lunedì 21 dicembre 2020

venerdì 18 dicembre 2020

La musica popolare in Brianza: dal canto alle bandelle, dai firlinfö alle bande musicali 


Roberto Leydi fu un etnomusicologo e accademico di fama nazionale che lavorò in maniera costante e diffusa sul territorio brianzolo, per studiarne il canto e la musica tradizionali. Questo lavoro, a dire il vero, fu estratto da un quadro d’insieme sulla situazione del canto popolare in Lombardia, contenuto in un disco che illustrava i principali generi dell’espressività orale e musicale popolare, del tipo le favole e i racconti, i giochi infantili e le ninne nanne, le orazioni religiose cantate, i canti e le ballate, le canzoni dei cantastorie, delle osterie e delle filande e via dicendo. Per quanto riguarda i canti che le donne cantavano nelle filande in Brianza, il Leydi li considera e li inserisce come documento di storia sociale, in quanto sono parte di un territorio segnato dall’integrazione tra economia agricola e industria manifatturiera almeno dall’800. I canti vengono contestualizzati ed integrati con altri tipi di fonti per analizzare condizioni di vita, relazioni familiari e di lavoro, aspetti della mentalità dei vari soggetti sociali che si muovono nella provincia lombarda. La presenza delle filande in Brianza è stata fondamentale per favorire la pratica del canto femminile. Da diverse testimonianze orali, raccolte da studiosi e scrittori nel secolo scorso, alcune operaie delle filande raccontavano che si cantava continuamente, magari intercalando qualche preghiera, per far trascorrere le interminabili giornate di un lavoro spesso duro e noioso. Bisogna anche dire che alcuni padroni favorivano il canto nelle filande e negli stabilimenti della lavorazione della seta, perché, se cantavano, le donne non potevano parlare con le altre lavoratrici vicine, distraendosi quindi dal lavoro e generando possibili interruzioni nella produzione. C’erano dei cartelli che recitavano: “È lecito cantare / è proibito parlare”. Molte canzoni che cantavano le filandiere arrivavano sia da membri della famiglia e da realtà del piccolo borgo di residenza sia dalla produzione dei cantastorie, suonatori e cantori professionisti che, durante le loro esibizioni nei mercati, nelle fiere e sulle piazze dei paesi, distribuivano i fogli con le parole dei pezzi presentati. 
Un altro luogo straordinario di diffusione della cultura popolare era l’osteria, luogo di ritrovo, di pettegolezzi, di allegria e di invettiva, di produzione del canto popolare tradizionale. L’osteria, negli ultimi decenni, anche se nel frattempo stava scomparendo, è stata analizzata e rivalutata da storici, antropologi e folkloristi perché, insieme alla piazza, è stata il luogo dove è stato possibile dare voce al popolo, dargli spazio e libertà per le sue esibizioni spontanee. A partire dal secondo dopoguerra, l’osteria ha rappresentato un estremo momento di resistenza della cultura popolare verso le radicali trasformazioni della società contadina e operaia, nella quale si cantava molto di più rispetto ad oggi, perché il canto svolgeva una funzione sociale dovuta ai vari cicli della vita. 
È nei vari contesti sommariamente sopraccennati che trovano posto in Brianza fenomeni socio-musicali legati ad eventi e momenti della tradizione, come, ad esempio, i coscritti di leva, i musici mendicanti, oppure le cosiddette bandelle ed i  suonatori di firlinfö. Questi fenomeni non erano tuttavia ben visti da tutti, soprattutto dai maestri delle bande musicali, perché distraevano i musicanti dagli impegni delle bande, dal clero locale e dalle autorità politiche, che vedevano in queste allegre compagnie possibili focolai di ribellione e protesta. 

La Brianzola di Olgiate Molgora in una foto recente

Le bandelle erano formate da non più di sette o otto elementi, provenienti dalle più grandi bande musicali, che soddisfacevano le esigenze di svago e di divertimento delle classi popolari brianzole. Facevano ballare la gente nelle osterie e nelle piazze dei piccoli borghi, accompagnavano coloro che si recavano in pellegrinaggio ai santuari o facevano gite e escursioni, suonavano durante le numerose festività religiose, facevano serenate alle ragazze e suonavano ai matrimoni ed alle feste civili. Era pura passione e divertimento, c’era voglia di allegria per combattere la vita dura di quegli anni. In ogni paese della Brianza c’erano i musicisti, tutti di livello dilettantistico, che avevano imparato a suonare uno strumento dal padre, da un amico, da un vicino di casa. Con ogni probabilità le orchestrazioni e gli arrangiamenti erano frutto di improvvisazione, di tecnica e creatività estemporanee ed il direttore musicale, di solito, era il suonatore più anziano, quello che era ritenuto il più bravo. 

