domenica 16 novembre 2025

 "Non possiamo più accettarne!" I tedeschi di Germania non volevano più accogliere i cittadini dei Sudeti di lingua tedesca espulsi dalla Cecoslovacchia dopo la Seconda guerra mondiale

 

A seguito della dissoluzione dell´Impero austro-ungarico, alla conclusione della Prima guerra mondiale, nel 1918 nacque la Repubblica Cecoslovacca, comprendente le regioni della Boemia, Moravia, Slesia Ceca, Slovacchia e Rutenia.

La neonata Repubblica Cecoslovacca si trovò tuttavia a gestire varie situazioni problematiche, non definite a priori sulla carta e sulle quali si aprirono varie discussioni in campo internazionale, che perdurarono anche nel 1919.

Le nuove frontiere furono contestate sia nelle provincie a maggioranza tedesca, prevalentemente localizzate ai confini con la Germania e l’Austria,  sia nella zona denominata Slesia, rivendicata dai polacchi. Anche la Slovacchia, nella parte meridionale, dovette fare i conti con una situazione di guerra con l’Ungheria.

Le rivendicazioni nazionalistiche autonomiste continuarono sospinte anche dal clima internazionale che si delineò in Europa nel primo dopoguerra. Ad onor del vero occorrerebbe precisare che le popolazioni di etnia germanica iniziarono ad insediarsi nella zona dei Sudeti, la regione dell’altipiano che si trova nella Boemia settentrionale, fin dal XIV secolo. 

I rapporti tra la popolazione boema e tedesca furono problematici fin dai decenni antecedenti la Prima guerra mondiale, nonostante vari tentativi di trovare una soluzione ragionevole da parte dell’Impero austro-ungarico, piuttosto liberale nel cercare di introdurre nel parlamento viennese i rappresentanti politici eletti nelle zone di etnia differente. Per una piena comprensione della tematica autonomista, dobbiamo tenere presente che nel secolo XIX le spinte nazionalistiche portarono alla nascita anche di nuovi stati (si pensi all’Italia, ad esempio), e di fatto crearono le basi per una guerra mondiale che ebbe anche come effetto la deflagrazione dell’Impero degli Asburgo, che esisteva da quattro secoli.

La Cecoslovacchia, nel 1918, nacque effettivamente sulle ceneri dell’Austria  Ungheria e sulla aspettativa delle nazioni vittoriose di punire le nazioni perdenti, in particolare quelle a lingua germanica. Pertanto, accanto ai debiti di guerra, volutamente si divisero le popolazioni di lingua tedesca in vari stati, al fine di impedire la nascita di un forte stato germanico, e limitare una potenziale minaccia futura per tutte le nazioni europee.

La convivenza tra boemi e tedeschi, già problematica prima della guerra, divenne gradualmente insopportabile, spinta dalla politica nazionalsocialista della vicina Germania, che ebbe inizio negli anni Venti del secolo scorso.

Negli anni Trenta le zone dei Sudeti videro in particolare la vittoria elettorale di due partiti nazionalisti, che nel 1933 confluirono nel Sudetendeutsche Partei, apertamente schierato a partire dal 1937 accanto al Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori,  meglio conosciuto come Partito Nazista, guidato da Adolf Hitler.

Le pretese autonomiste dei tedeschi presenti nei Sudeti crebbero sempre più, con la crescente forza del partito guidato da Hitler. Il leader del Sudetendeutsche Partei, Kondrad Henlein, nel 1938 arrivò a pretendere la assoluta autonomia dei territori dei Sudeti, presentando tale proposta unilaterale al governo cecoslovacco. Tale richiesta fu rigettata, ma rappresentò il pretesto per la successiva annessione alla Germania nell’autunno dello stesso anno.

In effetti, il 12 settembre 1938 Hitler prese pubblicamente posizione in favore delle rivendicazioni di Henlein e ruppe ogni trattativa con il governo cecoslovacco. In Europa si cercò di raggiungere una soluzione politica a questa crisi sforzandosi di evitare un nuovo conflitto bellico. L’allora capo di governo britannico, Chamberlain, propose una conferenza dei capi di governo britannico, francese, tedesco e italiano, riunitasi poi a Monaco di Baviera, nella quale si acconsentì all’annessione della regione dei Sudeti alla Germania. Per l’Italia era presente Benito Mussolini.

L’illusione vana di evitare un conflitto rese la Germania ancora più forte militarmente e territorialmente. Dal  punto di vista strategico, l’annessione di questi territori era cruciale per la politica di Adolf Hitler in un’ottica di espansione territoriale che mirava a conquistare i territori slavi, possibilmente senza iniziare alcun conflitto con altre nazioni europee. La Cecoslovacchia, considerata vicina alla Gran Bretagna e soprattutto alla Francia, si trovava in effetti in una posizione strategica che avrebbe potuto indebolire la Germania. Con il senno del poi, la scelta di abbandono degli alleati rappresentò un grave errore geopolitico.



