domenica 2 aprile 2023

Come fare la pace dentro una cultura di guerra*

di padre David Maria Turoldo

Dopo la fine di quel diluvio di fuoco e di morte che è stata l’ultima guerra mondiale pensavo, avevo la certezza assoluta, volevo con tutta la mia volontà che fosse l’ultima! Dopo tutti quei morti, dopo tutta quella cenere di morti che copriva tetti e davanzali e le strade d’Europa, che imbiancava i nostri abiti di cenere di morti. Non voglio parlare, non voglio ricordare: a parlare sento di avere cenere di morti in gola. E sotto le scarpe mi sembra di udire il fruscio della loro cenere. 
Quanti sono i conflitti armati e quanti i morti, dopo quell’ultimo inferno di ferro e fuoco? Impossibile ricordarli uno a uno.  In Africa, in Asia, in Europa; ancora guerre e rumori di guerre. E sempre per portare civiltà e pace! Sempre guerre in difesa e mai di offesa! E tutti che hanno ragione! Ha ragione Israele, hanno ragione gli arabi, hanno ragione i russi, hanno ragione gli americani, hanno ragione i cinesi… Signore, abbiamo tutti ragione! E poi sempre senza statistiche. E poi l’uomo che non vuole sapere e tantomeno ricordare! Anzi, non vogliono più ricordare neppure l’ultima, la nostra, la grande, l’eroica, la scientifica guerra mondiale; fatta, ideata, benedetta dall’Europa bianca e cristiana.
Ci sono poi altre condizioni di cui bisogna prendere coscienza: perché è in queste condizioni che dobbiamo operare. C’è l’esplosione demografica del Terzo e del Quarto mondo, e sarà per se stessa una bomba atomica. E poi c’è la questione dei cereali: una bomba ancora più grave di quella atomica. C’è la concentrazione delle ricchezze nelle mani di pochi, mentre la miseria dilaga nel mondo come novello diluvio. C’è l’esaurirsi di molte fonti energetiche, e la contaminazione della terra; e il pericolo di una conflagrazione mondiale, anche a prescindere dalle decisioni politiche, da cattiverie umane: perché, basta un errore a determinare una reazione a catena a noi inimmaginabile. Tutto questo non è un’astratta apocalisse; basti pensare che non siamo neppure in grado di risolvere il problema delle scorie… Non c’è dubbio, per la prima volt da che mondo è mondo non è l’uomo in pericolo, in pericolo è la specie, o l’ordine stesso della creazione, così come oggi noi lo conosciamo.
Dio ha già parlato dalla nube di Chernobyl!... E non solo di Chernobyl. E noi abbiamo persino inventato la bomba al neutrone, che chiamiamo la “bomba pulita” perché uccide solo gli uomini e conserva le cose. Che fatica, Signore, fare un elenco completo. E mancano gli incendi delle città degli Stati Uniti d’America, e gli assassinii in nome della razza, gli uccisi per terrorismo e per mafie d’ogni genere. E poi mancano tutti i condannati ai campi di concentramento che non sappiamo. E poi tutto quello che si sa… Come parlare di pace in un mondo simile? D’altra parte, senza pace non si può vivere. Anzi, proprio per questo è una necessità biologica, il valore più urgente, unico, salvatore.
A questo punto è lecito chiederci cosa sarà questa pace. Per quanto mi riguarda sono disposto ad accettare qualunque definizione di pace, a determinate condizioni però. Perché è in questo tempo e dentro queste condizioni che io devo realizzare la pace.
La prima cosa che viene alla mente di tutti è che la pace sia un’utopia. E dico subito: per fortuna che è un’utopia! Utopia è un valore, un’idea che non ha trovato ancora il suo luogo di realizzazione: è il “non dove”. Basta dunque assegnarle un luogo, fare uno spazio, ed ecco che l’utopia diventa realtà. Utopia è tutto ciò che noi non vogliamo sia realtà. E tuttavia, come ho cantato nelle ballate contro le armi, è l’utopia che porta avanti il mondo.
La pace però è una conquista, è il dovere di ogni uomo e di ogni giorno, perché è il diritto di tutta l’umanità, il diritto della natura, il diritto di tutte le creature. Pace come diritto e dovere, così come diritto e dovere è la vita, l’amore, la libertà, il lavoro, la casa, eccetera. Dopo questo si può accettare ogni definizione di pace.