Per quanto attiene invece il flauto di Pan, che in Lombardia veniva indicato con termini come firlinfü, fregamüsòn, orghenìi, sìful, si ricorda che  era già presente in Brianza tra il XVIII e il XIX secolo, come strumento di cascina e di osteria, collocato in piccole bande. Il firlinfö si afferma nella sua dimensione orchestrale a partire dalla fine dell’Ottocento, per poi svilupparsi e diffondersi dagli anni Venti e Trenta del Novecento. I pochissimi gruppi folcloristici oggi esistenti sono presenti principalmente nelle province di Bergamo, Como e Lecco. Il flauto di Pan è uno strumento musicale molto antico. Ci sono prove della sua esistenza intorno al 2500 a.C. nel Mar Egeo e nelle Cicladi. È composto da cinque o più tubi di lunghezza progressivamente crescente e legate tra loro come una zattera. I tubi di Pan sono strumenti realizzati a mano con cura ed esperienza, sono solitamente costruiti in canne comuni o di bambù, disposte in linea o riunite in fascio, con un unico foro su cui vengono appoggiate le labbra per l’insufflazione. Lo si può considerare come l'antenato dell'armonica a bocca e dell'organo a canne. Sulla presenza del flauto di Pan in area lombarda, segnatamente in un’area compresa tra la Brianza comasca, lecchese e milanese e la provincia bergamasca, si hanno poche documentazioni sia iconografiche sia scritte. Alcune persone residenti in Lombardia hanno lasciato testimonianze circa l’uso del flauto di Pan da parte di alcuni ragazzi, che formavano vere e proprie bande musicali, durante varie occasioni di vita comunitaria e feste locali, quali, per esempio, matrimoni, cerimonie pubbliche, coscritti o solo musiche da suonare sotto le finestre delle future spose. Che il flauto di Pan potesse essere già presente in Lombardia dalla seconda metà del XVIII secolo è confermato da una serie di documenti iconografici, quali dipinti di pittori lombardi e stampe di sapore romantico conservate presso alcuni musei o raccolte private. In quegli anni lo strumento ebbe un fine quasi esclusivamente pastorale o contadino che serviva ad allietare le povere serate della gente di campagna e i giorni di festa nelle cascine e nelle osterie dei paesi. Verso la metà dell’Ottocento, durante la dominazione austriaca, i primi costruttori di firlinfö cominciarono a fornirli ai nascenti gruppi di appassionati che formarono così le prime bande musicali. In Brianza e in area bergamasca nacquero così intere famiglie appassionate allo strumento. La formazione dei gruppi musicali di firlinfö anticipò di poco l’esordio delle prime bande di ottoni. Da questi primi nuclei contadini e popolari, nati come detto dalla necessità di aggregazione e divertimento, si sono diramate poi le varie correnti musicali in ossequio allo spirito ed alle “mode” del tempo. 
Nei primi decenni del Novecento il fenomeno assunse caratteri più associativi e di massa che generarono tracce di spettacoli in grande stile. All’interno di queste esibizioni musicali fecero il loro ingresso altri strumenti, quali la fisarmonica, il tamburello e la chitarra, oppure si vide la presenza di balletti femminili e l’uso di costumi tradizionali che ricordano gli abiti e le figure di Renzo e Lucia. Nell’intera Brianza sorsero e si svilupparono decine e decine di bande di canne, confermando che il flauto di Pan era talmente radicato nella tradizione brianzola da essere considerato una delle più autentiche espressioni di cultura popolare. 
Accanto ai gruppi organizzati e censiti, ve ne furono moltissimi altri non ufficiali e nati spontaneamente, che l’avvento delle due guerre mondiali del Novecento e la nascente “modernizzazione” dei costumi e dei gusti degli italiani, decimarono. 

