"Non
possiamo più accettarne!" I tedeschi di Germania non volevano più accogliere
i cittadini dei Sudeti di lingua tedesca espulsi dalla Cecoslovacchia dopo la
Seconda guerra mondiale
A seguito della
dissoluzione dell´Impero austro-ungarico, alla conclusione della Prima guerra
mondiale, nel 1918 nacque la Repubblica Cecoslovacca, comprendente le regioni
della Boemia, Moravia, Slesia Ceca, Slovacchia e Rutenia.
La neonata Repubblica Cecoslovacca si
trovò tuttavia a gestire varie situazioni problematiche, non definite a priori
sulla carta e sulle quali si aprirono varie discussioni in campo internazionale,
che perdurarono anche nel 1919.
Le nuove frontiere furono contestate sia
nelle provincie a maggioranza tedesca, prevalentemente localizzate ai confini
con la Germania e l’Austria, sia nella
zona denominata Slesia, rivendicata dai polacchi. Anche la Slovacchia, nella
parte meridionale, dovette fare i conti con una situazione di guerra con
l’Ungheria.
Le rivendicazioni
nazionalistiche autonomiste continuarono sospinte anche dal clima
internazionale che si delineò in Europa nel primo dopoguerra. Ad onor del vero
occorrerebbe precisare che le popolazioni di etnia germanica iniziarono ad
insediarsi nella zona dei Sudeti, la regione dell’altipiano che si trova nella
Boemia settentrionale, fin dal XIV
secolo.
I rapporti tra la popolazione boema e
tedesca furono problematici fin dai decenni antecedenti la Prima guerra
mondiale, nonostante vari tentativi di trovare una soluzione ragionevole da
parte dell’Impero austro-ungarico, piuttosto liberale nel cercare di introdurre
nel parlamento viennese i rappresentanti politici eletti nelle zone di etnia
differente. Per una piena comprensione della tematica autonomista, dobbiamo
tenere presente che nel secolo XIX le spinte nazionalistiche portarono alla
nascita anche di nuovi stati (si pensi all’Italia, ad esempio), e di fatto
crearono le basi per una guerra mondiale che ebbe anche come effetto la
deflagrazione dell’Impero degli Asburgo, che esisteva da quattro secoli.
La Cecoslovacchia, nel 1918, nacque
effettivamente sulle ceneri dell’Austria Ungheria e sulla aspettativa delle nazioni
vittoriose di punire le nazioni perdenti, in particolare quelle a lingua
germanica. Pertanto, accanto ai debiti di guerra, volutamente si divisero le
popolazioni di lingua tedesca in vari stati, al fine di impedire la nascita di
un forte stato germanico, e limitare una potenziale minaccia futura per tutte
le nazioni europee.
La convivenza tra boemi e tedeschi, già
problematica prima della guerra, divenne gradualmente insopportabile, spinta
dalla politica nazionalsocialista della vicina Germania, che ebbe inizio negli
anni Venti del secolo scorso.
Negli anni Trenta le zone dei Sudeti
videro in particolare la vittoria elettorale di due partiti nazionalisti, che
nel 1933 confluirono nel Sudetendeutsche
Partei, apertamente schierato a partire dal 1937 accanto al Partito
Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori, meglio conosciuto come Partito Nazista,
guidato da Adolf Hitler.
Le pretese autonomiste dei tedeschi
presenti nei Sudeti crebbero sempre più, con la crescente forza del partito guidato
da Hitler. Il leader del Sudetendeutsche
Partei, Kondrad Henlein, nel 1938 arrivò a pretendere la assoluta autonomia
dei territori dei Sudeti, presentando tale proposta unilaterale al governo
cecoslovacco. Tale richiesta fu rigettata, ma rappresentò il pretesto per la
successiva annessione alla Germania nell’autunno dello stesso anno.
