martedì 25 ottobre 2016

Museo Etnografico dell'Alta Brianza di Galbiate (Lecco)
 
Cari appassionati della bicicletta,
la mostra "Dal cortile al Giro d'Italia", che tratta della passione per la bicicletta in Brianza, è stata prorogata fino al 30 novembre 2016, anche per dare la possibilità a chi è libero la sera di visitarla, apprezzando documenti, oggetti, fotografie, schede biografiche e i film realizzati per l’occasione con Gabriele Bosisio, Gianni Bugno, Sergio Casartelli, Tino Conti, Totò Commesso, Mauro Gerosa, Barbara Guarischi, Fiorenzo Magni, Silvia Valsecchi.
 
Dal 15 ottobre si possono prenotare visite guidate di gruppo composto da almeno 10 persone, con un biglietto ridotto di un solo euro a persona.
Si è invitati a concordare  l’appuntamento per una serata dal lunedì al venerdì, telefonando a uno di questi numeri  3498651558   oppure 3387552383

Museo Etnografico dell'Alta Brianza, località Camporeso di Galbiate (Lecco), tel. 0341.542266. Per contatti, orari di apertura e info il sito www.parcobarro.it potrà offrire tutte le informazioni necessarie.
 

venerdì 21 ottobre 2016

Il Dalai Lama a Milano - 21 e 22 ottobre 2016
 
 

Non occorre praticare yoga o seguire una dieta Ayurvedica per trarre beneficio dalle idee del Buddismo.

Ecco tre elementi fondamentali del Buddismo, le cosiddette “Nobili Verità”, che sarebbe bene applicare alla vita quotidiana. Potrebbero aiutarci a migliorare la nostra condizione.  

1. Dukkha: La vita è dolorosa ed è causa di sofferenza.

Molte persone sono portate a credere che il Buddismo sia pessimista o negativo. Si tratta di un assunto piuttosto comune, basato sul fatto che una delle Nobili Verità viene tradotta come “La vita è sofferenza”. In realtà, questa semplice frase racchiude molto di più. Non ci sta soltanto dicendo “La vita è dura, e ci devi convivere”: c’è dell’altro.
Di fatto, cercando di evitare o sopprimere quelle emozioni che consideriamo “difficili”, non facciamo altro che portare ulteriore sofferenza nella nostra vita. Le nostre vite sono inevitabilmente costellate da vari sentimenti negativi: perdita, tristezza, fatica, noia e ansietà vanno e vengono continuamente. Attaccarsi o fare affidamento su particolari aspettative, beni materiali e stati d’animo è spesso causa di frustrazione acuta, disappunto e altre forme di sofferenza. Anziché temere di soffrire o cercare una soluzione definitiva al problema (e divenire ancora più frustrati nel tentativo di trovarla), possiamo imparare, in tutta semplicità, a riconoscere la nostra sofferenza.
Come utilizzare questo concetto nella vita di tutti i giorni? Cerchiamo di non fissarci sull’idea di avere qualcosa che non va. Arriviamo a riconoscere che morte, invecchiamento, malattia, sofferenza e perdita fanno parte della vita. Pratichiamo l’accettazione di fronte al dolore. Smettiamo di aggrapparci all’idea consumistica che la vita dovrebbe essere facile e indolore, sia dal punto di vista emotivo che da quello fisico.  
La malattia, la perdita, il disappunto e la frustrazione sono parti della vita che possono essere mitigate praticando il “distacco”. Cerchiamo di abbracciare l’imperfezione, accantonando l’idea che nella vita si deve essere sempre belli, giovani, pieni di energia... 