Suonatori del flauto di Pan

Le bande musicali, o corpi bandistici, sono state realtà fortemente radicate nel territorio e nella considerazione della gente, proprio perché rappresentazione e fulcro del momento festivo celebrato dalla comunità. La banda si esibiva in occasione di sagre, feste patronali e celebrazioni di carattere civile, accompagnava le processioni nelle solennità religiose e i cortei funebri. Non più quindi rappresentazioni minori e “dilettantistiche” di cultura paesana ma anche mezzi per la diffusione della musica colta e di dignitoso rilievo artistico ed estetico. Come afferma lo stesso Roberto Leydi, le bande sono state quasi ovunque “il veicolo attraverso il quale la musica moderna ha potuto raggiungere vastissimi strati della popolazione. In questo la banda ha operato, dapprima accanto agli strumenti meccanici, ai cantastorie e ai suonatori da ballo, poi, a partire dal periodo fra le due guerre mondiali, al disco e soprattutto alla radio…”. Le bande musicali hanno rappresentato per la popolazione una delle rare occasioni di ascoltare musica di un certo livello, che non fosse quella liturgica. Le prime formazioni nacquero nei primissimi anni dell’Ottocento, ma sarà nel corso della seconda metà del secolo che avrebbe visto la luce la maggior parte delle formazioni musicali. Un buon numero di queste compagini furono l’espressione dei circoli operai, altre, in particolare quelle fondate all’inizio del secolo scorso, delle parrocchie e del mondo cattolico. Le bande musicali hanno rappresentato per la popolazione una delle rare occasioni di ascoltare musica di un certo livello, che non fosse quella liturgica. 
In Lombardia, e particolarmente nelle province pedemontane, le origini dei corpi bandistici vanno ricercate lungo le sponde dei fiumi e nelle valli delle Prealpi.
Anche qui in Brianza c’è stata una forte diffusione delle bande musicali, le quali  hanno allietato la vita delle comunità, prima contadine e poi operaie e artigiane, almeno fino alla fine del secolo scorso. 
Vorrei elencarne solo alcune di esse, di cui ho avuto conoscenza diretta durante gli anni della mia giovinezza oppure delle quali sono riuscito a reperire documentazione attendibile.

Partiamo da Merate (Lecco)

La storia della Banda Sociale Meratese è una storia popolare. Oggi non c'è più nessuno che possa raccontare le origini della banda o rammentare episodi di quell'epoca; dovremo quindi accontentarci delle notizie che ci sono state tramandate per iscritto e ipotizzare l'evoluzione di questo complesso basandoci su riferimenti della vita di Merate. Si sa che la Banda nasce ufficialmente nel 1848 per l'interessamento del conte Rescalli, ma già nei quattro anni precedenti un gruppo di musicanti svolgeva una certa attività in paese. È difficile pensare che allora potesse esistere una scuola di musica per strumenti a fiato come oggi la intendiamo; quel che si può supporre è una sorta di ritrovo periodico tra appassionati autodidatti che, tra una chiacchierata ed un bicchiere di vino, cercassero una certa forma del suonare insieme. Cosa avvenne in quegli anni non lo si sa. Si conosce la situazione storica, il subbuglio generale, le rivoluzioni, ma non è automatico che tutto ciò possa aver inciso sulla vita quotidiana dei Meratesi. Probabilmente la banda, nelle sue prime uscite, si occupava di servizi religiosi e civili, legati alle circostanze del tempo. La metà dell'800 ha rappresentato il momento più alto dello sviluppo dell'opera italiana, che affondava le sue radici nella forma popolare; essa era, per una serie di motivi, estremamente vicina all'idea bandistica che stava via via formandosi. Possiamo allora immaginare che l'interesse dei musicanti si muovesse in tale direzione, che diverrà poi una delle più importanti nella storia del movimento bandistico; in principio si suonavano quasi certamente motivi conosciuti, romanze imparate ad orecchio per passare poi a spartiti appositamente scritti a mano. 
Fino alla fine del secolo poi tutto è assai difficile da ricostruire. Il primo documento fotografico è del 1902 per la presenza della banda all'inaugurazione della nuova chiesa di Verderio Superiore. Una foto ufficiale risale al 1922, con la presenza del Presidente Tettamanti e bisogna giungere all'anniversario del 1948 per avere un'altra fotografia. Sappiamo che fra le due guerre la Banda ha trascorso vicende alterne dividendosi in due gruppi detti "bandin" e "bandun", come è peraltro accertata l'esistenza di una fanfara di ottoni addetta ai servizi imposti dal regime fascista. Ciò che segue la guerra è storia recente, più conosciuta, grazie alle testimonianze dirette. La svolta avviene nella seconda metà degli anni '80. Fino a quel momento continuò ad essere un gruppo amatoriale. Non c'erano persone diplomate. Le nozioni e la pratica venivano tramandate. Chi aveva più esperienza contribuiva a formare le nuove leve. Spesso era un'unica figura ad insegnare più strumenti. 


