alle strutture che compongono il complesso religioso. E fin qui nulla di straordinario se non fosse che, durante questa fase, non avessi incrociato un frate appartenente all’Ordine Francescano, proprietario degli immobili, il quale, con cortesia si è offerto di accompagnarmi in un’interessante visita guidata del convento e della chiesa.
 


Da Sabbioncello si vede il colle ove sorge il santuario di Montevecchia

Sabbioncello pare derivi da Sabatius sacellum o più semplicemente dalla sabbia che componeva la struttura del terreno. Le prime notizie risalgono al 1026 e ci raccontano dell’esistenza di un castello o di una fortificazione preesistente sull’area dell’attuale piazzetta della chiesa e del convento. Tale struttura era di proprietà della famiglia Torriani e venne distrutta intorno agli anni 1270-1275, insieme al castello di Merate. Nel XV secolo Sabbioncello divenne sede comunale, annoverando, nel suo territorio, alcune frazioni, tra cui Pagnano, Vizzago, Pianezzo e Cicognola.
In quel periodo a Sabbioncello esisteva soltanto una piccola chiesa in pessime condizioni, denominata Santa Maria in Sabbioncello. Presso alcuni piccoli locali adiacenti la chiesetta stazionò, per un certo periodo di tempo, il romito Claudio, che riuscì ad aggregare altri eremiti e formare un Sodalizio religioso, al quale venne concesso di costruire una chiesa più grande, in stile lombardo, con archi a sesto acuto fino al presbiterio e con facciata rivolta verso Montevecchia. L’altare maggiore era situato nell’area dell’attuale ingresso.
Nello stesso periodo i monaci benedettini dell’Abbazia di San Dionigi di Milano, proprietari dell’immobile, concessero la facoltà di costruire un campanile, una casetta e un piccolo chiostro a ridosso della chiesa per accogliere i pellegrini e i poveri. Nei primi trent’anni del 1500 venne anche affrescata una parete della chiesa con numerosi ex voto popolari.


Il chiostro "piccolo", quello più vecchio dei due esistenti a Sabbioncello

Nel 1540 il parroco di San Giorgio in Vizzago, non potendo garantire una valida funzionalità della chiesa di Sabbioncello, chiamò i frati Francescani Amadeiti del convento della Pace di Milano e papa Paolo III dichiarò Santa Maria di Sabbioncello “separata per sempre dalla parrocchia di San Giorgio in Vizzago”. 
I Francescani Amadeiti iniziarono da subito a costruire la sacrestia, il cenacolo o refettorio e la cucina, oltre altre strutture di servizio.
Nel 1588, i maestri murari Battista e Domenico Chiesotto costruirono l’attuale presbiterio, il coro a quadrivolta sull’antica entrata della chiesa e, nel centro di questo, il sepolcro dei religiosi ritornato alla luce nel 1984, durante la paziente opera di restauro durata quasi due anni. Inoltre eressero l’attuale facciata della chiesa rivolta a oriente. Un anno dopo vennero affrescate le vele del coro con le figure dei quattro Evangelisti che s’accompagnano ai quattro padri della Chiesa Latina: Ambrogio, Agostino, Gerolamo e Gregorio. In quegli anni sono ritornate alla luce le meridiane del chiostro grande, affrescate intorno al 1700 da padre Giambattista Fè da Gentilino, esperto in arte gnomonica.
Nel 1648 venne eseguito lo scavo di una grande cisterna capace di contenere 17.000 brente d’acqua.

Il nuovo ingresso della chiesa

Nel 1810 Napoleone Bonaparte soppresse il convento, insieme a molti altri, ma i Frati Minori vi ritornarono alcuni anni dopo la caduta dell’imperatore francese per allontanarsi di nuovo a causa della Soppressione Italica del 1866. Nel 1898 Sabbioncello divenne convento della rinata Provincia lombarda dei Frati Minori. Nel 1954 venne costruita una nuova ala che attualmente ospita la biblioteca e dove hanno sede diverse attività pastorali e culturali. Nel maggio del 1967, lungo la strada che sale al convento, vennero inaugurate le stazioni della Via Crucis in cotto, opera di padre Nazareno Panzeri. Negli anni Ottanta e Novanta del Novecento si sono svolti diversi lavori di ristrutturazione e restauro di parte della struttura e delle cappelle laterali della chiesa e del chiostro.
 


Le stazioni della Via Crucis e la targa che ne ricorda la costruzione

Sulla chiesa è utile spendere qualche parola in più.

