domenica 15 aprile 2018

Aprile 1918: il Patto di Roma e la nascita degli "Stati della Nuova Europa"

Mentre la Grande Guerra si stava concludendo, l'Italia organizzò nella capitale il "Congresso delle Nazionalità oppresse dall'Impero austro-ungarico". I lavori si svolsero a Roma nei giorni 8, 9 e 10 aprile 1918 e nella sala degli Orazi e Curiazi del Campidoglio venne formulato il "Patto di Roma", con il quale il nostro Paese elaborò un disegno di politica estera di ampio respiro, delineando quale assetto avrebbe potuto avere il continente europeo dopo la fine del conflitto.
Il Patto di Roma è poco conosciuto in Europa, e, purtroppo, lo è ancor di meno nel nostro Paese. Eppure, quel momento storico vide l’Italia abbandonare qualsiasi velleità imperialistica e diventare protagonista in Europa nella ricerca di una elaborazione politica e strategica che superasse i contenuti del Patto di Londra, in base al quale l’Italia entrò in guerra. Gli accordi scritti a Roma furono veramente momenti “alti” della storia italiana, assieme al Risorgimento e alla fondazione, nel secondo dopoguerra, della Comunità Europea, con Francia, Germania occidentale e Benelux. Con il Patto, l’Italia si pose al centro di un grande processo storico e di cambiamento radicale in Europa. Decidendo di mettersi alla testa di tutti quei comitati delle nazionalità soggette all’Impero austro-ungarico, sorti all’estero dopo l’inizio del conflitto e che ne volevano la dissoluzione, il nostro Paese cambiò la sua strategia politica, non più rivolta solo all’annessione di alcune regioni, ma diretta ormai all’abbattimento della Monarchia. Di qui il Congresso di Roma dell’8-10 aprile, che vide uniti assieme agli italiani i cechi, gli slovacchi, i polacchi, gli jugoslavi, i romeni, ma anche esponenti inglesi, francesi, americani, e la successiva Dichiarazione o “Patto”, con il quale si riconosceva l’aspirazione all’indipendenza dei popoli dell’area danubiano-balcanica, quale era stata prefigurata nel corso del Risorgimento da Giuseppe Mazzini.


