venerdì 11 maggio 2012

I fatti di sangue alla Cascina Preti di Cornate d’Adda


Dalla strada che conduce a Villa Paradiso si stacca un viottolo che sbocca su un tradizionale edificio contadino, ora ben ristrutturato e conservato, che nella prima metà del secolo scorso comprendeva stalle, fienili e case d'abitazione. E’ la “Casina di Pret“. Qui si consumò il più grave fatto di sangue avvenuto nel Comune di Cornate d’Adda durante l'ultimo periodo bellico.


 

Cascina Preti

 
Alcuni anni fa avevo letto di questo fatto su “La Voce di Cornate d’Adda”, periodico d’informazione del Comune; ne avevo conservato copia, ripromettendomi di approfondirlo non appena avessi avuto il tempo necessario.

Così, in una bella e soleggiata giornata primaverile, ho inforcato la bicicletta e mi sono diretto alla Cascina Preti, augurandomi che i residenti fossero benevoli e disponibili a fornirmi utili informazioni.

Nell’orto che precede l’ingresso alla cascina ho incontrato il sig. Enrico Crippa, che, gentilissimo, mi ha aperto il cancello e, accompagnato dalla moglie, mi ha fornito le informazioni che cercavo e mi ha autorizzato a scattare qualche fotografia.




Il sig. Enrico Crippa

Questo è il racconto di quel terribile crimine.

Nella Cascina Preti, come del resto in altre case di Cornate e di altri comuni limitrofi, avevano trovato rifugio ex-prigionieri di guerra; nel caso in specie erano di nazionalità serba, che contraccambiavano l’ospitalità aiutando le famiglie contadine nei lavori dei campi e nella gestione degli animali. I coloni che vivevano in cascina non erano proprietari ma pagavano l’affitto delle abitazioni e dei terreni coltivati ad una facoltosa famiglia del paese.

Era il 21 febbraio 1944, un giorno di pieno inverno. Dopo cena gli abitanti della cascina, come di consuetudine, erano raccolti nelle stalle a riscaldarsi ed a farsi compagnia. In una di queste stalle i contadini ed i rifugiati serbi stavano giocando a carte.

Improvvisamente, l’abbaiare nervoso dei cani allarmò i residenti. Giuliano, che allora aveva dieci anni, venne mandato a dare un'occhiata; uscì dalla stalla e scorse nel cortile un nugolo di uomini armati che, muniti di torce, si spargevano nell’aia. Erano una settantina di soldati tedeschi e fascisti della RSI (Repubblica Sociale Italiana) che, lasciate le camionette sulla strada per Villa Paradiso, si erano inoltrati a piedi verso la cascina.



La stalla ora ristrutturata

La prima cosa che il piccolo Giuliano fece fu quella di scappare verso la stalla di Luigi Porta, nella quale c’era suo padre, ma la corsa attirò una raffica di mitra che lo colpì alla caviglia destra (guarirà, ma gli rimarrà una menomazione permanente). Il bambino riuscì comunque ad arrivare alla stalla poco prima che i presenti decidessero di barricarsi dentro.

Ma tutto fu inutile, la lotta fu impari.

Fascisti e tedeschi sfondarono la porta ed entrarono nella stalla, individuando in Luigi Porta il maggior autore della resistenza. Nel trambusto generale, i prigionieri serbi tentarono di fuggire ma uno di essi fu colpito a morte, mentre altri due rimasero feriti. Tutti gli abitanti della cascina furono radunati sotto il portico principale, compresi i bambini piccoli e le donne anziane. Enrico Crippa, che all’epoca aveva sei anni, era a letto con la mamma; fu fatto scendere dal primo piano e radunato con tutti gli altri. Luigi Porta accennò una protesta, un lamento. Non fece in tempo a terminare le sue parole che alcuni soldati gli si scagliarono contro, massacrandolo a colpi di calcio di fucile alla testa, tanto che, ridotto in fin di vita, morirà nel suo letto dopo due giorni di agonia e sofferenze.

I nazifascisti misero a soqquadro le povere abitazioni delle sei famiglie che qui abitavano, asportando le poche cose in esse contenute, compresi i generi alimentari, trasformando così l‘operazione di polizia in un saccheggio. Il sig. Enrico Crippa mi ha raccontato che portarono via anche un maiale di oltre due quintali, appena macellato, salvo poi spargerne alcuni pezzi lungo la stradina sterrata. Il pretesto fu anche quello che, a dire dei fascisti, i contadini della cascina aiutassero i partigiani locali, dei quali, però, non trovarono nemmeno l'ombra.

Oltre la refurtiva requisita, i nazifascisti ripartirono con alcuni ostaggi che vennero in seguito rilasciati, tranne Battista Crippa, classe 1901, il papà di Enrico. Non si è mai saputo il motivo per il quale il buon Battista non fu liberato insieme agli altri prigionieri. E’ una legittima domanda che ancora oggi si pongono i suoi parenti.

Il contadino di Cornate d’Adda fu imprigionato nel carcere di S. Vittore. Il sig. Enrico mi ha riferito che sua mamma, accompagnata da alcuni parenti, andò a Milano a far visita al marito imprigionato, portandogli un pacco di indumenti e di generi alimentari.

Ma, purtroppo, il destino di Battista Crippa era ormai segnato. Dopo pochi giorni fu deportato al Campo di transito di Fossoli, in provincia di Modena, dove fu inserito nell‘elenco dei prigionieri da trasferire in Germania con il convoglio partito da Firenze nei primi giorni di marzo del 1944. Il treno ebbe destinazione Mauthausen. Qui fu immatricolato e classificato schutzhaftlinge (deportato per motivi di sicurezza).

Fu successivamente trasferito a Ebensee dove morì nel mese di maggio del 1944, due mesi dopo la sua partenza dall‘Italia.

I parenti non ebbero notizie certe sul destino del loro congiunto per molto tempo, tanto che la moglie di Battista diceva a tutti che suo marito era ancora vivo e che, prima o poi, sarebbe ritornato a casa.



A Luigi Porta, massacrato col calcio dei mitra e dei fucili, in ricordo di quei terribili fatti successi alla Cascina Preti, il Comune di Cornate d’Adda ha intitolato una via nel centro storico del paese.

A Battista Crippa e Luigi Porta lo stesso Comune, nel decimo anniversario dell’evento, ha dedicato una targa apposta sul muro di ingresso della cascina.

Fonti: notizie tratte da testi di Adriano Caiani, Mario Parma e dall’intervista a Enrico Crippa.

Beniamino Colnaghi

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