2. Anitya: La vita è in costante movimento.

Anitya o “impermanenza” significa che la vita, come la conosciamo, è in costante movimento. Ogni momento che passa non può più essere rivissuto o replicato. Ogni giorno che passa, le nostre cellule sono diverse, i nostri pensieri mutano, la temperatura e la qualità dell’aria cambiano… ogni cosa, intorno a noi, è diversa. Sempre. 
Quando ci sentiamo particolarmente giù di morale, il concetto d’impermanenza può essere, paradossalmente, confortante. In altre parole: se nulla è permanente, abbiamo la certezza che il nostro dolore passerà. Certo, quando ci sentiamo gioiosi, l’idea dell’impermanenza può essere spaventosa, ma se accettiamo questa idea nella sua totalità, essa può rivelarsi incredibilmente liberatrice. In Occidente, circa 100 anni prima che Buddha esprimesse questo concetto, il filosofo greco Eraclito aveva già postulato qualcosa di simile con il suo famoso detto “Non si può mai entrare due volte nello stesso fiume”. Tutto ciò che abbiamo è il momento presente.
Come utilizzare questo concetto nella vita di tutti i giorni? Abbracciamo l’idea del cambiamento. Accettiamo il fatto che tutto è in costante divenire. Persino quando l’idea dell’impermanenza può sembrare spaventosa, ci aiuta ad apprezzare appieno tutto ciò che sperimentiamo nel presente: le nostre relazioni, il nostro corpo, il nostro umore, la salute, il tempo, il nostro lavoro, la giovinezza, i nostri stessi pensieri. Dunque facciamo tesoro dei momenti belli, e concentriamoci sul fatto che quelli brutti passeranno.

3. Anatma: Il nostro Io muta continuamente.

Spesso, coloro che si sottopongono a terapie per migliorare la loro vita dichiarano di voler ritrovare se stessi.  La nostra cultura ci ha portati a credere che esista un “Io” concreto e costante, nascosto da qualche parte dentro di noi. Si trova tra il cuore e il fegato? O in qualche sconosciuto recesso del nostro cervello? Chi lo sa!
Il Buddismo, ad ogni modo, asserisce che non esiste alcun “Io” fisso e costante. In linea con il concetto di impermanenza, le nostre cellule, i ricordi, i pensieri, e le storie personali, tutto ciò che in definitiva racchiude le nostre identità, cambiano con il passare del tempo.
Certamente tutti abbiamo una nostra personalità (anche se può mutare nel tempo). Abbiamo un nome, un lavoro e altri titoli che utilizziamo per identificare noi stessi, per sperimentare un senso dell'”Io”.
Ma l’idea dell’Io costante non è altro che l’ennesima storiella che ci è stata raccontata dalla nostra cultura. Si tratta di una storia che possiamo cambiare, così come possiamo accettare l’idea che noi stessi possiamo cambiare, in qualsiasi momento e in qualsiasi situazione. Come dice Thich Nhat Hanh, “Grazie all’impermanenza, tutto è possibile.”
Come utilizzare questo concetto nella vita di tutti i giorni? Anziché concentrarci sul “trovare noi stessi”, dobbiamo focalizzarci sul creare continuamente la personalità che desideriamo avere in ogni momento. Oggi possiamo essere (e sentirci) diversamente rispetto a ieri. Se oggi ci sentiamo depressi, non significa che saremo depressi per sempre. Una volta accantonata l’idea di un “Io” costante, abbiamo la possibilità di approcciarci in modo più sereno e “confortevole” alla presenza di un costante cambiamento in ogni aspetto delle nostre vite. In ogni nuovo momento, noi stessi siamo “nuovi”.

lunedì 3 ottobre 2016


Liberec (Rep. Ceca): tra fascino mitteleuropeo e tracce del popolo ebraico

La regione di Liberec, Liberecký kraj in ceco, si trova nella parte settentrionale della Repubblica Ceca, al confine con la Germania e la Polonia. Ne fanno parte località di notevole bellezza ambientale e paesaggistica, protette dalle montagne e adagiate in lussureggianti vallate e boschi, nonché piccole città d’arte e splendidi castelli, molti dei quali ben conservati e visitabili.
Liberec (Reichenberg fin quando la Boemia fece parte dell’Impero asburgico), il capoluogo di regione, si è sviluppata rapidamente a partire dalla fine del XIX secolo, come testimonia la presenza di palazzi del tardo Ottocento, tra cui spiccano il municipio, il teatro, il museo, il palazzo delle terme, ora galleria d’arte, fatto costruire dal Kaiser, Franz Joseph I. Sulle dolci colline che circondano il centro città si notano decine e decine di bellissime ville, costruite a cavallo tra Ottocento e Novecento, alcune in stile Liberty, la maggior parte in stile pittoresco romantico, tipico delle stazioni termali dell’Europa centrale.