Tedeschi dei Sudeti salutano l'esercito nazista che entra in Cecoslovacchia

Sempre con il pretesto di proteggere le minoranze etniche tedesche, nel marzo 1939, Hitler completò il piano di smantellamento della Cecoslovacchia, occupando Praga, e creando il Protettorato Boemo e Moravo, direttamente sotto la propria egemonia, mentre nella regione Slovacca fu instaurato un Governo fantoccio filotedesco.

Accanto ai motivi geopolitici e militari, la Germania ebbe anche un interesse economico ad annettere rapidamente questi territori: la raccolta di manodopera a basso costo (i giovani slavi furono costretti ad andare a lavorare nelle fabbriche tedesche) e presa del possesso da parte del Terzo Reich di materie prime e fabbriche con tecnologia all’avanguardia sul territorio cecoslovacco, indispensabili per armare ulteriormente la Germania.
L’atteggiamento dei tedeschi nei confronti delle minoranze boeme non fu clemente: vi furono diversi arresti, molte persone furono costrette ad emigrare, ed in generale si sviluppò un clima di forte intolleranza nella zona dei Sudeti e della Boemia, che continuò durante la Seconda guerra mondiale. Questo duro atteggiamento, si rivoltò contro le etnie tedesche al termine della guerra, facendole ritenere collaborazioniste del regime nazista e creando le premesse per l’esodo imposto negli anni successivi. Si stima che 2,8 milioni di tedeschi, nel biennio 1945 - 1946 furono costretti ad abbandonare i territori della Boemia e della Moravia, rinunciando ad ogni avere. Alcuni fuggirono portando con sé solo ciò che potevano trasportare sulle spalle o in carriole, mentre altri furono deportati con il bagaglio a mano.

Dopo essere stati espulsi dalla Cecoslovacchia, i tedeschi dei Sudeti affrontarono un aspetto meno noto del loro destino. In Germania, invece di solidarietà, incontrarono rifiuto, umiliazione e odio aperto.


Una famiglia di tedeschi dei Sudeti in cammino verso la Germania

Peter Kurzeck aveva già visto troppo all'età di quattro anni. Originario di Tachov, arrivò in Germania a bordo di un carro bestiame sigillato, in cui anziani e bambini morivano durante il tragitto. Quando lo sportello del carro si aprì, la sua espulsione dalla Cecoslovacchia terminò, ma iniziò un periodo di umiliazione. 

"Ci insultavano, dicevano che eravamo feccia sporca. Negavano persino che fossimo tedeschi. Ci chiedevano: perché non siete rimasti da dove venite?", ricorda un rifugiato dei Sudeti in una raccolta intitolata "Patria straniera".
Milioni di altri esuli subirono un destino simile. Nella stessa Germania, dovettero affrontare non solo difficoltà materiali, ma anche l'ostilità della popolazione locale.
I tedeschi dei Sudeti arrivarono in un Paese bombardato e affamato. La Germania Ovest guadagnò un decimo della sua popolazione a seguito delle deportazioni, mentre la guerra distrusse anche un quarto del patrimonio edilizio. I vecchi coloni spesso non sapevano dove avrebbero vissuto o cosa avrebbero mangiato.
L'afflusso di milioni di tedeschi dell'Est fu percepito più con un senso di minaccia che di solidarietà. Nella devastata Brema, apparvero manifesti con la scritta "Non ne possiamo più! Basta con l'immigrazione!"


Tedeschi dei Sudeti arrivano al campo di transito di Wiesau, attraverso il quale transitarono oltre 850.000 rifugiati