Sono molti gli elementi di interesse di natura storico-artistica contenuti nella chiesa di Santa Maria Nascente. L’edificio è ad aula unica, con copertura voltata a ogiva e cappelle sul lato sinistro. Il presbiterio è il risultato di un intervento risalente alla fine del XVI secolo, quando l’orientamento della chiesa fu invertito. Molte pareti lato sud e le lesene tra le cappelle laterali sono decorate con pitture murali interessate da pesanti interventi moderni che ne hanno falsato i valori pittorici. Sopra le cappelle sono state installate delle vetrate artistiche che richiamano la devozione, mentre al di sopra della cappella dell’Incoronata è visibile un affresco che rappresenta Maria Assunta attorniata dagli angeli.
  
La cappella del Crocifisso trae il suo nome dalla presenza di un antico crocifisso appartenuto a Federico Borromeo, cugino di san Carlo Borromeo. Nella cappella si segnalano due affreschi eseguiti entro il 1593 da Giovan Mauro e Giovan Battista della Rovere, detti i Fiamminghini. La cappella doveva essere completamente affrescata se è vero quanto scritto nelle Memorie spettanti alla città di Milano del Giulini, quando si dice che i pittori dovevano dipingere “…sedici capitoli delli Misteriy del Rosario…”. Purtroppo, della decorazione pittorica originaria restano solo quattro riquadri, ciascuno con un santo vescovo. Sulla parete centrale della cappella è collocato un altare con paliotto settecentesco in discreto stato conservativo, decorato al centro con un’Immacolata tra i fiori. Oltre alle cappelle del Crocifisso e della Vergine dell’Incoronata, nella chiesa si possono ammirare altre due cappelle: quella di sant’Antonio, nella quale si conserva sopra l’altare la statua lignea del santo, oltre ad alcuni dipinti e statue in gesso di santa Chiara e santa Margherita e la cappella di san Francesco, che vede la statua del santo al centro della parete frontale.  



Dall'alto verso il basso: cappelle del Crocifisso, di sant'Antonio e san Francesco

Come già accennato, l’intera parete di destra è ricoperta di numerosi affreschi ex voto risalenti ai primi trent’anni del 1500. In particolare uno, di un certo valore, porta la data del 1515 ed è stato realizzato dal pennello di Thomas Malagridas, come è possibile leggere sul cartiglio.


Un’altra opera di grande interesse artistico è rappresentata dalla statua lignea della Vergine Immacolata contenuta in un’ancona posta sopra l’altare maggiore, scolpita nel 1741 da frate Francesco da Vanzone, che si segnala per la maestosità dei volumi e per l’imponenza delle dorature.


L’area del coro, infine, si segnala per le pitture murali della volta, eseguite da Domenico Chiesotto a conclusione dell’intervento architettonico che lo vide all’opera insieme al fratello Battista. Gli affreschi emersero sotto uno strato di scialbo nei primi anni Ottanta del secolo scorso. Sulle vele della volta a crociera, come già detto, sono raffigurati i Dottori della Chiesa mentre sul sottarco che divide il coro dal presbiterio sono visibili santi francescani a mezzo busto, alcuni dei quali appaiono di migliore qualità esecutiva rispetto ad altri e meglio conservati.
Pregevolissimo lavoro sono gli stalli del coro in legno di noce, rovere, castano e pioppo, realizzati nell’ultimo decennio del Cinquecento e di cui non si conosce l’artista che li ha costruiti.   
Nei due chiostri del convento si segnalano diverse testimonianze di varie epoche, tra cui un’ara romana dedicata alle Matrone, rinvenuta durante alcuni scavi; un altorilievo cinquecentesco con il monogramma di Cristo; una lapide settecentesca; una fontana in bronzo e pietra; diversi arredi antichi di ottima fattura.

La parete del piccolo chiostro che riporta la scritta: "Ara romana del sec. III-IV d.C. dedicata alle Dee Matrone per la guarigione di Gneo, Caio fece edificare".

Da ultimo vale la pena segnalare due sale, quella del Crocifisso e quella del Capitolo, che contengono opere di notevole valore artistico, tra le quali un affresco che raffigura il Crocifisso con la Madonna, Maria Maddalena, san Giovanni e san Francesco attribuibile ai Fiamminghini, mentre la seconda sala viene detta anche delle sinopie per la presenza sulle pareti di sinopie strappate e trasferite in questo locale, anch’esse raffiguranti parti di una crocifissione.

