giovedì 8 dicembre 2022

 Il Blog Storia e storie di donne e uomini 

augura buon Natale e sereno anno nuovo


Verderio (ex Superiore), via Sant'Ambrogio, in una foto degli anni Trenta del Novecento


sabato 3 dicembre 2022

I monumenti ai Caduti della Grande guerra in Brianza

Alla conclusione della lunga e interminabile Prima guerra mondiale, ogni paese, città e provincia italiana, contava a decine, centinaia e migliaia le giovani vittime. Seicentomila vite erano state spezzate da una follia che aveva attraversato l’Europa; un’intera generazione era stata mutilata per sempre. La morte non aveva fatto discriminazioni e anche le località più remote e lontane dai campi di battaglia, avevano versato la loro parte di sangue. In Brianza ogni comune ebbe la sua parte di soldati morti; furono decine di migliaia in tutta la regione briantea, centinaia i grandi mutilati agli arti. La guerra aveva annullato le distanze, le lingue, le abitudini, il sapere tradizionale. Nel turbinio degli spostamenti verso il fronte, aveva rimescolato e infranto il destino di milioni di individui.
Una ventata di immane cordoglio attraversò l’intera nazione. Fu in questo clima che nei mesi successivi la fine del conflitto, in ogni parte d’Italia sorsero comitati per la commemorazione dei Caduti sui campi di battaglia del Veneto, del Trentino e del Carso. Si ha testimonianza, attraverso documenti depositati negli archivi di molti comuni brianzoli, che i sindaci convocarono riunioni già a partire dai primi mesi del 1919 per organizzare celebrazioni volte ad onorare i giovani morti sui campi di battaglia, “perpetuandone i loro nomi ed i loro gesti”. Parole inevitabilmente contrassegnate da retorica patriottica, frequenti in quei mesi successivi al conflitto. Basti semplicemente leggere le parole e le dediche incise sui monumenti ai Caduti.
Ovunque le manifestazioni di cordoglio culminarono con la realizzazione di un monumento a ricordo o, quando le finanze locali non lo permisero, di una lapide, che in qualche modo solennizzasse il grande sacrificio compiuto. I monumenti e le statue commemorative furono collocate nei punti nevralgici dei centri abitati o nelle vicinanze delle chiese parrocchiali, in modo che la loro costante presenza immortalasse la memoria dei giovani soldati.
In gran parte dei comuni della Brianza si formarono dei Comitati di cittadini che, in sintonia con le Amministrazioni comunali, raccolsero idee e offerte in danaro che servirono poi alla costruzione delle opere previste. In alcuni casi, come avvenne a Verderio Superiore (sui monumenti dei due Verderio, chiuderò questo articolo), e certamente anche altrove, i monumenti a ricordo dei Caduti di guerra vennero finanziati e realizzati dalle famiglie aristocratiche e borghesi locali, proprietarie della quasi totalità degli immobili e delle terre insistenti in quei comuni.

Con i proventi raccolti fra la cittadinanza, il Comitato canturino per le onoranze ai caduti in guerra (Cantù ndr) affidò l’incarico per la realizzazione di un monumento in bronzo allo scultore milanese Ernesto Bazzaro, autore anche della statua commemorativa di Mariano Comense, nonché di numerosi monumenti  funebri nel Cimitero Monumentale di Milano. Pur fra qualche inevitabile polemica, originata dalle nudità del milite, il monumento venne solennemente collocato in largo Cavallotti, l’attuale largo Adua, il 10 luglio 1921, alla presenza di tutte le autorità cittadine e di molte delegazioni dei comuni circostanti. L’anno successivo sarebbe stato inaugurato il monumento di Mariano e nel 1923 quello di Figino Serenza, opera dello scultore milanese Michele Vedani. Il monumento di Cucciago venne invece affidato a Enrico Pancera, affermato scultore di Caravaggio (Bg), futuro autore del gruppo scultoreo dedicato ai Caduti di Monza.

Il monumento di Cantù in una foto d'epoca
  
Mariano Comense

 


Il monumento di Figino Serenza

Anche gli scultori Carlo e Luigi Rigola furono impegnati nello studio e nella realizzazione di alcuni monumenti commemorativi. All’inizio del 1919, a pochi mesi dalla fine della guerra, venne loro commissionata la realizzazione di una statua per il monumento ai Caduti di Rovellasca, nel Basso Comasco e, poco più tardi, di quella di Zogno, nel Bergamasco. Le due sculture idealizzano l’azione eroica di un giovane soldato nell’atto di contrapporsi al nemico. Mentre però la scultura di Zogno ancor oggi mantiene intatto il valore retorico del suo messaggio, quella di Rovellasca venne sacrificata dal regime fascista all’inizio del secondo conflitto mondiale, per ricavarne quel bronzo necessario alla costruzione di cannoni per un’altra tragica epopea italiana.
Della scultura di Rovellasca rimangono soltanto alcune fotografie, che ritraggono il bozzetto in creta e la statua dopo la fusione. Per i fratelli Rigola l'eroe è un soldato comune che sul campo di battaglia compie il suo dovere, un uomo con le tensioni e i timori che la solennità del momento imprime al suo viso, scavandolo sino a mutargli i connotati.

Scendendo un po’ più a sud, nella Brianza lecchese, che oggi confina con la provincia di Monza e Brianza, sul medio corso del fiume Adda troviamo alcuni comuni che hanno forti tradizioni democratiche e popolari (http://colnaghistoriaestorie.blogspot.com/2015/05/il-medio-corso-del-fiume-adda-da-lecco.html)
Paderno d’Adda, ad esempio, sul cui territorio è presente il ponte San Michele, un monumento simbolo dell'archeologia industriale italiana, costruito tra il 1887 ed il 1889 per farvi transitare uno dei pochi collegamenti ferroviari tra le due rive del fiume Adda. Il monumento ai caduti si trova proprio di fianco al ponte San Michele, sulla sponda lecchese dell'Adda.
Affidata la progettazione all’architetto Aldo Gnecchi Ruscone, venne richiesta l’eliminazione delle alte e fitte robinie per armonizzare la nuova struttura con l’ambiente circostante. Rimossa l’alta siepe il 12 settembre 1967, gli alpini avvertirono il fascino e l’emozione provocati dall’incantevole scenario di questo tratto di fiume e diedero inizio ad un accurato e diligente lavoro di bonifica della scarpata.
Si stabilì di inserire nel monumento le pietre provenienti dai campi di battaglia sui quali più generoso era stato il sacrificio dei soldati della montagna, dei Dispersi e dei Deportati, mentre il rintocco delle campane ricorderà la gloriosa sorte dei Caduti di ogni nazione. Per richiedere le pietre vennero  indirizzate missive ai diversi capi di Stato, rimettendosi alla collaborazione del capitano Ponzoni, dotto in argomenti storici ed abile comunicativo.
La realizzazione del monumento-campanile consegnò al paese un’opera pregevole: i tralicci di sostegno delle tre campane, a base triangolare, poggiano su un basamento nel quale sono incastonate le pietre. Pannelli in ferro forgiato, disegnati dallo stesso Nastasio, raccontano con particolare efficacia alcuni eventi bellici dei quali furono protagonisti gli alpini.
Su un triangolo inclinato è posizionato un relitto di artiglieria che ha accompagnato i reparti del Corpo Italiano di Liberazione e dei Gruppi di Combattimento, donato dal Presidente degli Stati Uniti d’America, Lyndon Johnson.
L’inaugurazione del monumento avvenne il 26 ottobre 1969 ed è resa imponente dalla presenza di rappresentanze del Governo italiano e di quello americano, di autorità, dei Gruppi Alpini di entrambe le sponde dell’Adda, nonché del Gruppo di Asiago per la consegna di una pietra dell'Ortigara. La Fanfara e un picchetto in armi del 4° Alpini aprirono un corteo molto partecipato.