La pace è un bene in solido, un bene non soltanto mio, ma un bene di tutti: questa è la pace! Se non abbiamo questa mentalità e questa volontà non faremo mai pace. C’è da scegliere tra “homo homini lupus” e “homo homini Deus”. O tu sei lupo per l’uomo e sei l’immagine di Dio. La mia libertà comincia dove la tua libertà finisce; il mio diritto comincia dove il tuo finisce, e insieme viviamo questi doveri.
Senza pace non solo non esiste l’uomo, ma non esiste neppure il cristiano. Cristiano non è uno che è più uomo o meno uomo, cristiano è la rivelazione, secondo il progetto di Dio, di quello che deve essere un uomo. Per questo si può dire che il cristiano o è un uomo di pace o non è neppure un cristiano. Essere “operatori di pace” sta al centro di tutte le beatitudini, come il perno su cui tutte le altre si reggono, si giustificano e si equilibrano; ed è la solo beatitudine a darci il diritto di essere chiamati figli di Dio.
E dunque, o l’uomo è per la pace o non è neppure un uomo; o il cristiano è per la pace, o non è neppure un cristiano; o la Chiesa è per la pace o non è nemmeno Chiesa.
La prima cosa da fare è creare questa coscienza di pace. E prima di tutto, come dicevo, coscienza di pace con la terra, di pace con se stessi, di pace con i fratelli, eccetera. Sei tu, che devi farti, prima di tutti, uomo di pace, l’uomo in armonia con tutto il creato. È da te che comincia la pace. Sono io che devo essere uomo di pace e, quindi, un uomo del più “profondo ordine”, un uomo di giustizia, del rispetto, al servizio dei fratelli. Solo così io sarò un uomo di pace e non farò mai la guerra, ecco la coscienza che comincia a nascere: un uomo di pace nella casa, sul lavoro, nella scuola, nella carriera…
E da individuale questa carriera diventa collettiva, si fa coscienza della moltitudine. Quando sarà coscienza della moltitudine sarà una forza incredibilmente invincibile, davanti alla quale perfino le grandi potenze dovranno tornare indietro. Ma prima bisogna che diventi coscienza di moltitudini! Una coscienza che deve diventare operativa su molti fronti, al di là dell’impegno personale e pur quando è coscienza della moltitudine.
Coscienza che si fa baluardo contro la cosiddetta “manipolazione dei consensi”, frutto della mala informazione. Coscienza che si fa critica nei confronti dell’educazione, della scuola e della stampa. Più di due terzi della stampa mondiale, per la sua stessa struttura economico-finanziaria, è in mano al capitale; e il capitale non parlerà mai male di se stesso. Perciò, bisogna “salvarsi dalla stampa”, salvarsi dalle stanchezze spirituali, dalla falsa “invocazione all’ordine”. Coscienza sempre vigile, e attenta a denunciare i falsi culturali: ad esempio, la politica della sicurezza. Non è la sicurezza che garantisce la pace. È la pace che garantisce la sicurezza. Ecco cosa vuol dire cambiare mentalità: vuol dire rovesciare le cose. “Se non cambierete modo di pensare, perirete tutti”.
Pensate ancora ad un altro falso politico: alla corsa agli armamenti. Una corsa che non avrà mai fine a meno che, precisamente, non si cambi modo di pensare. E ancora, pensate ad un altro falso politico: che l’industria degli armamenti porti ricchezza. Questa industria porterà ricchezza per alcuni e miseria per tutti gli altri, miseria e morte.
Ma è soprattutto un dovere la “disobbedienza militare”, specialmente in virtù di quel documento della Chiesa (esattamente nel 1977, consegnato alle Nazioni Unite) secondo il quale “costruire armi è un crimine”. E dunque, se i criminali sono quelli che decidono di queste armi, nessuno è tenuto a obbedire a un criminale. Perciò, “l’obbedienza non è più una virtù”. Per questo non è più una virtù pagare le tasse per gli armamenti. È necessario che almeno i cristiani ritornino a questa cristallina coscienza delle origini. Se vogliamo essere ancora creduti. Non dobbiamo muoverci per la paura della morte ma per la fede nella vita. Questo, l’ideale: che la pace diventi l’orgoglio di ogni coscienza.         

* Come fare la pace dentro una cultura di guerra, dattiloscritto per una conferenza sulla pace

David Maria Turoldo, La sfida della pace, a cura di Elena Gandolfi, in collaborazione con la Provincia di Lecco, Bellavite Editore snc, Missaglia (Lc)

David Maria Turoldo, al secolo Giuseppe Turoldo (Sedegliano, 22 novembre 1916 – Milano, 6 febbraio 1992)