 
Il palazzo delle terme, ora galleria d'arte

Negli anni Trenta del secolo scorso la città, a prevalente etnia tedesca, divenne il centro della Germania dei Sudeti che, è bene ricordarlo, venne assegnata alla neocostituita Cecoslovacchia nel 1919, seppur i tedeschi insediati in quelle terre superassero i tre milioni di persone. Dopo il patto di Monaco del 1938, firmato anche da Mussolini, in virtù del quale, per scongiurare la guerra, si acconsentì all’annessione dei Sudeti al Reich, Liberec divenne la capitale del Sudetengau, all'interno della Germania di Hitler. Terminata la seconda guerra mondiale, la popolazione tedesca della regione fu espulsa in massa, come avvenne nella maggior parte dei Paesi dell’Europa orientale, in accordo ai decreti del presidente della Repubblica Cecoslovacca, Edvard Beneš, che ratificarono l'esproprio dei beni e l'espulsione dei tedeschi dei Sudeti dai territori della Nazione, sostituendoli con cittadini di etnia e lingua ceca.
A Liberec, fino ai primi anni Quaranta del Novecento, si contava una discreta presenza di ebrei. Era una comunità ben organizzata, che, nel tempo, costruì un piccolo insediamento in centro città, una sinagoga ed il cimitero. Da alcuni documenti rinvenuti in un archivio cittadino pare che i primi ebrei si stabilirono a Liberec nel XV secolo. Nel 1582 giunsero altre 60 famiglie da Praga, perché nella capitale si diffuse la peste che contagiò e portò alla morte migliaia di persone.  
In quel tempo Liberec era un centro importante dell’industria tessile ed i prodotti venivano esportati in tutta la Boemia e nelle regioni centrali europee. A capo di quel fiorente commercio c’erano potenti famiglie cattoliche ed alcune famiglie ebree. La cosa paradossale, che già da allora segnò la presenza di discriminazioni e ostracismo nei confronti degli ebrei, era che questi ultimi avevano sì la libertà di commercializzare e vendere stoffe e tessuti ma non potevano avere la residenza in città. Non solo. Gli ebrei avevano l’autorizzazione delle autorità a vendere le loro merci solo nei territori della Boemia e della Moravia, mentre i commercianti cattolici e protestanti potevano estendere i loro affari anche in Germania, Svizzera e Italia. 
Nel 1676 le autorità comunali emanarono nuove disposizioni restrittive nei confronti degli ebrei, al fine di limitarne il movimento e l’ampliamento degli affari: nei giorni di sabato e domenica ai cittadini ebrei era vietato stabilirsi e soggiornare in città e gli hotel e le pensioni di Liberec non potevano dare ospitalità a persone e famiglie appartenenti alle comunità ebraiche. Qualche anno più tardi la città di Liberec emanò nuove leggi con le quali vietava a nuovi cittadini di religione ebraica di richiedere la residenza in città. Insomma, gli ebrei non erano graditi e dalle autorità locali e imperiali venivano percorse tutte le strade possibili per cercare di arginare sia l’incremento del numero degli ebrei nelle regioni della Boemia sia la loro potenza economica.
Ma gli ebrei tendevano spesso a non rispettare tali disposizioni, disattendendo le leggi comunali e imperiali. Questa situazione fece aumentare il livello di conflittualità tra le parti, creando tensioni sempre più palpabili e portando le autorità ad escogitare nuovi divieti e limiti all’espansione delle comunità ebraiche in Boemia. Come nel caso di Christian Christoph Clam-Gallas, nobile e mecenate, membro di una delle più influenti famiglie dell'aristocrazia boema fedele agli imperatori d'Austria, che nel 1799 ordinò agli ebrei di lasciare la città entro 48 ore, ad esclusione di 14 proprietari (senza le rispettive famiglie) di negozi che commercializzavano prodotti tessili.
 
Il rabbino Salomon Pollak (1811 - 1895)
 