 Sopra, l'inaugurazione del monumento di Paderno d'Adda


A Verderio Superiore, per volontà della famiglia Gnecchi Ruscone, sul sagrato della chiesa parrocchiale venne eretto il monumento a ricordo dei soldati verderiesi, morti durante la Grande Guerra. L’inaugurazione si tenne in occasione della sagra paesana, esattamente il 18 settembre 1921. Sulla porta della chiesa venne affisso un grande cartello con la scritta: “Ai nostri cari valorosi che sacrificarono la vita per la grandezza della Patria nella Guerra micidiale 1915-1918. Riconoscenza e suffragio di eterno premio”.
Per l’occasione arrivò da Milano un illustre verderiese, monsignor Benvenuto Sala, canonico della basilica di Sant’Ambrogio, grande letterato e rettore della Biblioteca Ambrosiana della città. Al termine della messa, la processione delle autorità e dei cittadini, accompagnata dal suono della banda di Colnago, si diresse verso il monumento, davanti al quale, il sindaco, Rino Gnecchi Ruscone, lesse il discorso commemorativo, imperniato sul sacrificio dei giovani caduti e carico di sentimenti di riconoscenza, che fu apprezzato dalla popolazione e fu di conforto per le vedove e per i parenti dei militi morti in quella terribile guerra.
Monsignor Sala benedì il monumento, venne letta una poesia da una giovane del posto, la banda suonò dapprima la marcia funebre e poi altre melodie per le vie del paese. La sera del giorno seguente la festa proseguì, sempre con la presenza della banda e con i fuochi d’artificio.
Il 27 marzo 1969, ai combattenti ancora in vita di Verderio Superiore, che avessero fatto domanda scritta e che ebbero prestato servizio militare per almeno sei mesi nelle forze armate italiane durante la guerra 1914-18 o durante le guerre precedenti, venne conferita l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine di Vittorio Veneto.


La foto sopra ritrae l'inaugurazione di Verderio Superiore del 1921
Le due foto qui sotto riprendono due momenti della manifestazione avvenuta nel 1969, alla presenza dell'allora sindaco A. Villa, del parroco don Brazzelli e di alcuni Cavalieri dell'Ordine di Vittorio Veneto
 


 

A Verderio Inferiore, il monumento, che ancora oggi campeggia nella centrale piazza Annoni, a pochi metri dalla parrocchiale, venne inaugurato il 4 novembre 1961. L’iniziativa per la sua costruzione partì dall’allora sindaco Zoia, che nel mese di marzo dello stesso anno coinvolse tutte le famiglie verderiesi affinché esprimessero il loro parere circa il progetto predisposto dall’Amministrazione comunale. Ottenuto il parere favorevole, il sindaco aprì una sottoscrizione popolare tra tutti i residenti di Verderio Inferiore, che frutto oltre due milioni di lire. Venne formato un comitato di venti capifamiglia, denominato “Pro costruendo monumento ai Caduti in guerra” e si assegnò l’incarico allo scultore meratese Giuseppe Mozzanica. Il suggestivo monumento fu pronto per l’inaugurazione, avvenuta, come detto, il 4 novembre 1961. 
Per l’occasione, tutto il paese fu tappezzato da bandiere tricolori e la giornata iniziò in un clima di grande entusiasmo e commozione. Indimenticabile fu la gioia dei verderiesi per aver compiuto il proprio dovere di riconoscenza e gratitudine verso coloro che con il dono della propria vita servirono la Patria.





All’inaugurazione venne invitato il ministro Lorenzo Spallino, che tenne un apprezzato e sentito intervento. Dopo il discorso del sindaco e la benedizione del parroco, don Angelo Ricco, si formò un lungo e partecipato corteo per le vie del paese brianzolo, con in testa i bambini ed i ragazzi delle scuole, quindi le associazioni locali, i coscritti, gli ex combattenti e, infine, la popolazione.
Una manifestazione che i residenti ricordarono per molti anni.

Con il passare del tempo e la graduale realizzazione di monumenti e lapidi dedicate ai Caduti, l'emozione suscitata dalla carneficina dei campi di battaglia si affievolì. Con il pretesto di perseverare nel tempo il ricordo dei giovani eroi, la dittatura fascista trovò il modo di appropriarsi della loro memoria per rinsaldare nella popolazione i valori legati al senso di appartenenza alla patria. Nell'inverno del 1923 il Ministero della Pubblica Istruzione invitava le scuole a promuovere la formazione di parchi o viali della rimembranza, dedicati ai Caduti della Grande guerra. Ad ognuno dei soldati deceduti sarebbe dovuto corrispondere un albero con accanto una targhetta in ferro che avrebbe ricordato ogni Caduto. Gran parte dei comuni italiani aderirono all'iniziativa e vennero individuate aree ove piantumare gli alberi. Non furono rari i casi in cui il viale della rimembranza  trovasse la propria collocazione in prossimità della chiesa parrocchiale, come avvenne a Verderio Superiore, a Lurago d'Erba e in altri comuni, o che conducesse al cimitero, come a Verderio Inferiore, a Carate Brianza e a Cucciago...
Il monumento di commemorazione non era soltanto un atto di devozione verso i morti, ma era anche un'opera simbolica destinata ai vivi, alla consolazione delle madri e delle vedove, innanzitutto.
Negli anni del dopoguerra, in ogni località briantea, insieme ai monumenti ai caduti e ai viali della rimembranza fecero la loro comparsa nuove denominazioni di strade e piazze. I toponimi tradizionali vennero sovente sostituiti dai nomi delle località legate alle grandi battaglie del Carso, dell'Isonzo, del Piave, del Monte Grappa, a Vittorio Veneto. Molte vie vennero inoltre intitolate agli eroi, veri o presunti, che si distinsero in azioni memorabili, a lungo fonte di esaltazione per la retorica nazionalista dell'Italia fascista. 
L'impeto con cui nel primo dopoguerra si intese realizzare i monumenti ai Caduti determinò scelte urbanistiche affrettate, che più tardi si rivelarono sbagliate e inadeguate, che in alcuni casi avrebbero richiesto la rimessa in discussione delle risoluzioni adottate. Nella maggior parte dei casi le statue ed i monumenti erano stati collocati al centro del paese e delle allora piccole città brianzole, che però, la loro localizzazione non aveva previsto la vorticosa crescita dei traffici commerciali e lo sviluppo della rete viabilistica.
A Cantù, ad esempio, già nel 1931, a seguito di polemiche da parte del clero locale, che chiedeva di coprire le nudità del fante e alcune richieste di spostamento, il monumento venne rimosso e collocato in prossimità del viale della Rimembranza, ove si trova tutt'ora, così com'era, senza essere rivestita.  
Per i canturini, il monumento sarebbe confidenzialmente rimasto ul biutun.