La paura era accompagnata da altre emozioni. I tedeschi dei Sudeti e i polacchi erano spesso considerati un gruppo etnico diverso e inferiore, non del tutto parte dei "veri" tedeschi. Venivano spesso descritti utilizzando la familiare terminologia nazista. Venivano usati termini come "stranieri", "un'altra razza" o "elementi antinazionali".
Nell'ottobre del 1945, la popolazione dello Schleswig scrisse una petizione al maresciallo Montgomery, chiedendo che la loro patria fosse "liberata dai rifugiati". "Questi stranieri provenienti dalle regioni orientali rappresentano un rischio per il carattere nordico del nostro paese e un pericolo per la nostra nazione", afferma il documento. In Baviera furono distribuiti volantini che chiedevano l'espulsione di "prussiani e slesiani".
La prima tappa per gli esuli era solitamente un campo di transito al confine, come quello di Furth im Wald, in Baviera. La procedura di "accoglienza" includeva un trattamento disinfestante con alte dosi di DDT. Dopodiché, i deportati proseguivano il loro viaggio. Le autorità alleate cercarono di tenerli lontani dalle città bombardate e di estendere il loro assalto alle zone rurali, ma incontrarono la tenace resistenza dei contadini, che dovettero essere costretti dai soldati armati di mitragliatrici ad accogliere sotto il loro tetto famiglie con bambini.
" Scene particolarmente indegne si verificavano quando i contadini stessi potevano scegliere chi accettare tra i rifugiati in arrivo", scrive Harald Jähner nel libro Il tempo dei lupi. "Sembrava un mercato degli schiavi. Venivano scelti gli uomini più forti, le donne più belle e i deboli venivano messi da parte con insinuazioni beffarde. Alcuni contadini consideravano gli esuli un legittimo sostituto dei lavoratori forzati e reagivano con rabbia alla richiesta che ai 'polacchi' venisse pagato un salario adeguato in futuro."
Per alcuni sfollati, non c'era alloggio disponibile. Finirono nei campi profughi per anni. Nacque il fenomeno dell'"homo barackensis": persone condannate a vivere in baracche. Spesso si trattava di campi occupati solo di recente da coloro che il regime nazista aveva condannato al ruolo di schiavi.
I tedeschi dei Sudeti furono ospitati, ad esempio, nel  campo di concentramento di Dachau, dove nel 1948 si verificò persino una rivolta dei rifugiati locali. Gli ultimi grandi campi per sfollati poterono essere chiusi solo nel 1966.
Durante il loro esodo, i tedeschi espulsi incrociarono e si scontrarono con prigionieri e lavoratori forzati. Si stima che questi "sfollati", come li chiamava l'amministrazione di occupazione alleata, ovvero coloro che venivano condotti contro la loro volontà nel Terzo Reich, alla fine della guerra in Germania fossero tra gli otto e i dieci milioni. La liberazione li trovò spesso in punto di morte e dopo una serie di esperienze inimmaginabilmente crudeli.
Non sorprende che molti di loro cercassero vendetta. Alcuni, costretti a prestare servizio nella confusione dei bombardamenti, sfuggirono ai loro rapitori. Formarono gruppi che a volte razziavano i villaggi e, oltre a saccheggiare il cibo, ricorrevano alla violenza contro i civili.
Gli Alleati cercarono di trattare i prigionieri e i lavoratori forzati con simpatia, concedendo loro, ad esempio, un trattamento preferenziale rispetto ai tedeschi in termini di accesso al cibo. Ma incomprensioni e scaramucce si verificarono ripetutamente. Di conseguenza, molti lavoratori forzati dovettero continuare a vivere in campi circondati da filo spinato e sorvegliati da soldati, questa volta alleati.
Il destino dei prigionieri ebrei sopravvissuti fu particolarmente crudele. A causa del loro completo esaurimento, molti di loro non ebbero altra scelta che rimanere nei campi di sterminio dove li trovarono i liberatori. Ancora nell'estate del 1945, Earl Harrison, incaricato da Truman, scrisse: "Sembra che stiamo trattando gli ebrei esattamente come li trattarono i nazisti, con l'unica differenza che non li stiamo sterminando. Sono ancora nei campi di concentramento e, invece delle unità delle SS, ora è il nostro esercito a sorvegliarli".
Nonostante tutte le difficoltà e la rete ferroviaria devastata, masse di prigionieri tornarono a casa dopo la guerra, solitamente nella direzione opposta a quella dei tedeschi espulsi. Nel maggio del 1945, centomila persone lasciavano la Germania ogni giorno. Ma c'erano anche persone perseguitate che volevano rimanere in Germania o addirittura cercavano di fuggirvi. Solo poco dopo la guerra, in Polonia si verificarono terrificanti pogrom. Alcuni dei rimpatriati dai campi di sterminio cercarono paradossalmente sicurezza in Germania. Più precisamente in Baviera, che era sotto l'amministrazione di occupazione americana e che era quindi considerata più una provincia americana che parte dell'ex Terzo Reich. A Monaco, subito dopo la guerra, fu creato un vivace quartiere con un importante mercato.
Il centro della vita ebraica nella Baviera del dopoguerra, tuttavia, era l'ex campo di lavori forzati di Föhrenwald, vicino a Monaco. Più di cinquemilacinquecento ebrei si trasferirono gradualmente nell'ex campo di lavori forzati.
Inizialmente ai tedeschi fu proibito l'ingresso nella città, dove si parlava yiddish. Vi fiorì una straordinaria vita sociale. Nel campo si pubblicava un giornale, erano attivi il club sportivo Maccabi, un teatro, una biblioteca, una scuola, un ufficio postale e diverse sinagoghe. La polizia del campo manteneva l'ordine e i partiti politici si contendevano l'influenza nel municipio locale.
Sebbene Föhrenwald fosse solo una stazione di transito per la maggior parte dei residenti diretti in Palestina e in altri paesi, nel 1957 vivevano ancora 800 rifugiati ebrei nel campo. Nello stesso anno, le autorità tedesche chiusero con la forza il campo e distribuirono i residenti rimanenti tra varie città tedesche.

Beniamino Colnaghi

Fonti

Sudeti cecoslovacchi: https://simpleczech.com/2021/09/18/la-difficile-questione-dei-sudeti-cecoslovacchi-una-pagina-di-storia-da-non-dimenticare/

Tedeschi dei Sudeti: https://it.wikipedia.org/wiki/Tedeschi_dei_Sudeti

https://www.seznamzpravy.cz/clanek/magazin-historie-kruty-osud-sudetskych-nemcu-cesi-je-vyhnali-v-nemecku-koncili-v-taborech-275301