In effetti, il 12 settembre 1938 Hitler
prese pubblicamente posizione in favore delle rivendicazioni di Henlein e ruppe
ogni trattativa con il governo cecoslovacco. In Europa si cercò di raggiungere
una soluzione politica a questa crisi sforzandosi di evitare un nuovo conflitto
bellico. L’allora capo di governo britannico, Chamberlain, propose una
conferenza dei capi di governo britannico, francese, tedesco e italiano,
riunitasi poi a Monaco di Baviera, nella quale si acconsentì all’annessione
della regione dei Sudeti alla Germania. Per l’Italia era presente Benito
Mussolini.
L’illusione vana di evitare un conflitto
rese la Germania ancora più forte militarmente e territorialmente. Dal punto di vista strategico, l’annessione di
questi territori era cruciale per la politica di Adolf Hitler in un’ottica di
espansione territoriale che mirava a conquistare i territori slavi, possibilmente
senza iniziare alcun conflitto con altre nazioni europee. La Cecoslovacchia,
considerata vicina alla Gran Bretagna e soprattutto alla Francia, si trovava in
effetti in una posizione strategica che avrebbe potuto indebolire la Germania.
Con il senno del poi, la scelta di abbandono degli alleati rappresentò un grave
errore geopolitico.
Tedeschi dei Sudeti salutano l'esercito nazista che entra in Cecoslovacchia
Sempre con il pretesto di proteggere le
minoranze etniche tedesche, nel marzo 1939, Hitler completò il piano di
smantellamento della Cecoslovacchia, occupando Praga, e creando il Protettorato
Boemo e Moravo, direttamente sotto la propria egemonia, mentre nella regione
Slovacca fu instaurato un Governo fantoccio filotedesco.
Accanto ai motivi geopolitici e militari,
la Germania ebbe anche un interesse economico ad annettere rapidamente questi
territori: la raccolta di manodopera a basso costo (i giovani slavi furono
costretti ad andare a lavorare nelle fabbriche tedesche) e presa del possesso
da parte del Terzo Reich di materie prime e fabbriche con tecnologia
all’avanguardia sul territorio cecoslovacco, indispensabili per armare
ulteriormente la Germania.
L’atteggiamento dei tedeschi nei confronti delle minoranze boeme
non fu clemente: vi furono diversi arresti, molte persone furono costrette ad
emigrare, ed in generale si sviluppò un clima di forte intolleranza nella zona
dei Sudeti e della Boemia, che continuò durante la Seconda guerra mondiale. Questo duro atteggiamento, si rivoltò contro le etnie tedesche
al termine della guerra, facendole ritenere collaborazioniste del regime
nazista e creando le premesse per l’esodo imposto negli anni successivi. Si stima che 2,8 milioni di tedeschi, nel biennio 1945
- 1946 furono costretti ad abbandonare i territori della Boemia e della
Moravia, rinunciando ad ogni avere. Alcuni fuggirono
portando con sé solo ciò che potevano trasportare sulle spalle o in carriole,
mentre altri furono deportati con il bagaglio a mano.
Dopo essere stati
espulsi dalla Cecoslovacchia, i tedeschi dei Sudeti affrontarono un aspetto
meno noto del loro destino. In Germania, invece di solidarietà, incontrarono
rifiuto, umiliazione e odio aperto.
Una famiglia di tedeschi dei Sudeti in cammino verso la Germania
Peter Kurzeck aveva già
visto troppo all'età di quattro anni. Originario di Tachov, arrivò in Germania
a bordo di un carro bestiame sigillato, in cui anziani e bambini morivano
durante il tragitto. Quando lo sportello del carro si aprì, la sua espulsione
dalla Cecoslovacchia terminò, ma iniziò un periodo di umiliazione.
"Ci insultavano,
dicevano che eravamo feccia sporca. Negavano persino che fossimo tedeschi. Ci
chiedevano: perché non siete rimasti da dove venite?", ricorda un
rifugiato dei Sudeti in una raccolta intitolata "Patria straniera".