Beniamino Colnaghi     

Bibliografia
Tiziano Casartelli, Pietà e Memoria, I monumenti ai caduti della Grande guerra
Giulio Oggioni, Verderio 1915-1918 Tre anni della nostra storia durante la Prima guerra mondiale, 2012

martedì 22 novembre 2022

Isola e Pirolina, due storiche località di Sant’Albino (MB)

Sant'Albino, oggi, è un quartiere della città di Monza, situato nella periferia est del capoluogo brianzolo.

Quando, nel giugno del 2015, stavo scrivendo l’articolo sui carrettieri ed i cavallanti brianzoli (https://colnaghistoriaestorie.blogspot.com/2015/06/carrettieri-e-cavallanti-brianza.html) ebbi la conferma da parte di Felice Colnaghi, che ribadiva quanto mi disse mio padre molti anni prima, circa la presenza di una osteria/trattoria a Sant’Albino, gestita da Augusta Pozzoni, detta Gustina, una parente di mia nonna paterna. Oltre a cucinare i migliori piatti della tradizione lombarda, tra i quali la trippa, Busecca, la Cassoeula ed il risotto con l’ossobuco, Gustina riservava ogni giorno nella sua trattoria dei posti a pranzo per i cavallanti che provenivano da Verderio e dai paesi limitrofi.

Poi sopraggiunse l’impetuoso e disordinato sviluppo urbanistico degli anni susseguenti al Boom economico, ed anche oltre, che soffocò e distrusse ogni cosa, comprese le originali e centenarie tradizioni dei piccoli borghi brianzoli. Nemmeno Sant’Albino si salvò dall’oblio.

Sono rimaste poche tracce del suo antico passato, tra le quali si vuole qui ricordarne un paio, due memorie chiamate Isola e Pirolina.


Monumento ai Caduti posto sul muro del piazzale della chiesa di Sant'Albino



Col referendum del 1866, S. Damiano scelse di aggregarsi al comune di Brugherio che si stava formando in quegli anni. Risalgono a questo periodo l'inizio di costruzioni di case a S. Albino di Sotto. Alcune delle prime case che compaiono riguardano una casa interna della corte dei Caiani, l'altra la palazzina che si può vedere ancora oggi di fronte alla chiesa parrocchiale. Esisteva ed esiste tuttora anche un caseggiato che rimaneva isolato rispetto al centro abitato di Cascina dé Bastoni: attualmente la conosciamo come curt di Bagiot. Fu proprio questo isolamento il motivo per il quale questo sito venne chiamato "l'Isola", nome rafforzato anche dal puntuale allagamento che si verificava nella zona tutte le volte che pioveva (la gente lo chiamò anche "Lambròn").

Riguardo alla casa che oggi troviamo in via S.Albino al civico 59, vi sono notizie risalenti al 1907 che attestano che in essa si trovava la Trattoria Piemontese. Forse esisteva già alla fine dell'Ottocento e sorse per ospitare gli operai che in quegli anni stavano lavorando alla costruzione del canale Villoresi (1868-1886).
Quando i coniugi Ernesto Piazza e Giuseppa Capra l'acquistarono, la trasformarono in osteria, che chiamarono "dell'Isola". Ancora oggi sul muro è possibile leggere le due insegne, per la prima compare solo il finale di piemontese, mentre osteria dell'Isola è visibile nella sua completezza.
L'osteria chiuderà nel 1938 ed al suo posto aprirà un negozio di alimentari con salumeria, che resterà in funzione fino alla metà degli anni ‘60. A partire dal 1936, in via S. Albino, ai civici 51 e 53, si sta costruendo una casa su due piani, dove nel 1938 riaprirà una nuova osteria, chiamata anch’essa osteria dell'Isola. Anche in quest’ultimo caso è possibile leggere la scritta "Osteria dell'Isola". Ai piani superiori si trovava l'appartamento dei proprietari, sigg. Cesare Montrasio e Maria Rotella.

L'osteria disponeva di un campo per il gioco delle bocce e di un’area per il ballo. In questo locale si tennero diversi pranzi in occasione di matrimoni e feste religiose e civili.  

Il locale venne chiuso probabilmente durante o subito dopo la seconda guerra, poiché i proprietari comprarono un terreno per costruire un capannone, ove iniziò nel 1947 un’attività per la lavorazione degli stracci. Dell'originale casa isolata non riamane che il ricordo; nell’ultimo secolo costruzioni di ogni tipo hanno occupato ogni spazio, ma il luogo ha mantenuto il nome originario de "l'Isola".




A nord-ovest della "cascina dé Bastoni" esistevano due strade vicinali dette "del Casotto", di cui oggi non rimangono che pochissime tracce. Della via "del Casotto", fino agli anni Sessanta esisteva ancora una parte che terminava contro il muro di cinta del cimitero di Monza . La soppressione di questa strada, difatti,  avvenne nella prima metà del 1900 per far posto al nuovo cimitero cittadino e, nello stesso periodo, venne anche demolita la cascina Casotto, che dava il nome alla strada. Il tracciato che oggi incontriamo in fondo a via Alberto da Giussano, che viene spesso percorso da chi si reca al cimitero, è una piccolissima parte della vecchia strada (ora definitivamente chiusa con la costruzione del centro natatorio).
Nelle mappe catastali degli anni '30 troviamo una cascina segnalata come "Bramati" ubicata sulla strada vicina a cascina Bastoni. Questa cascina dovrebbe essere stata costruita, anche se non sono stati reperiti documenti che accertino questa cosa, tra la fine del 1800 e l'inizio del 1900. Dalle mappe catastali dell'archivio Teresiano del 1721, in questa zona non compaiono ancora fabbricati. Pochi la conoscono col nome di cascina Bramati e per la maggioranza dei sant'albinesi questa è la cascina della Pirolina. Per arrivare all'identificazione del significato di tale soprannome i locali hanno cercato tra atti di compravendita un cognome od un nome che potesse giustificarlo. Ma nessuna famiglia Pirola, Pirovano o Piro è mai apparsa come proprietaria. Si è pensato a qualche parola dialettale, ormai dimenticata o a qualche lavoro svolto in quella cascina. Purtroppo, non si è trovato nulla. Nel corso del tempo è arrivato a noi il nome popolare, mentre se ne è perso il significato originario. Questa cascina è sempre stata ai bordi della cascina Bastoni. Negli anni Cinquanta era ancora in mezzo ai prati e vi era un sentiero per raggiungerla. Con la costruzione negli anni '60 della palazzina in via Alberto da Giussano al civico n. 2, per conto di "Ina Casa", comincia uno sviluppo lento ma inesorabile di questa zona.
Ora la cascina Pirolina è stata quasi soffocata dal palazzo detto "Veliero". Il ricordo di chi è nato qui è che in questa parte di S.Albino i ragazzini si incontravano a gruppi, come succedeva allora, per costruire capanne tra le robinie e giocare a caneta (cerbottana) o ai giochi “poveri” di quel tempo. Anche questi giochi sono scomparsi, sopravvivono solo nella memoria di chi ha vissuto quei momenti storici, come l'origine del nome della cascina Pirolina.