Con i moti rivoluzionari scoppiati in Europa tra il gennaio del 1848 e la primavera del 1849, la seconda grande risposta delle forze democratiche, liberali e rivoluzionarie alla politica della Restaurazione, la situazione cambiò anche all’interno dell’immenso Impero austro-ungarico. Le leggi restrittive e discriminatorie nei confronti degli ebrei vennero abrogate, permettendo così a questi ultimi di riappropriarsi delle loro case e delle loro attività commerciali, conducendo dunque una vita come tutte le altre persone.
Il nuovo clima politico e sociale permise agli ebrei di Liberec di ampliare la loro presenza in città e di professare liberamente la propria religione. Nel 1884 la comunità ebraica comprò un lotto di terreno di circa 9.000 m² in una posizione dominante della città, su una leggera altura, con l’intento di costruirvi la nuova sinagoga. L’edificio sacro venne progettato in stile neorinascimentale dal professor Karl König di Vienna e costruito dalla ditta Sacher e Gärtner. La sala principale poteva contenere fino a 340 membri maschi della comunità e l’arca venne posizionata sulla parete opposta all’ingresso. Al piano superiore, oltre al matroneo, venne creata una grande sala riunioni e posizionato l’organo, costruito dai fratelli Rieger di Krnov. Il 24 settembre 1889 venne inaugurata a consacrata alla presenza delle autorità politiche, militari e, ovviamente, religiose.   
La sinagoga di Liberec rimase al centro della vita religiosa della comunità ebraica fino alla notte del 9 novembre 1938, quando venne bruciata e distrutta dai nazisti durante quella terribile notte che passò alla storia come “La notte dei cristalli”, la quale segnò un decisivo passo avanti della campagna antisemita nazista. La violenza e le devastazioni di quella notte portarono alla luce una nuova ferocia contro gli ebrei, che avrebbe condotto alla cosiddetta “soluzione finale”.

La vecchia sinagoga di Liberec su una cartolina del 1910

Terminata la seconda guerra mondiale, sull’area ove sorse l’edificio fu costruito un parcheggio. E tale rimase per 50 anni. Nel 1997 fu posta la prima pietra per la costruzione di un nuovo edificio in stile moderno denominato “Riconciliazione” (riconciliazione tra due popoli: cechi e tedeschi), che ospita la nuova sinagoga e la biblioteca pubblica. La sinagoga, dalla pianta triangolare, che rappresenta simbolicamente la Stella di David, è l’unico edificio del suo genere in Europa. Al suo interno è stato eretto un simbolico Muro del Pianto, costruito con le pietre delle fondamenta della vecchia sinagoga distrutta dai nazisti. Il 9 novembre dell’anno 2000, in occasione del 62° anniversario della distruzione, il nuovo edificio è stato inaugurato. L’attuale spazio della sinagoga, come originariamente previsto dalle autorità locali e dai capi della comunità ebraica, viene utilizzato, oltre che per le cerimonie di culto, anche per eventi culturali, conferenze e celebrazioni delle festività ebraiche.

La nuova sinagoga

Un altro luogo importante per la vecchia comunità ebraica di Liberec fu il cimitero. Fino al 1864 in città non c’era un luogo ove seppellire gli ebrei che morivano, i quali venivano portati nel cimitero di Turnov, una città a circa 30 chilometri da Liberec. A partire dal mese di marzo di quell’anno un ebreo di nome Anton Schöpfer comprò e successivamente donò un lotto di terreno di 500 sul quale costruire il cimitero. Oltre ai campi per le sepolture vennero previste una sala per le onoranze funebri e la casa del custode. Il primo ebreo sepolto fu tal Joachim Goldberger di 77 anni, militare e commerciante. Il rabbino Elbogen consacrò l’area cimiteriale e tenne un sentito discorso di commiato. Verso la fine del secolo la comunità di ebrei si ingrandì e a fronte di ciò di rese necessario ampliarlo. Terminata la prima guerra mondiale all’interno del cimitero si costruì un monumento a ricordo degli ebrei uccisi e dei soldati caduti in guerra e venne dedicata un’area per la sepoltura dei bambini.






Nel 1945, il rabbino e i pochi ebrei rimasti in vita, a causa dei tremendi esiti della Shoah e della seconda guerra mondiale, si trovarono di fronte a scelte non facili. Vennero riesumati i corpi di numerose donne morte nel campo di prigionia di Bílý Kostel nad Nisou, una piccola località nel distretto di Liberec, che vennero sepolti nel cimitero ebraico. Con l’avvento del comunismo in Cecoslovacchia, molti ebrei lasciarono il Paese e si trasferirono nel nuovo Stato di Israele. Il cimitero fu lentamente ma inesorabilmente lasciato andare in rovina e la casetta del custode ed i locali per le onoranze furono adibiti a deposito del caffè.
Nel 1992, con l’avvento della democrazia, il presidente della comunità ebraica locale, Gutman, chiese al nuovo governo della Repubblica Ceca la restituzione ai legittimi proprietari dei beni sequestrati agli ebrei e di ritornare nel pieno possesso del cimitero, successivamente ristrutturato e riconsegnato alla città.