Nel 1988 Pierantonio Merlini divenne il primo direttore diplomato. È sotto la sua direzione che cominciò una fase nuova. Il repertorio da quel momento ebbe un taglio più moderno. Il prof. Merlini attinse a composizioni di musica contemporanea originale per banda. In quella fase, allo studio più metodico si affiancavano anche momenti aggregativi al di fuori della sede. Erano i tempi delle gite sociali e dei gemellaggi artistico-culturali con bande straniere. È un'occasione per socializzare, ma anche per raccogliere dei fondi per sostenere le proprie attività musicali. La gestione dell'osteria è ormai rodata. I pranzi e le cene presso la sede di via Manzoni sono da tutto esaurito.
Uno dei vanti della banda meratese è la Scuola Allievi. Gli insegnanti sono diversi sulla base dello strumento scelto. Sono tutti diplomati e impartiscono le lezioni singolarmente. L'attuale presidente Andrea Arlati ricorda: «Un tempo per chi voleva suonare c'era solo la banda. Ora ci sono anche le scuole di musica, ma sono due cose diverse. Lì c'è solo lo studio. Da noi entri a far parte di un gruppo». Da qualche anno per i bambini c'è anche la miniband, che prevede anche un piccolo esame. Per attrarre nuovi allievi organizzano un open day di presentazione all'anno. Si recano anche alle scuole medie per farsi conoscere. Alcuni poi si avvicinano alla banda su consiglio di amici o parenti che ne fanno già parte. 
La Banda Sociale di Merate esegue quattro concerti all'anno, uno a stagione. In estate e in autunno si svolgono all'aperto, così come le manifestazioni classiche civili e i servizi religiosi. Un altro appuntamento tradizionale è l'immancabile Piva natalizia. Per tre giorni i musicanti suonano per le vie delle frazioni le melodie del Natale. Concludono il giorno della vigilia in città.

Cernusco Lombardone (Lecco)

Forse era la festa di San Giovanni del 1928. Non c'è alcun documento che lo possa testimoniare, ma in quel giorno debuttava il Corpo Bandistico S. Cecilia: la banda di Cernusco Lombardone. L'occasione della festa religiosa radunava le bande di Bernareggio e Robbiate, già attive da tempo, e la formazione da poco nata di Cernusco. Era dunque il periodo del fascismo, durante la sua fase di transizione verso la dittatura, quando spesso e volentieri il tempo libero degli adulti era mutuato dall'Opera Nazionale Dopolavoro e per i giovani dall'Opera Nazionale Balilla. Gli scioperi erano banditi e proprio in quell'anno l'organo supremo del regime, il Gran Consiglio del Fascismo, assunse competenze e ambiti di intervento maggiori. L'idea di far sorgere una banda a Cernusco era di pochi mesi prima, esattamente dell'aprile del 1928, quando Alessandro Claudio Pirovano si trasferiva da Albiate Brianza a Cernusco. Cominciarono subito le lezioni teoriche di musica, in attesa degli strumenti: per questi non bastavano la passione e la volontà, ma ci volevano i soldi. I benemeriti furono Giuseppe Ancarani, Luigi Villa ed il dott. Severino Ferrario. Gli allievi erano circa 50 e le prove si svolgevano presso un'aula delle scuole elementari, per poi trasferirsi presso l'attuale sede OMNI e quindi presso l'oratorio femminile. La cittadinanza seguiva con interesse sia le prove sia le uscite pubbliche. Non ci sono resoconti o documenti ufficiali ma solo foto e testimonianze orali, dai quali ricostruire la storia. Oggi, il Corpo Musicale Alessandro Pirovano è un'organizzata associazione senza fini di lucro, con un proprio statuto, un proprio consiglio e soprattutto con un ottimo organico di giovani appassionati. È apprezzata nel proprio territorio per la qualità della propria musica e per la serietà dell'organizzazione: offre infatti la possibilità di avvicinarsi al mondo della musica con corsi e lezioni di insieme tenuti da validi professionisti. Svolge un’importante attività di educazione alla cultura musicale presso i piccoli allievi delle scuole del territorio. 