 Beniamino Colnaghi

sabato 17 settembre 2022

1922-2022: è trascorso un secolo dall’arrivo delle suore dell’Immacolata di Genova a Verderio Superiore

La prima scuola dell’infanzia di Verderio fu costruita nel 1891 e venne denominata “Asilo Giuseppina”, in quanto la scuola fu fortemente voluta e finanziata con soldi propri dalla contessa Giuseppina Turati, nata a Busto Arsizio nel 1826, e maritatasi con Giuseppe Gnecchi Ruscone, ingegnere, possidente e Sindaco di Verderio Superiore, dal 1859 al 1889.


La scuola dell'infanzia, Asilo Giuseppina, oggi

Fino al 1922 si alternarono nella gestione dell’asilo, pur senza grande successo, diversi ordini religiosi. Inoltre, durante il periodo della Grande guerra (1915-1918), per ordine del governo, vennero requisiti molti immobili nel Nord Italia, per l’alloggio di ufficiali e soldati convalescenti. Nei due Verderio, la villa Gnecchi Ruscone e l’Asilo Giuseppina, oltre ad altri edifici, ospitarono i convalescenti della VI Armata, occupazione che obbligò le suore a chiudere la scuola e trasferirsi per qualche mese in canonica.
Il 20 gennaio 1922 venne sottoscritto l’accordo tra la famiglia Gnecchi Ruscone e le suore dell’Immacolata di Genova che garantiva, tra le altre cose, la proprietà a vita della casa e diversi altri contributi a favore dell’Istituto religioso. Sul Liber Chronicus, redatto dal parroco di Verderio Superiore, don Luigi Galbiati, è riportato che a sottoscrivere l’intesa da parte della Famiglia, fu Vittorio Gnecchi, nipote di Giuseppe, che negli anni successivi diventerà uno dei più illustri compositori di musica sinfonica, operistica e sacra di quel tempo.
Con l’arrivo delle prime suore da Genova, la scuola poté così essere riaperta e resa operativa a partire già dal mese di settembre dello stesso anno, ospitando ed educando diverse decine di bambine e bambini verderiesi.

Fondatore dell’ordine delle suore dell’Immacolata fu don Agostino Roscelli, oggi santo, nato a Bargone di Casarza Ligure, il 27 luglio 1818, da Domenico e Maria Gianelli, modesti contadini e persone di grande fede.
Don Roscelli fondò, il 15 ottobre 1876, l'Istituto delle Suore dell'Immacolata nella nuova casa di via Volturno 5, a Genova, che fino ad allora era dedita all'educazione e all'istruzione delle ragazze del popolo. Don Roscelli si spense sempre a Genova il 7 maggio 1902. Fu grazie alla sua attività religiosa, sociale ed umana che il 10 giugno 2001 papa Giovanni Paolo II lo proclamò santo.

 

Il libro dedicato all'Asilo Giuseppina è distribuito presso la chiesa parrocchiale di Verderio (Lecco)

Sono quindi 100 anni che le reverende suore dell’Immacolata di Genova sono presenti a Verderio Superiore.
Gestendo la scuola materna paritaria, le suore si sono storicamente integrate, non solo dal punto di vista religioso, nel tessuto sociale e umano della comunità verderiese ed hanno contribuito a creare il giusto spirito che ancora oggi, malgrado i forti cambiamenti intervenuti negli ultimi decenni, pervade la società.
Questa scuola dell’infanzia ha ospitato, a partire dal 1891, diverse migliaia di bambine e bambini, principalmente verderiesi, ma anche provenienti da altri comuni limitrofi. Quelli erano anni difficili e duri per la nostra gente. La condizione sociale del proletariato agricolo era di assoluta sopravvivenza: l’alimentazione era scarsa e di pessima qualità, le malattie decimavano molti bambini in tenera età, le condizioni igieniche e la fatica dei campi erano corresponsabili della maggior parte delle patologie che colpivano i lavoratori della terra. Poi arrivarono due guerre mondiali, frammezzate da una ventennale dittatura, che generarono miseria e morte.
La nascita di questa struttura diede qualche segno di speranza in più alle famiglie contadine e operaie e fu certamente una forma di assistenza e aiuto per le famiglie povere.
Delle suore, i cittadini verderiesi hanno apprezzato lo stile e la riservatezza, il parlare a bassa voce, il carattere sempre disponibile e pronto al dialogo ed all’ascolto, il comportamento mai teso al protagonismo individualista ma proiettato al lavoro con gli altri, per il bene di tutti. Le manifestazioni di stima e di gratitudine sono state molte in tutti questi anni, soprattutto perché le suore che hanno operato a Verderio si sono contraddistinte per la serietà, l’abnegazione e l’impegno, che hanno profuso a favore dei bambini e delle loro famiglie.

Beniamino Colnaghi 

sabato 11 giugno 2022

L'intricata vicenda del trasferimento a Verderio Superiore del polittico di Giovanni Canavesio 

di Marco Bartesaghi


Il 26 ottobre 1902 alla consacrazione della nuova chiesa parrocchiale di Verderio Superiore, dedicata ai santi Giuseppe e Floriano, oltre che dalla bella architettura e dalle vivaci decorazioni i convenuti furono favorevolmente impressionati dalla presenza di un'antica opera d'arte, di notevoli dimensioni, che, per il ruolo di pala dell'altare maggiore che le era stato assegnato, attirava su di sé l'attenzione (1).

Si trattava di un polittico dipinto da Giovanni Canavesio da Pinerolo, pittore che nel XV secolo aveva lavorato soprattutto nell'entroterra della Liguria occidentale, dove sono ancora presenti diverse sue opere. Anche il polittico di Verderio proveniva da una cittadina ligure, Pornassio, in provincia, allora, di Porto Maurizio, oggi di Imperia. Lì era stato conservato dal 1499. Formato da 31 scomparti, è dipinto a tempera ed è dedicato alla Vergine e a San Dalmazio (2).