Beniamino Colnaghi

Bibliografia e note

Santuario e Convento di Santa Maria Nascente di Sabbiocello – Merate, Fraternità di Sabbioncello, 2015 Editrice VELAR Gorle Bg.
Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Convento_di_Santa_Maria_Nascente_in_Sabbioncello
Pro loco Merate: http://www.prolocomerate.org/conosci-merate/convento-di-sabbioncello/
Reportage fotografico di Montevecchia: http://colnaghistoriaestorie.blogspot.it/2015/03/blog-post.html
 

martedì 20 giugno 2017

Il David di Michelangelo Buonarroti e la "contesa" sul suo posizionamento

Nel 1501, Michelangelo Buonarroti, quando iniziò a scolpire il blocco di marmo dal quale, tre anni più tardi, si sarebbe materializzato il David, l’eroe biblico che sconfisse il gigante Golia, aveva poco più di 25 anni. Già da quel momento molti artisti del Rinascimento italiano capirono che quel ragazzo sarebbe diventato il genio che dimostrò di essere durante la sua lunga vita artistica.

La statua di Michelangelo agli Uffizi di Firenze

Quel blocco di marmo di Carrara, ritenuto da altri scultori fragile e non adatto, per la forma e la scarsa qualità, venne affidato al giovane Michelangelo al fine di ricavarci un gigantesco David.   
Nel 1504 il Buonarroti consegnò alla città di Firenze la statua, simbolo della libertà repubblicana, che è da sempre ritenuta l’ideale della bellezza maschile e l’oggetto artistico più bello mai visto dai tempi antichi in Italia.  
Originariamente la statua avrebbe dovuto essere collocata su uno dei contrafforti del Duomo. Ma alcuni degli artisti fiorentini non furono d’accordo con tale decisione iniziale, probabilmente perché, dopo aver ammirato la maestosità e la bellezza del David, ritennero più consona una collocazione “più in vista”.
 
Il David
 
Per dirimere la questione e individuare una soluzione quanto più condivisa, i Consoli dell’Arte della Lana di Firenze chiamarono a raccolta ventuno tra i maggiori artisti presenti in città in quel periodo. Nomi da far accapponare la pelle, tanto erano bravi e famosi. Tra gli altri: Leonardo da Vinci, Sandro Botticelli, Filippino Lippi, Giuliano da Sangallo, Piero di Cosimo, Pietro Perugino, Andrea Sansovino, Davide Ghirlandaio.  
Alcuni artisti ritenevano la questione di semplice risoluzione e prettamente estetica, altri, invece, avevano individuato risvolti politici molto importanti. Tra questi ultimi, Niccolò Machiavelli, segretario della seconda Cancelleria, vide in quella statua il simbolo dell’aspirazione a formare una milizia popolare volta a difendere lo Stato e i suoi valori. E per questo motivo, secondo il Machiavelli, era assolutamente necessario dare al David la massima visibilità.
I geni del Rinascimento fiorentino si ritrovano dunque in assemblea e, da subito, fanno emergere i primi dissidi e pareri discordanti sulla collocazione della statua. Considerato che il marmo era fragile e di scarsa qualità, alcuni artisti, tra cui Donatello, Giuliano da Sangallo e lo stesso Leonardo da Vinci vedrebbero bene il David di Michelangelo posizionato al coperto, magari sotto la Loggia dei Lanzi o accanto alla Cattedrale. La posizione di Leonardo, che vorrebbe il David in un luogo ancor più defilato, appare oltremodo viziata dalla preoccupazione che il successo del giovane Buonarroti potesse mettere in ombra il suo buon nome.

Palazzo Vecchio in Piazza della Signoria a Firenze

Alla fine, per superare lo stallo, viene sentito Michelangelo stesso, il quale riesce a orientare la decisione finale verso il posizionamento della statua sul proscenio più importante di Firenze: l'ingresso di Palazzo Vecchio in Piazza della Signoria.
Il David fu l’emblema della Repubblica fiorentina per molti secoli. Nel 1873 venne trasferito alle Gallerie  dell’Accademia e al suo posto, nel 1910, venne installata una copia.
 