La banda di Cernusco Lombardone verso la fine degli anni '70

Alessandro Claudio Pirovano, il fondatore, diresse la banda fino al 1977, anno della sua morte. Dalle testimonianze dirette delle sue tre figlie si capisce l'inclinazione naturale che aveva verso la musica. «Ci è stato raccontato - ha rammentato una di loro - che fin da ragazzino andava in giro alla ricerca di strumenti e amici con cui suonarli insieme». È stato uno degli ultimi a prendere parte all'esperienza fiumana. Lì si narra abbia conosciuto Gabriele d'Annunzio. 
Al termine del periodo bellico cominciò a suonare nelle ville e forse ebbe qualche passaggio in conservatorio. Imparò però a suonare tanti strumenti da autodidatta e studiò per conto suo i principî per l'orchestrazione e la composizione. Per questa ragione nel suo paese natale lo chiamavano "testa d'oro". Il suo mestiere era quello di artigiano e tessitore. Era organista in chiesa e col tempo organizzò una nuova cantoria. «Era religiosissimo - hanno ricordato all'unisono le figlie - e per lo più svolgeva le processioni e le altre celebrazioni religiose. Il suo armonium era sempre aperto, ma suonava un po' tutti gli strumenti. Non poteva vivere senza musica». E all'epoca non esistevano - e in seguito non erano ancora diffusi - la radio, i dischi né tantomeno la televisione. Chi voleva ascoltare la musica, doveva produrla da sé. Erano altri tempi. Le donne - comprese le figlie del maestro Pirovano - non si avvicinavano agli strumenti musicali. Non veniva reputato opportuno. L'intero mondo della musica era prerogativa maschile. 
Dopo la Seconda guerra mondiale Alessandro Pirovano avviò un'orchestrina di dieci elementi a Cernusco Lombardone. Fondò la banda di Airuno. Portò la musica anche a Montevecchia e a lui ricorrono le bande di Olgiate, Calco, Missaglia e Ronco Briantino. Diresse le cantorie di Lomagna e Osnago. Oltre alle trascrizioni per coro o per banda, compose di suo pugno alcuni spartiti. Erano per lo più marce, pastorali e brani di ispirazione religiosa.

Robbiate (Lecco)

Il Corpo Musicale Robbiatese fa la sua prima apparizione per la Piva di Natale del 1984. L’atto di fondazione viene fatto risalire al gennaio 1984, quando fu eletto il primo Consiglio Direttivo. Tuttavia, se questa fosse la sceneggiatura di un film, sarebbe opportuno inserire un flashback, un salto all’indietro, per menzionare il passato musicale di questo paese. Bisognerebbe tornare alla metà degli anni Venti del secolo scorso, quando Robbiate si trovò ad avere una sua formazione di strumenti a fiato. Non è rimasto molto di quel periodo. Si sa che venne istituita per volontà del medico Mignoli e che accantonò le proprie pretese musicali con lo scoppio della guerra. Pochi sono i ricordi – oggi rimasti senza testimoni diretti – sufficienti però a far scattare una scintilla di riscossa negli anni Ottanta. Va chiarito che è stato uno spunto iniziale. Quarant’anni di stop sono troppi per parlare di continuità, e del resto nemmeno gli attuali musicanti e dirigenti la avvertono. Alcuni cittadini sentirono l’esigenza di avere una associazione di musica che si unisse alle già presenti attività culturali, sociali e sportive del paese. Furono in particolare Vincenzo d’Angelo e Vincenzo Panettiere, a cui si aggiunsero Carlo Sozzi e Giovanni Riva, a imprimere la prima fiammata. «Ricordo ancora il volantino che mi trovai tra le mani sul banco delle scuole elementari – ha raccontato Riccardo Corno, che ha aderito fin da subito al progetto – nel quale veniva pubblicizzata la nascente scuola di musica a indirizzo bandistico». Era l’ottobre del 1983. Le prime lezioni si svolsero proprio in un’aula delle elementari e nel giro di poco tempo si iscrissero 52 persone. L’amministrazione comunale riconobbe subito l’importanza dell’iniziativa e la sovvenzionò con 15 milioni di lire. Forse anche per questo ancora oggi il labaro riporta lo stemma del Comune. Come primo presidente fu eletto Vincenzo Panettiere. 