Ma questa aspirazione all’indipendenza non fu poi così scontata se, fino al 1914 i responsabili delle varie componenti nazionali della Monarchia erano disponibili al suo mantenimento in vita, anche perchè non avevano molte alternative praticabili. Da una parte c’era la Germania, che emergeva potente, dall’altra c’era la Russia zarista. Essi volevano una ristrutturazione dell’Impero in senso federalistico, in modo tale da avere voce in capitolo nel governo. Si era coniata da tempo l’espressione “austroslavismo” per indicare la disponibilità degli slavi a collaborare. Gli stessi socialisti erano d’accordo, vedevano nell’area asburgica la prima possibilità di realizzare l’internazionalismo proletario. Ma le classi dominanti austro-tedesche e magiare non intendevano perdere la loro supremazia, lo Stato non riusciva a trasformarsi da apparato repressivo, di polizia, a Confederazione di popoli. A poco a poco però emerse un’autocoscienza nazionale in tutti i popoli, un processo unitario.
L'Italia, in questo contesto, diventò capofila del riscatto nazionale di queste popolazioni. Certo, vi furono motivi ideali ma anche contingenti e di opportunità. C’era una situazione estremamente difficile al fronte. La disfatta di Caporetto aveva spostato la guerra a ridosso di Venezia. La Russia nel marzo si era ritirata negoziando la pace di Brest Litovsk e quindi tutta la potenza di fuoco dell’esercito austro-ungarico poteva venire concentrata sull’area italiana, uno sfondamento in questo settore sarebbe stato decisivo per le sorti del conflitto. Ma tutto questo ha oscurato la presenza e l’attivissimo lavorio della componente politica dell’interventismo democratico che intendeva portare avanti una strategia alternativa a quella del ministro degli Esteri Sonnino e riprendere la tradizione mazziniana di un’alleanza organica con i movimenti di rinascita nazionale delle popolazioni slave (e anche non slave, pensiamo agli albanesi ed ai romeni) dell’Europa centrale.
Oltre agli uomini di governo italiani ed ai politici di diversi schieramenti, i principali promotori dell’assise romana, appoggiati da numerose associazioni, furono alcuni uomini di cultura italiani, intellettuali, scrittori quali Giani Stuparich, Umberto Zanotti-Bianco, Leonida Bissolati, Francesco Ruffini, Andrea Torre, Giovanni Amendola, Gaetano Salvemini, Giuseppe Prezzolini.
Per comprendere un po’ meglio i motivi che indussero l’Italia a promuovere e organizzare l’assise romana occorrerebbe anche aggiungere che, prima dello scoppio della guerra, il quadro geopolitico europeo cambiò radicalmente nel giro di pochi anni. Nel ’15 l’Italia entrò in guerra per acquisire certe regioni con le quali avrebbe completato il suo processo unitario, ma non per abbattere la Monarchia, perchè si temeva che si creasse un vuoto nell’area danubiano-balcanica. Il corso della guerra dimostrò comunque che non si potevano scindere i destini dell’Austria-Ungheria da quelli della Germania, e quindi non si poteva battere questa e salvare l’altra. La strategia di politica internazionale andava quindi completamente rimodulata, e ciò doveva avvenire, e di fatto avvenne a Roma nell’aprile del 1918, appoggiando i comitati che agivano per la creazione di nuovi stati. Questi comitati portavano avanti una prospettiva di integrazione tra le diverse etnie presenti nelle nuove entità statali. Si parlò di integrazione e convivenza, quindi, non di separazioni e intenti nazionalistici.
Roma, 24.05.1918. Lo slovacco Štefánik, al centro, durante la cerimonia di consegna della bandiera

Ma chi furono i maggiori esponenti delle popolazioni coinvolte ed i rappresentanti degli Stati successori all’Impero che sottoscrissero il Patto di Roma? Due su tutti. Tomáš G. Masaryk, primo presidente e fondatore della nuova Cecoslovacchia, che scrisse La Nuova Europa. Il punto di vista slavo, proprio nel corso del conflitto, che costituisce una delle analisi più lucide delle cause dello scontro in atto e mostra quali alternative positive si potessero aprire dalla dissoluzione della Monarchia asburgica. Lui vide in prospettiva la creazione di nuove aggregazioni di popoli su base democratica e nuove forme di integrazione in Europa centrale, non più legate all’aspetto dinastico, ma espressione di libere scelte. Divenne già negli ultimi anni dell’Ottocento un punto di riferimento culturale e politico non solo per cechi e slovacchi, ma anche per gli slavi del sud e tutta l’intellighenzia dell’Europa centrale, profondo conoscitore della Russia e legato al liberalismo progressista occidentale. E poi Milan Rastislav Štefánik. esponente slovacco, astronomo, aviatore, naturalizzato francese e diventato generale dell’Armée, ma che operò intensamente anche in Italia. Fu lui a organizzare la Legione ceco-slovacca e avrebbe voluto che l’Italia giocasse un ruolo decisivo nello scacchiere danubiano-balcanico anche dopo il conflitto. Morì prematuramente proprio mentre stava ritornando in patria con un aereo Caproni, in vista di Bratislava, il 4 maggio 1919.
Il monumento di T. G. Masaryk al "Castello" di Praga

Dopo la conclusione del primo conflitto mondiale, da parte di alcuni politici e storici italiani si parlò di “vittoria mutilata” dell’Italia. Ma molti non furono d’accordo con questo “luogo comune”, con questa pretestuosa invenzione. Una falsità storica. L’Italia ottenne tutto, sul confine settentrionale, con l’acquisizione del Trentino e del Sud Tirolo, e su quello orientale dell’intera Istria, di Fiume (non compresa nel Patto di Londra) e di Zara. Si tentò di censurare il Congresso di Roma e la pacificazione, ossia l’intesa che in quell’occasione vi fu con gli slavi, perchè si voleva indebolire fin dall’inizio il nascente Stato dei serbi, croati e sloveni, che si chiamerà Jugoslavia dopo il 1929.