Beniamino Colnaghi

giovedì 1 giugno 2017

Il ponte Carlo di Praga, ovvero il “Ponte sacro”

I libri di storia narrano che nello stesso luogo ove adesso c’è il ponte Carlo, Karlův most in ceco, c’era un ponte di legno più basso che attraversava la Moldava, Vltava. Venne spazzato via da un’alluvione. Allora, nel 1157, il re Vladislao I, senza perdere tempo, ordinò la costruzione di un nuovo ponte in pietra, al quale diede il nome di sua moglie Giuditta. Il ponte Giuditta, i cui blocchi di rivestimento erano saldamente legati tra loro da grappe di ferro, al fine di resistere alle onde più forti, tanto robusto non doveva essere perché nel 1342 un’altra alluvione sommerse completamente il ponte e ne distrusse buona parte.
Sempre i libri di storia, ancora loro, ci raccontano che fu l’imperatore Carlo IV in persona (1316-1378), a quel tempo re di Boemia e imperatore del Sacro Romano Impero, a volerne uno nuovo, incaricando l’architetto Peter Parler, nato in Germania ma praghese di adozione. Sua fu anche la progettazione della cattedrale di San Vito e del Castello di Praga. Parler pensò bene di costruire il nuovo ponte spostato di 20 metri verso sud rispetto al ponte distrutto e con il piano di transito più alto di quattro metri.
La cattedrale di San Vito

Dell’antico ponte Giuditta, oggi, rimangono la cosiddetta torre di Giuditta, a fianco della porta che introduce nel quartiere di Malá Strana, e tre arcate inglobate nelle cantine delle case a ridosso della porta stessa. Le massicce strutture in pietra servirono da modello a Peter Parler per il ponte Carlo.
Il ponte non è la classica struttura che serve ad attraversare un fiume. Nella maggior parte del mondo è cosi, a Praga no. Il ponte Carlo è la storia di Praga e la testimonianza dell’evoluzione della città, un catalogo urbano dove la città si racconta. Su questo ponte sono state scritte centinaia di storie e leggende, come quella del Vodnik, una specie di folletto raffigurato con un cappello a tuba e disegnato con i colori rosso e verde, che ama, tra l’altro, intrattenersi nelle vecchie birrerie che sorgono in prossimità del fiume. Si tratta di una creatura acquatica, il cui compito è quello di raccogliere le anime degli annegati nella Moldava e custodirle in piccole ampolle di vetro depositate sul fondo del fiume.
Insomma, Praga, seppure sia una città tanto romantica quanto misteriosa, senza il ponte Carlo non sarebbe la stessa cosa.
 Il ponte Carlo verso la Città Vecchia (1870)
 
Il ponte Carlo oggi. Sullo sfondo il Castello e la cattedrale di San Vito
 
Un aneddoto personale. Ho ammirato per la prima volta la struggente bellezza di questo ponte nel 1987. Trent’anni fa. Epoca di smantellamento del regime. Era una qualsiasi domenica mattina del mese di agosto. La città era semideserta: i praghesi, come da tradizione, trascorrevano il fine settimana nelle loro casette di legno in campagna o presso i campeggi adagiati sulle rive dei numerosi laghetti boemi. I turisti occidentali si potevano contare con il pallottoliere. In quell’occasione, e forse nelle seguenti tre o quattro volte che vidi il ponte prima dell’89, ebbi modo di ammirarlo, fotografarlo, percorrerlo in tutta la sua maestosità. Oggi non è più possibile. Ogni giorno della settimana e durante ogni periodo dell’anno masse informi di turisti/consumatori/selfomani lo percorrono per raggiungere il quartiere di Malá Strana, e viceversa. La folla oggi è più interessata ad immortalarsi e curiosare tra le bancarelle che a conoscere e scoprire la storia ed i segreti di questo ponte.
Il ponte Carlo è lungo 520 metri e largo quasi dieci, 16 pilastri di sostegno e 30 gruppi di statue di santi. L’idea di ornarlo di statue è tutta italiana, anzi romana, e il contrappunto tra la severità gotica delle strutture del ponte e il disegno barocco delle statue è invece tutto praghese. Tutto ciò ci conferma il risultato di un accumulo storico, un processo di invenzione che si crea per strati, dalla prima installazione, il Crocifisso di inizio Seicento, all’ultima, il gruppo Cirillo e Metodio, realizzato nel 1938, l'anno prima che i nazisti invadessero la Cecoslovacchia.
Arrivando dalla Città Vecchia, Staré Město, non si può fare a meno di rallentare il passo, un po’ per la calca e la ressa dei turisti, ma soprattutto per lo scenario che ci si para di fronte. Superata la torre d’entrata, Mostecká věž, disegnata anch’essa da Parler, il ritmo del passo diventa gotico, di altri tempi. A proposito della torre, che riporta figure di Carlo IV e di vari santi, sopportò anche il peso di dieci teste mozzate dei capi degli insorti che vi furono appese nel 1621, quando la Boemia fu ripulita dalle cattolicissime armate imperiali e riportata nell’ovile. Il 1620 è l’anno della battaglia della Montagna Bianca, una data importantissima, di svolta nella storia boema.