La pala di Giovanni Canavesio


I giornali e le riviste che scrissero della nuova chiesa dedicarono spazio anche all'opera di Canavesio, segnalandone l'importanza artistica ai propri lettori. Nessuno però si preoccupò di capire e di spiegare in modo esauriente come essa fosse finita a Verderio: solo qualche cenno, alquanto superficiale. Così ne parlò ad esempio Luca Beltrami nel suo opuscolo di presentazione della nuova chiesa: "A decorare l'altare maggiore, la famiglia Gnecchi ebbe la singolare ventura di poter disporre di un grandioso polittico...". "Singolare ventura", niente di più. È evidente come il modo in cui la pala era giunta a Verderio non fosse ritenuto interessante (3).
Invece la vicenda è abbastanza travagliata, si svolge in un arco di tempo di cinque-sei anni, coinvolge diverse istituzioni e alcuni personaggi noti a quel tempo. Inoltre presenta aspetti ancor oggi molto poco chiari: è difficile infatti stabilire, a più di cento anni di distanza dai fatti, a chi appartenga realmente il polittico, se alla parrocchia di Verderio Superiore, come generalmente si pensa, o alla Pinacoteca di Brera, come la ricerca documentale sembrerebbe indicare.
Dirò subito che la ricostruzione che mi accingo a presentare non giunge a risolvere questo enigma.
Essa si basa su due serie di documenti. La prima è conservata a Roma presso l'Archivio Centrale dello Stato, fra le carte del Ministero dell'Istruzione Pubblica, che all'epoca era competente anche per la salvaguardia dei beni culturali e comprendeva la Direzione Generale per le Antichità e le Belle Arti (4). La seconda serie è conservata invece a Milano, presso l'Archivio della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici, che ha sede a Brera (5).
Nel gennaio del 1898 il polittico era stato venduto dalla parrocchia di Pornassio a Pietro Mora, titolare a Milano, in società con i fratelli Giovanni e Luigi, di un negozio di antiquariato e di uno di "mobili artistici" prodotti in una loro fabbrica a Bergamo. Il negozio di antiquariato si trovava in via S. Paolo al n.10, nell'antico Palazzo Spinola, sede, allora come oggi, della Società del Giardino, uno dei principali circoli della città (6).
Il Mora acquistò l'opera a lire 2000, la trasportò a Milano, la ricompose e, probabilmente, effettuò dei lavori di restauro sulla struttura in legno (7).
Il 6 dicembre 1898 il direttore dell'Ufficio Regionale per la Conservazione dei Monumenti del Piemonte e della Liguria comunicò al Ministero dell'Istruzione Pubblica di essere venuto a conoscenza della vendita di quadri delle parrocchie di Pornassio e di Pieve di Teco (8).
Tali vendite erano state effettuate senza l'autorizzazione del governo, prevista dall'articolo 434 del Codice Civile, e senza quella della Corte d'Appello, richiesta dalle RR. Patenti del 19 maggio 1831, ancora in vigore in Piemonte e Liguria, autorizzazioni necessarie per l'alienazione dei propri beni da parte degli enti ecclesiastici (9).
Del quadro di Pornassio, la lettera dice chi è stato l'acquirente (Pietro Mora) e, dopo una breve descrizione, riporta testualmente la scritta in latino che stabilisce la data di realizzazione, attribuisce l'opera al Canavesio e attesta che essa era stata voluta dalla comunità di Pornassio per onorare la Vergine e S. Dalmazio (10).
Il direttore lamenta di non essere stato informato della vendita da parte del Regio Ispettore di Albenga, avvocato Lanusol, e comunica di averlo sollecitato a compilare le schede inventariali delle chiese del suo circondario, "perché non abbiano più a succedere inconvenienti di questo genere". In seguito dovrà correggersi, dopo che dal Ministero gli venne fatto presente che Pornassio non ricadeva nella zona di competenza dell'ispettore di Albenga, bensì di quello di Porto Maurizio (11).
Dopo la segnalazione, il Ministero dell'Istruzione Pubblica inviò un telegramma al Prefetto di Porto Maurizio, invitandolo ad "assumere ampie informazioni" e a "procurare possibilmente sequestro quadri" (12). Rivolgendosi poi al Ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti chiese che venissero denunciati all'autorità giudiziaria i parroci coinvolti (13).
La risposta del Prefetto arrivò poco più di un mese dopo, il 14 gennaio 1899.
La sua indagine  aveva permesso di conoscere i motivi che avevano spinto la Fabbriceria di Pornassio a disfarsi del dipinto. Secondo i fabbricieri la vendita era giustificata dalle sempre peggiori condizioni del quadro e dalla necessità di reperire denaro per urgenti lavori di manutenzione sui beni della parrocchia. Il Prefetto poté appurare che gran parte della somma riscossa era già stata impiegata per dotare la chiesa di un nuovo pavimento in marmo (lire 500), per tinteggiare (lire 470) e restaurare (lire 95,35) il locale Santuario della Madonna della Chiazza e per acquistare alcuni mobili (lire 570). L'avanzo (lire 364,65) era stato depositato su un conto bancario.
La chiesa di Pornassio