La prima uscita pubblica fu in occasione della “Festa dello sport” del giugno 1984. Nel Natale di quell’anno fu portata la Piva in giro per Robbiate. L’8 settembre 1985 si svolsero i primi due servizi ufficiali: l’inaugurazione della biblioteca al mattino e la processione alla festa patronale. Durante il primo concerto del 21 settembre 1985 i musicanti indossarono anche la prima divisa. Giacca azzurra, pantaloni o gonna grigi e camicia bianca. A dirigere c’era il maestro Vincenzo Bardaro, che rimase al timone fino al 1997. Fu dunque il primo direttore stabile. Si era diplomato al Conservatorio di Napoli, sua terra d’origine, ma il legame con il paese brianzolo lo portò a comporre nel 1987 la marcia “La Robbiatese”. Nel libro “Corpo Musicale Robbiatese. 1984-2009, 25 Anni di Musica a Robbiate” a cui abbiamo attinto, viene segnalato come anno particolare il 1986, quando la partecipazione della banda alla vita pubblica divenne più consistente, anche al di fuori del paese. A giugno partecipò per la prima volta al raduno provinciale che si svolse a Osnago, mentre nel mese precedente svolsero la prima gita sociale a Busseto, la città natale di Giuseppe Verdi. Gli anni Novanta sono stati anni di cambiamenti. Il presidente divenne Paolo Bassano nel 1994, figlio di un altro musicante/insegnante e fino ad allora maestro di percussioni a Robbiate. 
La svolta avvenne anche per la conduzione artistica. Il maestro divenne nel 1997 Massimo Mazza, che aveva una profonda conoscenza musicale, della quale vantava numerosi successi. Con l’inizio del nuovo millennio la bacchetta cambiò nuovamente di mano altre due volte. Nel 2003 la banda si  trasferì nella sede dell’ex sala civica (l’auditorium Monteverdi), dove tutt’oggi svolge le prove. Il successivo maestro Alessandro Castelli introdusse i concerti a tema.

Colnago di Cornate D’Adda (Monza e Brianza)

Correva l'anno 1891 quando per la prima volta si riunì la "banda" di Colnago. Era composta principalmente da contadini che imparavano a suonare lo strumento e la propria parte a memoria, poiché non sapevano leggere alcun spartito e non conoscevano le note musicali. Bisogna andare indietro fino all'Ottocento, quando la Chiesa svolgeva una funzione sociale di aggregazione molto più forte di adesso, per narrare gli esordi della prima filarmonica di Colnago. Non sono pervenute ai nostri giorni documentazioni scritte che lo certifichino, ma la tradizione orale fa risalire la sua nascita ,appunto, al 1891. Avvenne per volontà dell'allora ufficiale sanitario Luigi Resnati, originario di Milano, e costituì il primo esempio di passatempo culturale per gli abitanti del posto. Era lo stesso dottore, appassionato di filodrammatica, ad impartire le prime lezioni teoriche e pratiche presso la sua abitazione, nella corte di via Biffi. A sorreggere l'iniziativa fu il parroco don Luigi Martinenghi, grazie al quale il sodalizio di strumentisti assunse la denominazione di Corpo Filarmonico (o Musicale) parrocchiale S. Alessandro. L'appoggio della parrocchia non mancò nemmeno successivamente con l'arrivo di don Antonio Vismara. In quel periodo - dal 1901 al 1909 - la direzione musicale fu dell'organista della chiesa, Luigi Biffi. I musicanti aumentarono così come la qualità delle loro esecuzioni. Da Milano arrivò il francese Luigi Barrochet che, guidando la banda, riuscì a far completare l'organico in ogni sezione. Pare che l'attività non si interruppe neppure durante i due conflitti mondiali. Nel primo dopoguerra venne guidata da Giovanni Carta una fanfara di ottoni che, pur ridimensionando il repertorio e il numero dei musicanti, garantì lo stesso il proprio contributo durante le feste. I direttori venivano tutti da fuori, anche con i maestri Tulli, Conti e Frigerio, che proprio a causa delle distanze tenevano le lezioni di musica ogni quindici giorni. Invece nella prima metà degli anni Quaranta il corpo musicale fu diretto da un membro della banda, Michele Marcandelli. 


