domenica 14 ottobre 2012

Il meleto di Lev Tolstoj 

Chi è stato veramente Tolstoj? Un grande romanziere russo, che in vecchiaia ebbe una strana crisi mistica o un profeta, un "inviato" con uno speciale messaggio per l´umanità in pericolo?

Lev Nicolaevic Tolstoj (1828-1910) nacque da una famiglia di antica nobiltà, nella grande tenuta materna di Jasnaja Poljana, a pochi chilometri dalla cittadina di Tula, a circa 180 Km da Mosca.

Ritratto di Tolstoj

Perse entrambi i genitori quando era ancora bambino. Fu allevato dalla nonna e dalle zie insieme ai fratelli, dapprima a Mosca, poi a Kazan sul Volga. A Kazan frequentò per due anni l´università, senza concludere gli studi. A diciannove anni, ormai padrone di sé, tornò ad abitare nella tenuta di famiglia. Seguì un periodo di ricerca, di sperimentazione e di sbandamento finché, a 23 anni, raggiunse il fratello Nicola, ufficiale nel Caucaso, arruolandosi nell´artiglieria. Intanto, quasi per caso, cominciò a scrivere. Il primo breve romanzo, Infanzia, venne accolto dalla critica con molto favore.

I successivi Racconti di Sebastopoli, lo resero famoso in tutta la Russia.

Lasciata la vita militare, frequentò gli ambienti letterari della capitale. Decise però di stabilirsi definitivamente a Jasnaja Poljana, dove si occupò delle terre e della fondazione di una scuola per i figli dei contadini. Compì due viaggi in Europa durante i quali visitò anche l´Italia.

Tolstoj ha ormai 34 anni e si definisce un "vecchietto". Pensa al matrimonio per mettere ordine nella sua vita. Innamoratosi della diciassettenne Sofia Bers, figlia di un medico di corte, nel 1862 la sposa e la conduce nella sua tenuta.

Conosce un periodo di grande felicità. Chiude la scuola, si dedica alla moglie e ai figli che cominciano a nascere (ne avrà tredici, di cui solo nove giungeranno all’età adulta), amministra il suo patrimonio e soprattutto scrive. I due grandi romanzi Guerra e Pace e Anna Karenina gli danno fama internazionale. Ma ecco che alle soglie dei cinquant´anni - ricco, famoso, amato - si accorge che la vita non ha senso, lo aspettano solo malattia, vecchiaia e morte. Viene preso dalla disperazione e pensa al suicidio. È la crisi del Buddha.


Tolstoj all'età di 73 anni

Descritta ampiamente da Tolstoj stesso nella "Confessione", in breve la spiega così: "Compresi allora che dopo questa vita priva di senso, non mi aspettava nulla, mi attendevano soltanto sofferenza, malattia, vecchiaia e distruzione finale. Allora mi chiesi: a che scopo tutto ciò? Non trovai risposta e caddi nella disperazione. La mia disperazione era così grande che pensai di suicidarmi. Ma ecco giunge a me la salvezza. La salvezza spuntò da ciò: che fin da bambino avevo una vaga idea che nel Vangelo si trovasse la risposta alla mia domanda. Feci l´ultimo tentativo, gettai via tutti i commentari, mi misi a leggere il Vangelo e ad approfondirne il senso. Non mi trovai solo nella conoscenza della verità scoperta nel Vangelo, mi trovai invece insieme a tutti i migliori uomini del presente e del passato. Mi confermai dunque in questa verità e mi calmai. Ho vissuto dopo di ciò gioiosamente vent´anni della mia vita e gioiosamente mi avvicino alla morte".

Da allora e fino alla morte, avvenuta ad 82 anni, Tolstoi cambiò il suo modo di vivere, tra innumerevoli contrasti in famiglia, si vestì come i contadini, fece lavori manuali, coltivò la terra. E infaticabilmente cercò di trasmettere alla gente le verità che lo avevano illuminato.


La semplice tomba di Tolstoj

È un´immensa produzione non sistematica e di vari argomenti: la non resistenza al male, la disubbidienza civile, l´antimilitarismo e l´obiezione al servizio militare, la pedagogia antiautoritaria, la critica radicale ad ogni sistema di potere statale o ecclesiastico, la critica dell´industrialismo e della scienza moderna, la condanna del lusso, dello sfruttamento delle masse operaie e contadine, l´esaltazione della civiltà agricola, il vegetarismo, l´interesse per l´Oriente.

In sintesi l´etica della fratellanza universale e della pace.