A sostegno del proprio operato i fabbricieri addussero il consenso quasi totale della popolazione e l'autorizzazione del Vescovo di Albenga (14). Egli, interpellato, confermò di aver espresso parere favorevole all'operazione e scrisse, a giustificazione propria e della Fabbriceria, che quest'ultima "non credeva esser proprietaria di un oggetto artistico" e che se Lui l'avesse sospettato, al "nihil obstat" pronunciato avrebbe "aggiunto una parola per ricordare l'obbligo di prendere le dovute licenze dalle competenti autorità" (15).
Anche la giunta comunale dichiarò di essere stata a conoscenza della vendita e di averla approvata in quanto "il quadro...montato in legno, andava in deperimento perché vecchio e tarlato, ed era di poco ornamento alla chiesa" (16).
Intanto, già dal 15 dicembre 1898, la questura di Milano aveva rintracciato presso il Mora il dipinto e l'aveva posto sotto sequestro. L'ufficiale incaricato, la guardia di città Giovanni Castioni, per le sue dimensioni, per il cattivo stato di conservazione e per non aver ricevuto le necessarie istruzioni, si trovò costretto, a suo dire, a lasciare in deposito il bene sequestrato presso l'antiquario, al quale furono spiegate le gravi responsabilità penali in cui sarebbe incorso se "avesse a trafugarlo o a muoverlo dal luogo dove si trova sotto qualsiasi pretesto".
In quell' occasione il Mora dichiarò di essere stato certo di aver agito nel pieno rispetto della legalità e mostrò, a sostegno della sua buona fede, i documenti con le autorizzazioni ricevuti dalle autorità parrocchiali di Pornassio (17).
A sequestro avvenuto i due ministeri interessati dovettero decidere in merito a due importanti questioni: se procedere legalmente contro i soggetti coinvolti nell'affare e se far tornare la pala a Pornassio o destinarla ad altro luogo. Su entrambi i problemi le posizioni dei dicasteri furono divergenti.
Il Ministero dell'Istruzione Pubblica, non potendo intervenire direttamente, si appellò a quello di Grazia e Giustizia affinché procedesse contro i responsabili in base all'articolo 434 del Codice Civile. Due i motivi a sostegno di questa posizione. Primo, il pericolo che l'indulgenza potesse incoraggiare la cupidigia degli speculatori, sempre pronti ad approfittare dell'ignoranza in cose d'arte dei fabbricieri e dei sacerdoti. Secondo, la necessità di rispondere all'atteggiamento ostile del clero piemontese nei confronti del governo, comportamento che "paralizza tutte le buone intenzioni di questo Ministero per tutelare il patrimonio artistico delle chiese". Un esempio? L'opposizione di parroci e fabbricieri alla catalogazione degli oggetti d'arte delle parrocchie (18).
Di diverso avviso il Ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti che, sentito il parere del Procuratore Generale della Corte d'Appello di Genova, riteneva di non dover procedere perché la vendita "avvenne nella massima buona fede e nell'ignoranza di tali prescrizioni legislative, con l'assenso dei fedeli e della Giunta Municipale e con l'approvazione dell'autorità ecclesiastica". Sui fabbricieri affermava inoltre: "trattasi di persone probe, che prestano opera disinteressata per la chiesa, e che sono anch'esse rimaste dolenti della contravvenzione alla legge" (19).
La replica non si fece attendere. Il Ministero dell' Istruzione Pubblica ribatté che il consueto atteggiamento permissivo dei Procuratori Generali (citava quelli di Venezia e Torino), tendente a riconoscere sempre la buona fede, il disinteressato impegno etc. e ad assolvere i responsabili, non avrebbe avuto più ragione d'essere, dopo un pronunciamento della Corte di Cassazione che aveva annullato una sentenza del Tribunale di Camerino affermando che "la buona fede non è ammissibile" (20).
La controreplica non fu immediata. Essa appariva, nella forma, aperta al dialogo, affermando che il Ministero non avrebbe mancato in futuro di tener presenti gli argomenti espressi dall'Istruzione Pubblica. Era secca però nella sostanza: "questo Ministero persiste nel ritenere che non sia il caso di promuovere un giudizio contro i singoli componenti la Fabbriceria di Pornassio..." (21).
Anche sulla destinazione del bene sequestrato le opinioni non furono concordi. 
Il Ministero dell'Istruzione Pubblica indicò, e in seguito ribadì, che la miglior soluzione sarebbe stata quella di far tornare il polittico alla sua sede naturale, la chiesa di Pornassio. Interessanti e, a mio avviso, molto avanzate le motivazioni, che meritano di essere trascritte: "Non posso poi ammettere, per regola generale, che le chiese si spoglino dei loro dipinti famosi neppure al fin di venderli allo Stato; perché un dipinto, levato dal luogo originario e dalle condizioni di luce in cui volle farlo apparire il suo autore, ha già perduto una parte del suo pregio" (22).
Ebbe la meglio però, ancora una volta, l'altro dicastero che, constatato che la Fabbriceria non era più in grado di riscattare il bene venduto, propose di destinarlo ad un museo o altro ente simile. In seguito, dopo aver verificato l'inesistenza nel territorio di istituzioni idonee, indicò come possibile acquirente la Regia Pinacoteca di Brera a Milano (23).
A questo punto, la Pubblica Istruzione, che non rinuncerà comunque, in vari altri momenti della vicenda, a ribadire le proprie posizioni, si piegò alle proposte del Ministero di Grazia e Giustizia.
Prima di rivolgersi, come indicatogli, alla pinacoteca milanese fece però un tentativo con quella torinese, sembrandogli probabilmente più idonea per via delle origini piemontesi del Canavesio. Nella lettera, dopo aver riassunto i fatti e aver fornito notizie del dipinto e prima di proporre di far visita al Mora per valutare l'opportunità dell'acquisto, il ministero non mancò di aggiungere nuovi e interessanti argomenti a sostegno della sua preferenza per la restituzione del bene alla comunità di Pornassio: "Non è bello, certamente, che una chiesa, per sopperire alla manutenzione del fabbricato, venda un oggetto d'arte il quale, oltreché essere la sua più bella decorazione, era un testimonio della pietà degli avi, un voto sacro collocato in quella chiesa con evidente assegnazione di perpetuità" (24).
Il polittico era già stato offerto alla Pinacoteca di Torino dalla stesso Mora. Nessuna trattativa era però stata intavolata poiché la galleria possedeva già un'opera simile dello stesso autore (25). Anche la proposta dell'Istruzione Pubblica non fu accolta con la motivazione che l'acquisto "non arricchirebbe la quadreria di nuovi elementi". Il diniego fu accompagnato dal consiglio di rivolgersi a Pinerolo, luogo natale dell'artista, o a Genova, città dove egli godeva di grande considerazione (26).
Il Ministero si rivolse invece alla R. Pinacoteca di Brera con una lettera molto simile alla precedente, datata 14 settembre 1899 (27). La risposta, del 21 ottobre, è positiva e porta la firma del direttore, Corrado Ricci: "..l'ho trovato interessante pel suo complesso di molte parti con numerose figure; pel ricco scompartimento dorato e per la firma autentica del pittore. .... Questa Pinacoteca può benissimo acquistarlo al prezzo convenientissimo di lire 2000" (28).
A questo punto la vicenda appare ormai definita e per la conclusione vera e propria sembra mancare solo il nulla osta alla vendita da parte della Corte d'Appello di Genova. Questo documento si fece attendere, al punto che nel mese di giugno del 1900, sette mesi dopo aver espresso il suo assenso, Ricci chiese al Ministero a che punto fossero le pratiche (29). Solo il 16 agosto la Fabbriceria di Pornassio comunicherà a Brera di essere stata autorizzata alla vendita da un decreto della Corte d'Appello del capoluogo ligure, emanato il 31 luglio 1900 (30).
Nei mesi precedenti, forse sollecitata dal Mora, la Fabbriceria si era fatta viva con la galleria milanese, per far notare che le 2000 lire concordate non tenevano conto del fatto che l'antiquario aveva sostenuto spese per il trasporto a Milano e che avrebbe potuto inoltre pretendere gli interessi, avendo impegnato quella somma già da due anni (31). Brera rispose di essere stata autorizzata a spendere 2000 lire "non un centesimo più o meno" (32).
Il 28 agosto, la data è importante, la Pinacoteca comunicò a Pietro Mora che il giorno 30, alle ore 10, i fratelli Annoni, ebanisti, si sarebbero recati da lui per avere in consegna la pala di Giovanni Canavesio (33).
Mentre i fatti sembrano svolgersi in modo lineare, sotto la superficie i Mora brigano per non perdere il profitto, per realizzare il quale avevano acquistato il dipinto. Incuranti della sentenza del giudice e delle prescrizioni del questore, pensavano forse che, di fronte al fatto compiuto di una vendita, purché non destinata all'estero, le autorità avrebbero alla fine chiuso un occhio e lasciato fare.

Francesco Gnecchi Ruscone

La chiesa dei santi Giuseppe e Floriano di Verderio Superiore in una foto del 1902

L'occasione si presentò loro con i fratelli Gnecchi Ruscone che a Verderio Superiore, dove erano di gran lunga i principali possidenti di case e terreni, stavano costruendo la nuova chiesa parrocchiale, voluta e finanziata dalla loro mamma, Giuseppina Turati, deceduta il 18 luglio 1899, quando i lavori erano già iniziati da poco meno di un anno (34).
Per il nuovo edificio, disegnato dal nobile Fausto Bagatti Valsecchi (35), gli Gnecchi avevano pensato di trovare alcuni arredi autentici del quattrocento. Perciò si erano rivolti ai Mora: in uno scritto, senza data, né destinazione, né firma, gli antiquari affermavano di dover fornire per la nuova chiesa di Verderio "...un coro originale dell'epoca, un Cristo sopra la navata pure antico e molte altre cose. Così si avrà un complesso tutto antico autentico" Nello stesso testo scrivevano inoltre che il quadro del Canavesio "fu venduto al cav. Francesco Gnecchi" (36) il quale "ne fa regalo alla Chiesa Parrocchiale di Verderio Superiore [...] quindi non esce dallo stato" (37).
I Mora avevano trovato gli acquirenti per un'opera posta sotto sequestro e della quale non erano proprietari!
L'accordo per la vendita era stato stipulato nei primi mesi del 1900. Adducendo ritardi del Ministero per il rilascio dei permessi (38) e prendendo a pretesto anche lo stato di avanzamento dei lavori della chiesa (39), i Mora ad agosto non avevano ancora consegnato il polittico. Il 29 agosto, il giorno prima che Brera ritirasse il dipinto, Francesco Gnecchi scrisse al Ministro dell'Istruzione Pubblica, onorevole Gallo, per sollecitare la chiusura della pratica: la lettera parlava di un trittico proveniente dalla chiesa di Oneglia, in Liguria, e non faceva alcun cenno all'autore. Evidentemente, oltre a non essere stato messo al corrente della situazione giudiziaria dell'opera d'arte che si accingeva a comprare, era stato tenuto all'oscuro anche della sua esatta provenienza (40).

