“Di
cosa siamo fatti, se non delle storie che ci hanno attraversato, anche se non
sono la Grande Storia.”
Verso
la fine del suo nuovo romanzo “Una storia chiusa”, Clara Sereni mette in
bocca a un personaggio questa domanda. “Ho smesso da un pezzo di chiedermi se è
andata proprio così, se le cose che mi raccontano sono vere oppure no.
Probabilmente sono vere quando me le raccontano, sono vere per chi me le sta
raccontando. E come tali le accolgo”.
Mi è
piaciuta questa definizione, l’ho condivisa in pieno, tanto che, tra le pieghe,
ho scovato in essa le motivazioni che mi hanno indotto ad aprire un blog su
fatti ed eventi storici.
Non
tanto e non solo sulla grande storia, che probabilmente si può scrivere con la
S maiuscola, ma quanto sulle storie, siano esse personali o comunitarie, di
gente sconosciuta o famosa, di chi ha comunque partecipato e condiviso un
piccolo pezzo di storia attraverso le proprie azioni quotidiane.
Queste
piccole invenzioni sono concesse agli scrittori quando fanno i conti con la
Storia, quando scrivono i loro romanzi nei quali, al centro, sono narrate le
vite e le azioni delle donne e degli uomini. Clara Sereni ha dato vita a una
piccola folla di uomini e donne che portano addosso, ciascuno a suo modo, i segni
delle vicende pubbliche del secondo ‘900 italiano. Ma sono vicende pubbliche
che si scontrano con il privato, i conti si riaprono, il passato non è mai
sepolto del tutto.
Quindi,
il titolo del romanzo è giusto, è davvero una “storia chiusa”, la Storia?
Sereni
se lo chiede attraverso i suoi personaggi: ne risulta una riflessione serrata
sulla memoria condivisa. Si può davvero condividere la memoria? Non è forse ciò
che di più personale esista? Romanzi come “Una storia chiusa” possono
contribuire, accanto al lavoro storiografico, ad alimentare e ad ampliare il
racconto della nostra storia recente.
Negli
ultimi mesi sono comparsi sugli scaffali delle librerie molti libri di
narrativa, sui nodi del nostro passato, da “Dove finisce Roma” di Paola
Soriga, sulla Resistenza, a “La legge dell’odio” di Alberto Garlini,
sulla violenza di matrice nera degli anni ’70, passando per “Nel tempo di
mezzo” di Marcello Fois, sul 1943. Come possono, queste narrazioni, a
posteriori, entrare in una ipotetica storia romanzesca del ‘900 italiano?
Uno
studioso americano, Hayden White, ci invita a non tralasciare, quando
ragioniamo sulla costruzione della memoria storica, le fonti letterarie e
cinematografiche. Se la storia, egli scrive, non è una disciplina scientifica,
se è dunque una narrazione, perché non accettare che, accanto agli storici,
abbiano un loro posto scrittori e cineasti?
In
effetti sembra almeno difficile immaginare un trattamento della realtà
storica che non usi le tecniche proprie
dell’invenzione nella rappresentazione di eventi.
Se
un evento storico è esteriorità, chi può recuperargli interiorità? La questione
è complessa ed il pavimento su cui ci si misura può essere scivoloso.
Giorgio Bassani
Tuttavia,
il rinnovato stupore che suscita ad esempio “Il romanzo di Ferrara” di
Giorgio Bassani, che Feltrinelli ha appena rimandato in libreria, spinge a
parteggiare per White. Bassani ha scritto un libro di storia in forma di
romanzo. Certo, è una storia in gran parte vissuta, testimoniata, ma tutto è
affidato alla reinvenzione narrativa e lirica. Il modo in cui racconta un
ragazzino che si aggrega alla marcia su Roma, in quel bellissimo racconto che è
“Una notte del ‘43”, è così palpitante e carico di emozioni da evitarci
la domanda se sia o no vero.
Pasolini e Calvino
La I
guerra mondiale, la disfatta di Caporetto, gli anni del fascismo e la
persecuzione antisemita rivivono nelle pagine di Gadda, Moravia e Vittorini, ma
anche in Pennacchi, Baricco e Camilleri. L’Italia degli anni ’60, la
contestazione giovanile e il terrorismo li raccontano Pasolini e Calvino, ma
anche scrittori più giovani quali Lidia Ravera e Silvia Ballestra.
Insomma,
la Storia continua, per citare Elsa Morante.
Beniamino
Colnaghi
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.