Beniamino Colnaghi
Note e bibliografia
L’Europa orientale e la nascita degli stati: http://colnaghistoriaestorie.blogspot.it/2015/02/leuropa-orientale-radici-storia-e.html
Francesco Leoncini, Il Patto di Roma e la legione Ceco-Slovacca. Tra Grande Guerra e Nuova Europa, Kellermann Editore, 2014. 

mercoledì 4 aprile 2018

Verderio Superiore: dopo 61 anni l’alpino Andrea Colombo è ”tornato a casa”

Il 15 febbraio 2003 fu una giornata molto fredda. Il cielo era limpido e terso ma la temperatura segnava punte quasi polari. Era sabato. L’urna, contenente le spoglie mortali dell’artigliere alpino Andrea Colombo, esumate dal cimitero militare italiano di Griscino, Ucraina, aveva portato con sé il freddo gelido e pungente, tipico degli inverni di quell’area geografica.
Andrea era finalmente tornato a casa, tra la sua gente, dopo oltre sessanta anni.
Andrea Colombo
 
L’urna era giunta a Verderio Superiore accompagnata da alcuni famigliari, dai rappresentanti della sezione locale degli alpini e dell’Unirr, l’Unione Nazionale Italiana Reduci di Russia. Ad accoglierla, oltre alle autorità civili, militari e religiose, c’era il fratello Lino, di 92 anni, i nipoti, le associazioni e tanti cittadini verderiesi.
Dopo una breve ma sentita e commovente cerimonia, l’urna è stata deposta nella sala civica comunale, per l’occasione addobbata con paramenti civili e religiosi, con una grande bandiera tricolore che copriva un’intera parete, da una corona d’alloro e dal labaro della sezione degli alpini di Lecco. Durante la stessa giornata moltissimi cittadini verderiesi e rappresentanti degli alpini delle varie sezioni della zona hanno fatto visita alle spoglie di Andrea. 
 
 

 
Il capitano maggiore Andrea Colombo, di Giuseppe, nacque l’8 agosto 1916 alla cascina Alba, oggi tristemente disabitata e in stato di forte degrado. Il giovane Andrea visse in paese fino all’età di 20 anni, fino a quando, nel 1936, fu chiamato a svolgere il servizio di leva. Chi lo conobbe lo ricorda come un ragazzotto robusto, di statura media ma forte come un toro, dal carattere buono e cordiale, sempre pronto e disponibile a dare una mano a chi ne avesse bisogno.
Dal foglio matricolare del Regio Esercito Italiano si rileva che Andrea fu chiamato alle armi il 10 maggio 1938. Una giovinezza sfortunata, la sua. Come quella di numerosi suoi coetanei, tormentata da chiamate alle armi, congedi provvisori e richiami, raggiunta dal turbine di una guerra che, prima di togliere la vita a molti giovani, tolse loro certezza nel futuro. Partì per la guerra di Russia il 26 luglio 1942 con il 2° Reggimento artiglieria alpina.   

Nel 1940 il 2° Reggimento partecipò alla campagna sul fronte occidentale; venne poi inviato in Albania, alle dipendenze della Divisione Alpina Cuneense, e successivamente in Grecia e Jogoslavia. Il 26 luglio 1942 iniziarono le partenze dei convogli ferroviari destinati a trasportare la Divisione Cuneense sul fronte russo; in totale si conteranno 52 convogli per un viaggio della durata di 13 giorni.
Il 2° Reggimento venne impiegato per essere dislocato nel Caucaso ma fu invece rischierato sulle rive del fiume Don. Combatté nelle battaglie cruente di Novo Kalitwa, Rossosch, Annowka, Popowka e Novo Postojalowka. In Patria rientrarono soltanto 3 ufficiali, 10 sottufficiali e 195 tra graduati e alpini. Per il suo eroico sacrificio di vite, al Reggimento fu assegnata la medaglia d'oro al valor militare[1].