Milioni di altri esuli
subirono un destino simile. Nella stessa Germania, dovettero affrontare non
solo difficoltà materiali, ma anche l'ostilità della popolazione locale.
I tedeschi dei Sudeti
arrivarono in un Paese bombardato e affamato. La Germania Ovest guadagnò un
decimo della sua popolazione a seguito delle deportazioni, mentre la guerra
distrusse anche un quarto del patrimonio edilizio. I vecchi coloni spesso non
sapevano dove avrebbero vissuto o cosa avrebbero mangiato.
L'afflusso di milioni
di tedeschi dell'Est fu percepito più con un senso di minaccia che di
solidarietà. Nella devastata Brema, apparvero manifesti con la scritta
"Non ne possiamo più! Basta con l'immigrazione!"
Tedeschi dei Sudeti arrivano al campo di transito di Wiesau, attraverso il quale transitarono oltre 850.000 rifugiati
La paura era
accompagnata da altre emozioni. I tedeschi dei Sudeti e i polacchi erano spesso
considerati un gruppo etnico diverso e inferiore, non del tutto parte dei
"veri" tedeschi. Venivano spesso descritti utilizzando la familiare
terminologia nazista. Venivano usati termini come "stranieri",
"un'altra razza" o "elementi antinazionali".
Nell'ottobre del 1945,
la popolazione dello Schleswig scrisse una petizione al maresciallo Montgomery,
chiedendo che la loro patria fosse "liberata dai rifugiati".
"Questi stranieri provenienti dalle regioni orientali rappresentano un
rischio per il carattere nordico del nostro paese e un pericolo per la nostra
nazione", afferma il documento. In Baviera furono distribuiti volantini
che chiedevano l'espulsione di "prussiani e slesiani".
La prima tappa per gli
esuli era solitamente un campo di transito al confine, come quello di Furth im
Wald, in Baviera. La procedura di "accoglienza" includeva un
trattamento disinfestante con alte dosi di DDT. Dopodiché, i deportati
proseguivano il loro viaggio. Le autorità alleate cercarono di tenerli lontani
dalle città bombardate e di estendere il loro assalto alle zone rurali, ma
incontrarono la tenace resistenza dei contadini, che dovettero essere costretti
dai soldati armati di mitragliatrici ad accogliere sotto il loro tetto famiglie
con bambini.
" Scene
particolarmente indegne si verificavano quando i contadini stessi potevano
scegliere chi accettare tra i rifugiati in arrivo", scrive Harald Jähner
nel libro Il tempo dei lupi. "Sembrava un
mercato degli schiavi. Venivano scelti gli uomini più forti, le donne più belle
e i deboli venivano messi da parte con insinuazioni beffarde. Alcuni contadini
consideravano gli esuli un legittimo sostituto dei lavoratori forzati e
reagivano con rabbia alla richiesta che ai 'polacchi' venisse pagato un salario
adeguato in futuro."
Per alcuni sfollati,
non c'era alloggio disponibile. Finirono nei campi profughi per anni. Nacque il
fenomeno dell'"homo barackensis": persone condannate a vivere in
baracche. Spesso si trattava di campi occupati solo di recente da coloro che il
regime nazista aveva condannato al ruolo di schiavi.
I tedeschi dei Sudeti
furono ospitati, ad esempio, nel campo di concentramento di Dachau, dove
nel 1948 si verificò persino una rivolta dei rifugiati locali. Gli ultimi
grandi campi per sfollati poterono essere chiusi solo nel 1966.
Durante il loro esodo,
i tedeschi espulsi incrociarono e si scontrarono con prigionieri e lavoratori
forzati. Si stima che questi "sfollati", come li chiamava
l'amministrazione di occupazione alleata, ovvero coloro che venivano condotti
contro la loro volontà nel Terzo Reich, alla fine della guerra in Germania
fossero tra gli otto e i dieci milioni. La liberazione li trovò spesso in punto
di morte e dopo una serie di esperienze inimmaginabilmente crudeli.