Il Ministero, allarmato da una vendita da parte della parrocchia di Oneglia, di cui non era stato messo a conoscenza, si rivolse subito all'ufficio piemontese per la Conservazione dei Monumenti affinché indagasse (41). Negli stessi giorni però ricevette una lettera dai fratelli Mora, un capolavoro dell'arte della persuasione commerciale che merita di essere ampiamente trascritta, che svelava che il quadro in questione non era altro che il polittico proveniente da Pornassio.
La lettera, praticamente un'arringa contro il direttore di Brera, iniziava dicendo che la loro ditta, "Casa di artisti che vive serenamente dell'arte...", aveva venduto il dipinto di Canavesio al Cav. Gnecchi Francesco per la chiesa di Verderio. Poi continuava: "Il direttore della Pinacoteca di Brera s'è fissato di averlo e non vede nella sua buona fede di raccoglitore, che questo quadro sarà più utile a far da Re nella erigenda chiesa monumentale [...] che da ultimo dei servi in Brera. Osteggiare l'opera grandiosa regale del Cav. Gnecchi e rendere priva anche l'istruzione pubblica della riuscita di un monumento che avrà il carattere nazionale e che posto in un centro popoloso laborioso alle porte di Milano - Como - Lecco e Bergamo, dove gli studiosi di ogni arte potranno studiare anche l'effetto pittorico e generale, ci pare cocciuta ed odiosa non perdonabile nemmeno al maniaco che gli basta raccogliere bene o male purché agglomeri" (42).
Infine, dopo aver affermato che il direttore di Brera avrebbe fatto meglio ad utilizzare le 2000 lire per trattenere in Italia qualcuna di quelle opere per le quali invece firmava il nulla osta all'espatrio, i Mora invitavano il Ministero a far sì che Brera "soppraseda alle sue determinazioni". Nessun accenno al fatto che l'opera fosse sotto sequestro.
La lettera, indirizzata all'ente più tenacemente contrario alle vendite di opere ecclesiastiche, non sortì naturalmente effetto. Non c'è fra i documenti una risposta ma, di fatto, i Mora escono, almeno per il momento, di scena.
Non si ritirarono invece gli Gnecchi, che continuarono la trattativa direttamente con la pinacoteca. Per raggiungere l'obiettivo si fecero appoggiare da alcune loro conoscenze politiche: l'onorevole Enrico Panzacchi, il Marchese Emilio Visconti Venosta e l'onorevole Giulio Prinetti (43).
Con una serie di telegrammi, scambiati fra il Ministero dell'Istruzione Pubblica e la Pinacoteca di Brera tra l'11 e il 15 ottobre 1900, si arrivò ad una conclusione favorevole alla famiglia e, di conseguenza, alla parrocchia di Verderio.
L'11 ottobre Corrado Ricci informò il ministero che l'ancona del Canavesio era richiesta dalla famiglia Gnecchi e quindi lui chiedeva "schiarimenti codesto Ministero avendomi S.E. On. Panzacchi raccomandato cessione" (44).
Il Ministero rispose, il 12 ottobre, chiedendo se lui avesse gravi obiezioni verso questa cessione "che viene molto raccomandata" (45).
Precisa la posizione che Ricci espresse, rispondendo, lo stesso giorno: dichiarò che non si sarebbe opposto alla cessione dell'opera a patto che Gnecchi si impegnasse a non trasferirla né a venderla, pena il sequestro a favore di Brera (46).
Condizioni fatte proprie dal ministero che il 15 ottobre rispose e concluse: "Dopo parere Vossignoria autorizzo cedere ancona Canavesio per chiesa Verderio previo pagamento dal sig. Gnecchi di lire duemila e previo atto autentico col quale Gnecchi medesimo per sé e suoi successori prenda impegno destinarla soltanto detta Chiesa sotto pena sequestro a favore Pinacoteca Brera se detta ancona fosse quando che sia rimossa dal luogo ove fu destinata. Attendo comunicazione atti. Ministro Gallo" (47).
La documentazione conservata dall'Archivio Centrale dello Stato si interrompe definitivamente nell'ottobre del 1900 (48); nello stesso mese cessa, ma solo temporaneamente, anche quella della Pinacoteca: riprenderà, con gli ultimi sei pezzi, fra l'ottobre e il novembre del 1903.
Si apprende da questi ultimi documenti che nell'autunno del 1903 l'atto formale richiesto da Pinacoteca e Ministero per acconsentire all'accordo con gli Gnecchi non era stato ancora sottoscritto e neppure redatto. Si viene a sapere anche che i Mora avevano intentato causa contro i fratelli Gnecchi per ottenere il rimborso delle spese sostenute per trasportare il polittico da Pornassio a Milano. Proprio per difendere in tribunale le ragioni degli Gnecchi contro i Mora l'avvocato dei primi, Giovanni Tacconi, sollecitò a più riprese la conclusione dell'atto e insistette affinché questo fosse preceduto da un'ampia ricostruzione di come si era svolta tutta la faccenda, dalla vendita illegale al sequestro e così via (49).La Regia Avvocatura Erariale di Milano ebbe il compito di stendere il testo. Nel redigerlo si preoccupò soprattutto di evitare il coinvolgimento di Brera nella vertenza Gnecchi - Mora:

MINUTA DI ATTO

Hanno dichiarato e convenuto quanto segue: Ratificato ed approvato in ogni parte le premesse normative. Il comm. Francesco Gnecchi dichiara di aver prima d'ora ricevuto la tavola della Vergine con diversi santi dipinta da Giovanni Canavesio .....alta.....larga.....all'unico scopo che venisse posta nella nuova chiesa Parrocchiale di Verderio (prov. di Como) dove essa fu anche collocata, e tuttora si trova come pala d'altare.
Lo stesso comm. Gnecchi riconosce che la proprietà di quella tavola, vincolata però all'uso perpetuo della chiesa Parrocchiale di Verderio, spetta alla Pinacoteca di Brera e solo nel caso in cui tale uso a favore della chiesa di Verderio avesse per qualsiasi ragione a cessare, sarà nel diritto della Pinacoteca di riavere la tavola senza obbligo di pagamento alcuno.
Rimane perciò escluso qualsiasi uso della tavola all'infuori di quello sopraindicato, e proibito l'asporto della medesima dalla chiesa, obbligandosi il sig. comm. Gnecchi anche per i propri eredi e successori a non disporre in modo diverso, e qualora intendesse di toglierla dalla chiesa, non potrà eseguire tale asporto se non per farne immediata consegna alla pinacoteca, escluso qualsiasi diritto in lui di rimborso delle spese fatte per avere la tavola.
Il parroco di Verderio D. Luigi Galbiati interviene al presente atto per dichiararsi notiziato di quanto sopra e per obbligarsi a darne notizia alle superiori autorità in modo che anche i successori suoi ne siano edotti.