 
Superata la torre e rallentato il passo, dunque, si entra in una specie di lungo salone all’aperto nel quale sono esposti trenta complessi statuari di varia fattura, alcuni in copia, per un totale di 50 personaggi. Il rosario dei santi non ha nulla di clericale; è una vetrina di raffigurazioni barocche e di successivi stili. Le statue rappresentano due mondi: quello dei santi e delle vergini e quello degli altri, l’ebreo, il saraceno, il peccatore, il negro, l’indio, la vedova col bambino…
La carrellata delle statue è molto istruttiva per riconoscere tre secoli di trascorsi cattolici del Paese centroeuropeo. A esempio basterebbe conoscere la storia di san Giovanni Nepomuceno, la cui statua, che risale al 1683, è la più antica del ponte, l’unica in bronzo. San Giovanni Nepomuceno venne gettato nella Moldava il 16 maggio 1393 perché non rivelò i segreti confessionali della moglie di re Venceslao IV. Silenzio di fronte al potere. Fu dichiarato dalla Chiesa protettore contro le malelingue.
Oppure basterebbe raccontare della statua che rappresenta san Francesco Borgia (1710), nipote del figlio di papa Alessandro VI, spagnolo, grande amico del re e cavallerizzo della regina Isabella, governatore dei gesuiti.
Verso Malá Strana il ponte sembra infilarsi nella pancia del quartiere, nel quale nacque e visse lo scrittore e poeta Jan Neruda. Malato e in miseria, dopo la sua morte la città di Praga gli dedicò una via, Nerudova ulice, sulla quale si affaccia l’ambasciata italiana. 
Le due torri che dovrebbero materialmente chiudere il ponte, in realtà aprono a Malá Strana in una continuità senza scossoni. La più bassa delle torri risale al XII secolo ma fu rinnovata nel 1590. La più alta è della fine del XV secolo.

 
Quando poco sopra ho scritto che il ponte Carlo è la storia di Praga, pensavo anche al fatto che sul ponte passava la Via Imperiale che saliva al Castello per l’incoronazione di re e imperatori. Oggi, molto più modestamente e commercialmente, passa la Via Turistica. Certo, i turisti di oggi non faranno la storia, ma almeno ingrassano le tasche di chi trae guadagni dal turismo di massa a Praga.
Il drammaturgo ceco Frantisek Langer scrisse, in tempi non sospetti, quasi fosse una profezia: “Perché la salvezza e la sopravvivenza del popolo ceco si fonda sui nostri teneri cuoricini piuttosto che sulla pietra tanto dura con la quale, sei secoli fa, re Carlo costruì il nostro bellissimo ponte”.
 
Beniamino Colnaghi

Sulla Boemia e su Praga questo blog contiene numerosi articoli:
La storia di Liberec: http://colnaghistoriaestorie.blogspot.it/2016/10/liberec-rep.html
Telc, patrimonio dell'Unesco: http://colnaghistoriaestorie.blogspot.it/2016/02/telc-patrimonio-dellunesco.html
Non solo Praga: http://colnaghistoriaestorie.blogspot.it/2015/09/non-solo-praga-c-itta-darte-castelli-e.html
La storia dell'Europa orientale: http://colnaghistoriaestorie.blogspot.it/2015/02/leuropa-orientale-radici-storia-e.html
Zelena Hora: http://colnaghistoriaestorie.blogspot.it/2013/09/il-complesso-storico-monumentale-di_4.html
L'ira di Hitler su Lidice: http://colnaghistoriaestorie.blogspot.it/2012/08/lira-di-hitler-su-lidice-reinhard.html
Jan Hus e gli Hussiti: http://colnaghistoriaestorie.blogspot.it/2012/06/boemia-jan-hus-e-il-movimentohussita.html
Il ghetto ebraico a Golcuv Jenikov: http://colnaghistoriaestorie.blogspot.it/2012/03/il-vecchio-insediamento-ebraico-di.html
Il lager di Terezin: http://colnaghistoriaestorie.blogspot.it/2012/03/terezin-il-lager-dei-bambini-in-ricordo.html
Milovice: http://colnaghistoriaestorie.blogspot.it/2012/02/il-militare-di-ceca-milovice.html