Se si potesse sintetizzare in una frase il cuore del suo messaggio potremmo scegliere questa: "Il prossimo compito della vita consiste nel sostituire la vita fondata sulla lotta e la violenza con una vita fondata sull´amore ed il ragionamento" (Diari, 29.11.1901)

Sulla non resistenza al male e sull´amore Tolstoj scriverà centinaia di pagine, che ispireranno Gandhi nella sua azione politica. Gandhi leggerà uno dei testi fondamentali di Tolstoj “Il Regno di Dio è dentro di voi” in Sudafrica nel 1894. Scriverà più tardi: "Quarant´anni fa, mentre attraversavo una grave crisi di scetticismo e dubbio, incappai nel libro di Tolstoj e ne fui profondamente colpito. A quel tempo credevo nella violenza. La lettura del libro mi guarì dallo scetticismo e fece di me un fermo credente nell´ahimsa. Tolstoj fu l´uomo più veritiero della sua epoca. Fu il più grande apostolo della nonviolenza che l´epoca attuale abbia dato. Nessuno in occidente, prima o dopo di lui, ha parlato e scritto della nonviolenza così ampiamente e insistentemente, e con tanta penetrazione e intuito. La vita di Tolstoj, con il suo amore grande come l´oceano, dovrebbe servire da faro e da inesauribile fonte di ispirazione, per inculcare in noi questo vero e più alto tipo di ahimsa". Questa data, 1894, e questo incontro fra Tolstoj e Gandhi segnano l´inizio di tutta la nonviolenza moderna. L´Occidente si incontrò con l´Oriente, la non resistenza evangelica con la ahimsa induista.

L´edizione russa delle Opere complete, detta del "Giubileo", in 90 volumi più uno con l´indice dei nomi, fu edita a Mosca dal 1929 al 1958. Voluta da Lenin, che ordinò di raccogliere "tutto" e curata da Certkòv, il più fedele discepolo di Tolstoj, fu iniziata nel centenario della nascita dello scrittore, da qui la denominazione.


La casa di Tolstoj, ora museo

Veniamo ora al meleto. Cosa centrano le piante di mele con Tolstoj? Centrano. Vediamo perché.

La nascita del frutteto si colloca nell’Ottocento. Fu la madre di Lev Nikolaevic Tolstoj a sostenere il suo primo sviluppo, con l’importazione di alberelli di origine “sudtirolese”. Fu poi lo scrittore stesso, a cavallo tra Ottocento e Novecento, ad ampliare il progetto iniziale della madre, in relazione all’affermarsi di un movimento ecologista ante litteram, secondo un'idea di cui si trova traccia nel suo romanzo “Resurrezione” del 1899 e, con l’intenzione di realizzare un enorme meleto, perché costituito da alberi belli e capace di produrre frutti salutari, si rivolse ancora al Tirolo del Sud per reperire le piante necessarie a realizzare quello che fu poi il modello di tutti i frutteti dell’impero russo. Un modello riproposto nelle ville dell’aristocrazia russa in un’area che andava dal Baltico alle sponde del Pacifico.
Nel 1903 il frutteto storico raggiunse la sua configurazione: piantato su una superficie di 40 ettari, arrivò a ospitare 8.500 alberi, di cui 7.900 di melo. Purtroppo però, con lo scorrere del tempo, il giardino di Jasnaja Poljana venne devastato dalle gelate: in particolare da due ondate di freddo siberiano che causarono la morte di molte piante. La prima, nel 1939-1940, rovinò l'80% del frutteto che, riportato all’antico splendore grazie agli innesti presi dagli alberi rimasti in vita, fu colpito poi da una seconda grande gelata nell’inverno 2005-2006 senza che, questa volta, fosse possibile utilizzare lo stesso rimedio. Infatti, le piante erano troppo vecchie, o comunque troppo provate. È stato proprio in ragione di ciò che le speranze dei russi, espresse attraverso il pronipote dello scrittore, Vladimir Ilic Tolstoj, si sono rivolte alla terra d’origine del meleto, cioè all'attuale Trentino-Alto Adige e in particolare alla Val di Non.
Si arriva così al progetto russo-italiano di restauro del meleto che, oltre a essere stato occasione per ristabilire quell’antico legame, ha riportato dopo quasi due secoli gli alberelli delle varietà storiche nella tenuta di Jasnaja Poljana.


Piante di melo centenarie a Jasnaja Poljana

Così come a fine Ottocento, quando furono usate piante di melo della Val di Non per costituire il frutteto, è toccato ancora ai vecchi meli della Valle il compito di correre in soccorso del celebre "Meleto di Tolstoj", nella tenuta di famiglia del grande scrittore russo. Una trentina di varietà diverse di melo, tutte antiche ma ancora presenti in Valle di Non, sono state infatti trasportate in Russia per garantire continuità e salute al famoso meleto-giardino che, dichiarato ancora nel 1928 «bene culturale e patrimonio storico dell'umanità», è aperto al pubblico assieme alla casa-museo dello scrittore, che attira ogni anno 300mila visitatori. Ancora oggi il frutteto fa parte della tenuta che, pur nazionalizzata nel 1921 e quindi diventata di proprietà dello Stato russo, nel susseguirsi dei regimi è rimasta almeno nella responsabilità gestionale della famiglia dell’autore di “Guerra e pace” e di “Anna Karenina”.