La prima divisa risale al periodo tra il 1930 e il 1935. Forse risentendo del clima politico, il colore dell'abito era nero con bottoni dorati. Più tardi si passò a un frak con un cappello dal folto piumaggio. A causa delle difficoltà economiche, dal 1948 don Giuseppe Visconti smise di elargire denaro alla banda. Le andarono incontro le persone che spesso cedevano parte del proprio raccolto di frumento, venduto poi al mugnaio. Negli anni Cinquanta ancora non tutti i musicanti avevano dimestichezza con la lettura dello spartito. L'allora maestro Attilio Nava si premurava facendo imparare la parte su imitazione della sua esecuzione al clarinetto. I tempi di apprendimento erano comprensibilmente piuttosto lunghi. Dal 1965 il maestro fu il figlio di Attilio Nava, Franco. Mantenne l'incarico per quasi quarant'anni, fino al 2002. La scuola Allievi nel frattempo crebbe e nel 1975 furono chiamati per la prima volta due insegnanti separati per le sezioni ance ed ottoni. Erano i fratelli Luigi e Costantino Ponti, musicanti professionisti. 
Quello stesso anno possiede un altro primato. Si iscrissero infatti delle ragazze, che erano ben 7 su 13 allievi totali. L'afflusso maggiore di musicanti lo si registrò nell'anno del centenario, il 1991, con 43 elementi, quando la media storica era di una trentina di componenti. In occasione dei 100 anni di storia, i membri hanno avuto l'onore di essere ricevuti in udienza privata da papa Giovanni Paolo II. Gli ultimi gemellaggi risalgono al 120° anniversario. Nell'ultima quindicina d’anni i maestri che si sono avvicendati alla direzione sono stati il giovane Luca Ponti, Alessandro Vismara e per ultimo  Paolo Luigi Belotti. 

Cantù (Como)

Fra le più antiche formazioni del territorio brianteo è da annoverare il corpo musicale La Brianzola di Cantù, la cui costituzione venne approvata dall’Imperial Regio Governo con Dispaccio datato 16 giugno 1843: si autorizzava la costituzione nel borgo di Cantù di “una Società Filarmonica, ossia Banda municipale tra gli individui nominati nell’elenco”, che porta in calce la firma di ventotto giovani che componevano il gruppo originario. Tuttavia l’inizio del sodalizio è fatto tradizionalmente risalire al 1836, anche se non esistono documenti. Nel 1888, il direttore dell’epoca, Angelo Broggi, affermava che la banda denominata La Brianzola fu fondata nell’anno 1840. A complicare ulteriormente la controversia intorno alla data di nascita del corpo musicale è il festeggiamento del primo centenario di fondazione, celebrato presso i giardini pubblici di Cantù il 26 settembre 1937. Promotori della costituzione della banda furono i fratelli Samuele e Giuseppe Salterio. Come attestato dallo Statuto del 1885, “la banda musicale già diretta dal signor Giuseppe Salterio avrebbe assunto il nome di Banda Sociale Musicale La Brianzola”. La nuova compagine si dotò di un’uniforme ed iniziò a riunirsi periodicamente nei locali dell’ex convento di Santa Maria. 
In seguito ai fatti rivoluzionari del 1848 e del 1849, i controlli esercitati dal governo asburgico sui gruppi costituiti si fecero gradatamente più coercitivi. Le autorità politiche intendevano verificare se i membri delle diverse associazioni fossero implicati nei moti patriottici manifestatisi in tutte le città lombarde, e che avevano investito anche Cantù. Samuele Salterio intervenne prontamente a tutela della compagine, difendendola da ogni sospetto di pratica politica. Ma, neppure tre anni più tardi il commissario distrettuale presentava in Comune una nota di rammarico circa il comportamento antipatriottico della banda musicale che, secondo l’uomo politico, non eseguì l’Inno Nazionale. 
Sotto la direzione del maestro Pagani, il corpo canturino ebbe modo di affermarsi in tutta la provincia di Como. Nell’agosto del 1859 la banda venne invitata, in insieme ad altre, a Como in occasione della visita di Vittorio Emanuele II. Si trattò del più alto riconoscimento che la banda di Cantù avesse ricevuto fino a quel momento. All’indomani della unificazione nazionale il Comune di Cantù, come compenso per i buoni servigi che la “Banda Musicale prestava in tutte le feste ed occasioni solenni…”, decideva di stanziare un contributo economici a sostegno delle sue attività. Nel 1866 la popolazione canturina, insieme al corpo musicale, accolse trionfalmente Giuseppe Garibaldi, giunto in Brianza con lo scopo di arruolare volontari per quella che sarebbe stata denominata la III guerra d’Indipendenza.