Appena arrivato al fronte russo, fu colto da forti dolori addominali. Fu ricoverato all’ospedale da campo italiano 827 di Losowaia e lì morì di peritonite all’età di 26 anni, il 31 agosto 1942. Venne sepolto nel cimitero di Griscino, un piccolo paese appena dentro l’Ucraina.
Il 16 settembre arrivò in municipio un telegramma delle autorità militari che annunciava la morte di Andrea, il quinto soldato di Verderio Superiore morto in guerra.
Due giorni dopo l’arrivo del telegramma, il 18 settembre, anche la madre dell’alpino morì. Gravemente malata e da tempo ricoverata in ospedale non fu messa al corrente della sorte del figlio.

Il ritorno delle spoglie mortali di Andrea a Verderio Superiore ha fatto rivivere ai più anziani ed a chi lo ha conosciuto tanti ricordi di gioventù, fatti e avvenimenti vissuti nei primi trent’anni del Novecento, quando il paese contava poco più di 1.200 abitanti ed era un piccolo borgo di contadini, formato da donne e uomini poveri ma dignitosi, spesso affamati e denutriti ma tesi, caparbiamente, a battersi contro soprusi e ingiustizie, contro la dittatura fascista e la negazione dei diritti e della libertà.
Tutta Verderio si è stretta intorno alle spoglie di Andrea. È stato un paese intero, quindi, che ha voluto custodire intatta la sua memoria per guardare con sicurezza e fiducia al suo futuro, che oggi si basa sulla speranza di una vita civile e sociale costruita sulla scelta consapevole dei valori della democrazia, della convivenza pacifica, della tolleranza, della libertà e della pace.
L’Amministrazione comunale di Verderio ex Superiore, con quella cerimonia, ha inteso lasciare un segno tangibile a ricordo dei numerosi suoi figli morti sui vari fronti di guerra ed a cui va il rispetto ed il ricordo di tutti. Le pagine di eroismo dei nostri concittadini, anche di quelli che hanno partecipato alla Resistenza ed alla lotta al nazifascismo, sono supremi valori ai quali si unisce idealmente l’opera di quanti, oggi, lavorano per l’affermazione nel mondo della democrazia, della pace, della solidarietà, dell’impegno per la convivenza pacifica dei popoli.

Domenica 16 febbraio 2003 si è svolta la cerimonia con la solennità e l’ufficialità dovute.
Le celebrazioni sono iniziate con le note del “Silenzio” a cui hanno fatto seguito i discorsi dell’avvocato Edoardo Vertua, in rappresentanza degli alpini, della signora Zappa, presidente dell’Unirr e del sindaco di Verderio ex Superiore. Si è quindi formato il corteo verso la chiesa parrocchiale, nella quale monsignor Merisi ha officiato la funzione religiosa. L’urna, successivamente accompagnata verso il cimitero locale da un lungo corteo e dalle note della banda degli alpini, è stata accolta con gli onori tra due ali di bandiere e labari abbassati e dalle note del Silenzio fuori ordinanza, scandito dal suono della tromba.  

 
 
Il capitano maggiore artigliere alpino Andrea Colombo, esumato nel cimitero ucraino di Griscino, riposa ora, a perpetua memoria, all’ombra dei cipressi centenari che ornano il cimitero di Verderio ex Superiore. Finalmente riposa in pace nella sua terra, poco lontano dalla cascina ove, giovane e forte, partì per combattere una guerra terribile che non gli diede scampo.

Beniamino Colnaghi

Note e bibliografia
Giulio Oggioni, Verderio, 1940-1945 Ricordi, immagini e testimonianze nel diario di cinque anni di guerra, A. Scotti Editore, Cornate d’Adda, 2008, p.33.