Beniamino Colnaghi

mercoledì 3 ottobre 2012

Il secolo di Eric Hobsbawm

di Angelo d’Orsi (tratto da "Il Fatto quotidiano" del 02.10.2012)

Storico di mestiere (e con quale mestiere!), ma militante per passione, Eric J. Hobsbawm, morto il 1 ottobre 2012 a 95 anni, che aveva festeggiato il 9 giugno scorso, era nato nel cruciale 1917, ad Alessandria d’Egitto. Di famiglia ebrea, per un errore di trascrizione il suo cognome originario Obstbaum, divenne Hobsbawm. Vissuto tra Vienna, Berlino, Londra, Cambridge, fu un autentico cosmopolita, in grado di frequentare sette lingue, tra cui l’italiano. Il cosmopolitismo, connesso all’ebraismo di nascita (sempre laico e poi critico di Israele), corroborato dal marxismo scelto nella prima gioventù e mai abbandonato, si rifletté nella vastità degli interessi culturali, e nella capacità di praticare la world history, che portò a un livello alto, quanto di grande godibilità narrativa in opere di sintesi eccelsa, fino al fortunatissimo The age of extremies, uscito in italiano con il titolo ancora più efficace Il secolo breve: un’opera mastodontica per la mole, per la densità anche concettuale, e per la capacità di tenere sotto controllo l’intera dinamica mondiale, non solo sul piano della politica – interna ai singoli Stati e quella internazionale – ma su quello dell’economia, della società, delle forme culturali.




Ebbe una lunga esperienza accademica: la sua sede fu essenzialmente il londinese Birbeck College, ma ebbe le sue difficoltà, bollato come marxista e comunista, negli anni Cinquanta (e oltre), quando anche nel Regno Unito giunse il maccartismo, sia pure in quella che Hobsbawm chiamò forma “debole”: per esempio gli furono chiuse le porte di Cambridge. Del resto la politica, sia pure sullo sfondo, fu sempre presente nella biografia di Hobsbawm.

Fu un iscritto, fino al 1989, del Partito comunista britannico dopo essere stato in gioventù adepto del partito omologo germanico, ma al di là della militanza, seguì sempre con forte attenzione le vicende interne al Paese che era diventato il suo d’adozione, l’Inghilterra, e con attenzione maggiore quelle internazionali, non smentendo la sua capacità di guardare oltre il giardino. Fu tra le colonne del giornale Marxism Today e quando chiuse divenne una delle firme più prestigiose del Guardian, sempre con uno sguardo critico, non allineato, sempre originale, talora irriverente, come quando definì Tony Blair “una Thatcher in pantaloni”, suscitando allora un certo scalpore, che la storia successiva si sarebbe incaricata di mostrare invece quanto fosse vicino al vero in quella etichetta.

Furono frequenti le sue intrusioni negli scenari politico-intellettuali di altre nazioni, a cominciare dall’Italia, a cui fu legatissimo non solo per collaborazioni editoriali e scientifiche (fu tra i promotori della Storia d’Italia Einaudi, nonché nel comitato della grande Storia del marxismo, dello stesso editore), ma anche per interessi di ricerca, che non furono mai asettici, bensì sempre so-stanziati di passione politica, sempre dalla parte dei deboli, degli schiacciati, dei subalterni. Un’autentica storia dal basso. Significativa la sua attenzione in chiave storica al banditismo e al brigantaggio post unitario, alla ricerca dei contenuti politici e della base sociale propria di quelle forme primitiva di protesta, come egli le interpretò. Fu tra i primi a studiare un personaggio come Davide Lazzaretti, riconoscendo nella sua lotta religiosa autentiche potenzialità rivoluzionarie.

Ma l'Italia per Hobsbawm fu innanzitutto, e sino alla fine, Antonio Gramsci, che fu per Hobsbawm molto più di un autore da studiare: Gramsci fu davvero per lui un Virgilio, una guida spirituale, oltre che storiografica e genericamente intellettuale, grazie al quale poté accostarsi alla vicenda politica e culturale del nostro paese, suscitando domande nuove, scovando filoni inesplorati, avanzando tesi interpretative per nulla scontate.

Non a caso egli intitolò Past and Present la rivista da lui fondata nel ’52: testata che riprendeva, traducendolo, il titolo del sesto dei volumi in cui furono raccolti i Quaderni gramsciani. Presidente onorario della International Gramsci Society, fu anche membro autorevole della Commissione per l’Edizione nazionale degli scritti di Gramsci, alla quale non fece mancare, nelle complesse fasi dell’esordio, consiglio e sostegno. A Gramsci, anzi a “Nino”, egli indirizzò una struggente lettera, registrata in video dal compianto Giorgio Baratta (studioso gramsciano tra i più originali), in occasione del 70° della morte del grande pensatore e rivoluzionario sardo, al quale, come Hobsbawm stesso confessava nel videomessaggio, lo univa, idealmente, ancor prima che un sodalizio intellettuale, la condivisione di un progetto, di una speranza, di una volontà: l’emancipazione degli sfruttati. A Gramsci – scrisse in uno dei suoi ultimi saggi – occorre esser grati “per averci insegnato che lo sforzo per trasformare il mondo non solo è compatibile con una riflessione storiografica originale... ma è impossibile senza di essa”.