La banda Ranscett in una storica foto del 1872

Nel 1872, però, all’interno della compagine si aprirono forti dissidi su alcuni aspetti che portarono al distacco dal gruppo originario dei musicisti più giovani ed alla formazione di un nuovo corpo musicale, che assunse la denominazione di Ranscett. I 32 musicanti transfughi sottoscrissero l’atto costitutivo della nuova formazione presso il Municipio di Cantù. Paradossalmente, la rivalità fra i due gruppi fu in qualche modo efficace e contribuì ad accrescere la qualità musicale dei due organici, nonché ad ampliare il rispettivo repertorio. 
Nei primi anni del Novecento altre formazioni si aggiunsero alle due esistenti. Il 1911 segna una svolta decisiva nella storia musicale canturina grazie alla costituzione del corpo musicale La Cattolica, la cui formazione conquisterà ben presto una posizione di preminenza nel panorama locale. Il 15 maggio 1913 si costituì la Fanfara Ciclistica, poi diventata Banda Musicale Sociale di Vighizzolo, che nel 1921 prese definitivamente il nome di Corpo musicale Giuseppe Verdi di Vighizzolo. 

La Cattolica

Corpo musicale Giuseppe Verdi

Una statistica comunale redatta nel 1936 ci fornisce un quadro dettagliato dei gruppi musicali operanti in quel momento a Cantù: la Musica Sociale Ranscett  era composta da 40 musicanti ed era diretta dal maestro Enrico Annoscia. Altrettanti elementi costituivano La Brianzola, diretta dal maestro Achille Lizzi. Il maestro Franco Filippi dirigeva i 35 componenti La Cattolica, mentre la banda di Vighizzolo era diretta dal maestro Antonio Facci. Ai quattro corpi bandistici attivi si affiancava il gruppo dei Frega Muson, il quale, sulla scia di una tradizione ormai consolidatasi in Brianza, si avvaleva unicamente dell’antichissimo flauto di Pan. 
Negli anni fra le due guerre mondiali, l’attività delle quattro formazioni bandistiche canturine conobbe un considerevole fervore di esecuzioni, sia relativamente alle celebrazioni religiose sia per ogni tipo di ricorrenze civili. Malgrado il grande consenso della popolazione, sul finire degli anni Trenta cominciarono ad aggravarsi i conti economici delle bande, in modo particolare quelli della Brianzola e dei Ranscett, che le portarono al mesto scioglimento: quasi 100 anni di gloriosa storia musicale sembravano esaurirsi in una mera questione di bilanci. Molte persone si mobilitarono, su diretta disposizione delle autorità politiche, e, nel 1938, le due disciolte formazioni vennero riunite in un nuovo corpo bandistico che venne denominato Corpo Musicale Cittadino. Tempo un paio di anni, la nuova formazione entrò in crisi per le medesime problematiche, e si sciolse. All’indomani della fine del conflitto La Brianzola e il corpo musicale Ranscett ricostituirono i loro organici.  

La Brianza, nel senso più esteso del termine, ossia quel territorio compreso tra le attuali province di Como, Lecco e Monza Brianza, è quindi stata una terra di grandi tradizioni canore e musicali, un’area nella quale piccole e grandi formazioni, dalle bandelle ai corpi bandistici, hanno interpretato al meglio delle loro possibilità, considerate le difficoltà di quei tempi, ciò che emergeva dalla cultura popolare di genti umili e laboriose, diffondendole e portandole a conoscenza di tutte le realtà presenti sul territorio.

Beniamino Colnaghi