Non sorprende che
molti di loro cercassero vendetta. Alcuni, costretti a prestare servizio nella
confusione dei bombardamenti, sfuggirono ai loro rapitori. Formarono gruppi che
a volte razziavano i villaggi e, oltre a saccheggiare il cibo, ricorrevano alla
violenza contro i civili.
Gli Alleati cercarono
di trattare i prigionieri e i lavoratori forzati con simpatia, concedendo loro,
ad esempio, un trattamento preferenziale rispetto ai tedeschi in termini di
accesso al cibo. Ma incomprensioni e scaramucce si verificarono ripetutamente.
Di conseguenza, molti lavoratori forzati dovettero continuare a vivere in campi
circondati da filo spinato e sorvegliati da soldati, questa volta alleati.
Il destino dei
prigionieri ebrei sopravvissuti fu particolarmente crudele. A causa del loro
completo esaurimento, molti di loro non ebbero altra scelta che rimanere nei
campi di sterminio dove li trovarono i liberatori. Ancora nell'estate del 1945,
Earl Harrison, incaricato da Truman, scrisse: "Sembra che stiamo trattando
gli ebrei esattamente come li trattarono i nazisti, con l'unica differenza che
non li stiamo sterminando. Sono ancora nei campi di concentramento e, invece
delle unità delle SS, ora è il nostro esercito a sorvegliarli".
Nonostante tutte le
difficoltà e la rete ferroviaria devastata, masse di prigionieri tornarono a
casa dopo la guerra, solitamente nella direzione opposta a quella dei tedeschi
espulsi. Nel maggio del 1945, centomila persone lasciavano la Germania ogni
giorno. Ma c'erano anche persone perseguitate che volevano rimanere in Germania
o addirittura cercavano di fuggirvi. Solo poco dopo la guerra, in Polonia si
verificarono terrificanti pogrom. Alcuni dei rimpatriati dai campi di sterminio
cercarono paradossalmente sicurezza in Germania. Più precisamente in Baviera,
che era sotto l'amministrazione di occupazione americana e che era quindi
considerata più una provincia americana che parte dell'ex Terzo Reich. A
Monaco, subito dopo la guerra, fu creato un vivace quartiere con un importante mercato.
Il centro della vita
ebraica nella Baviera del dopoguerra, tuttavia, era l'ex campo di lavori
forzati di Föhrenwald, vicino a Monaco. Più di cinquemilacinquecento ebrei si
trasferirono gradualmente nell'ex campo di lavori forzati.
Inizialmente ai
tedeschi fu proibito l'ingresso nella città, dove si parlava yiddish. Vi fiorì
una straordinaria vita sociale. Nel campo si pubblicava un giornale, erano
attivi il club sportivo Maccabi, un teatro, una biblioteca, una scuola, un
ufficio postale e diverse sinagoghe. La polizia del campo manteneva l'ordine e
i partiti politici si contendevano l'influenza nel municipio locale.
Sebbene Föhrenwald
fosse solo una stazione di transito per la maggior parte dei residenti diretti
in Palestina e in altri paesi, nel 1957 vivevano ancora 800 rifugiati ebrei nel
campo. Nello stesso anno, le autorità tedesche chiusero con la forza il campo e
distribuirono i residenti rimanenti tra varie città tedesche.
Beniamino
Colnaghi
Fonti
Sudeti cecoslovacchi: https://simpleczech.com/2021/09/18/la-difficile-questione-dei-sudeti-cecoslovacchi-una-pagina-di-storia-da-non-dimenticare/
Tedeschi dei Sudeti: https://it.wikipedia.org/wiki/Tedeschi_dei_Sudeti
https://www.seznamzpravy.cz/clanek/magazin-historie-kruty-osud-sudetskych-nemcu-cesi-je-vyhnali-v-nemecku-koncili-v-taborech-275301