La lettera con cui questa bozza veniva presentata, del novembre del 1903, terminava con le seguenti indicazioni: "Tale convenzione dovrà essere tradotta in forma legale o per atto pubblico notarile o per scrittura privata con autenticazione della firma da parte di un notaio" (50). Il 30 gennaio 1904 l'avvocato Tacconi scrisse alla Fabbriceria di Verderio Superiore per comunicare l'invio di un atto con firma autenticata dei signori Gnecchi, che doveva essere sottoscritta anche dai fabbricieri, per poi essere sottoposta a un notaio. Anche se nel testo non si fa esplicito riferimento alla pala del Canavesio, per la data e il contesto, di essa si dovrebbe trattare (51).

Da questa lettera e da una successiva che il Tacconi scrisse al segretario di Brera, signor Viganò, sembra di capire che il contenuto della convenzione sia stato accettato dai signori Gnecchi. Però, alla data di quest'ultimo documento, 20 marzo 1904, l'atto non era ancora stato sottoscritto e Tacconi terminava quindi con queste considerazioni: "Non pare anche a Lei che la posizione attuale anche della Pinacoteca sia poco regolare? Che occorra stabilire i rapporti fra le parti interessate?" (52).
Non so se in seguito l'atto formale previsto dagli accordi sia stato o no firmato, non essendo riuscito a rintracciarlo: né presso la Pinacoteca, né presso la parrocchia, né presso la famiglia Gnecchi. La ricerca è stata condotta anche negli Archivi Notarili di Milano, dove ho scorso i registri dei notai che hanno operato in città fra il 1904 e il 1906, e di Como, dove, per le più restrittive condizioni di accesso, ho potuto verificare, non di persona, quelli dei notai che sapevo aver collaborato con gli Gnecchi in quegli anni. Un successivo tentativo è stato fatto presso l'Archivio Arcivescovile e l'ufficio economico dell'Arcivescovado, senza trovare nulla.
Sono tuttavia convinto che il documento sia stato sottoscritto e quindi, in qualche luogo, per ora sconosciuto, ci sia. Non sarebbe infatti plausibile che ai signori Gnecchi fosse stato permesso ciò che ai Mora era stato proibito: l'acquisto di un’opera d'arte sacra di una chiesa, per destinarla ad una chiesa diversa. È impensabile, a mio avviso, che una faccenda che aveva coinvolto due Ministeri, una Corte d'Appello, un paio di Soprintendenze e qualche altro ente alla fine si sia sgonfiata al solo cambio di uno dei soggetti coinvolti, il compratore. Per questo ritengo, ripeto, che una convenzione, magari non quella corrispondente alla bozza predisposta dalla Regia Avvocatura, sia alla fine stata sottoscritta, anche se in seguito se ne è persa traccia e memoria.
Non resta che tornare alla bozza di convenzione predisposta dall'Avvocatura Erariale e su di essa fare qualche considerazione. Nel testo, per la prima volta, si parla esplicitamente della proprietà del bene, per assegnarla alla Pinacoteca di Brera: "Lo stesso comm. Gnecchi riconosce che la proprietà di quella tavola, vincolata però all'uso perpetuo della chiesa Parrocchiale di Verderio, spetta alla Pinacoteca di Brera".
Un'importante conferma di ciò si trova nella relazione che seguì alla visita pastorale del Cardinale Carlo Andrea Ferrari, avvenuta nel 1905: parlando dell'opera del Canavesio si dice: "...è stata comperata a buoni contanti dalla benemerita famiglia Gnecchi che l'ha qui depositata e starà sempre qui, ma la vera proprietà è dell'Istituto artistico di Brera in Milano"  (53).
Un ulteriore indizio, che sembra confermare che per un certo periodo di tempo dopo la collocazione a Verderio della pala si era ancora a conoscenza dell'esatto svolgimento dei fatti, e che avvalora l'ipotesi che essa appartenga a Brera, mi pare si possa individuare in un brano contenuto nel "Liber Cronicus": nell'ottobre del 1905 uno studioso dell'Università di Zurigo, il professor Siegfried Weber, interessato allo studio della pala, dalla parrocchia di Pornassio dove si era recato per osservarla, fu indirizzato alla Pinacoteca di Brera, dove gli dissero che l'opera era "depositata a Verderio" (54).
Tuttavia il polittico di Verderio non compare in nessuno dei 9 volumi di "Pinacoteca di Brera", catalogo dei beni posseduti dall'istituto milanese, comprendente anche i beni depositati altrove, presso enti e chiese (55).

La chiesa di Verderio oggi e, sotto, la navata centrale con la pala sullo sfondo




NOTE
Abbreviazioni:
ACS: Archivio Centrale dello Stato

APVS: Archivio Parrocchiale Verderio Superiore
ASdS Milano: Archivio Storico della Soprintendenza per i Beni Storici ed Artistici di Milano MGGeC: Ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti
MIP: Ministero dell' Istruzione Pubblica
RPB: Regia Pinacoteca di Brera
Uff. Reg. Piemonte: Ufficio Regionale per la Conservazione dei Monumenti del Piemonte e della Liguria

NOTE

(1) Marco Bartesaghi, 1896 - 1902: il progetto, la realizzazione e la storia della nuova chiesa, in Autori Vari, Verderio, la chiesa parrocchiale dei Santi Giuseppe e Floriano 1902 - 2002, Verderio Superiore, 2002.
(2) Elisabetta Parente, Il polittico con Madonna e Santi di Giovanni Canavesio nella chiesa di Verderio Superiore,   in Archivi di Lecco, anno XV, n. 2, aprile - giugno1992.
(3) Luca Beltrami, La nuova chiesa di Verderio Superiore, Milano, 1902.
(4) Archivio Centrale dello Stato (ACS), Titolo fondo/ Serie AA BB, Div. XII , 1888 - 1907, numero busta 293 "Ministero dell'Istruzione Pubblica" - 4 - Portomaurizio - 1898, Quadri venduti dalle parrocchie di Pornassio e di Pieve di Teco.
(5) Archivio Storico della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Milano (ASdS Milano) - Archivio Antico, parte seconda "Cambi, cessioni, restituzioni e prestiti" (cassette 11 e 12), 206 ANCONA DEL CANAVESIO, 1900 -1903, classificazione 4, segnatura 11/13.
(6) Il negozio di mobili artistici si trovava in via Vittorio Emanuele, a poche decine di metri da quello di antiquariato (cfr Guida Savallo, Milano, 1898).
(7) Un riferimento ai lavori effettuati dai Mora sulla struttura in legno si trova in "L'Eco di Bergamo", 29 - 30 ottobre 1902. In un articolo intitolato "La nuova chiesa parrocchiale di Verderio Superiore" riguardo alla  pala si dice: "Con soddisfazione abbiamo notato come la corniciatura fosse completata egregiamente in Bergamo, nel laboratorio dei signori fratelli Mora".
(8) ACS, lettera, dall'Ufficio Regionale per la Conservazione dei Monumenti del Piemonte e della Liguria (Uff. Reg. Piemonte) al Ministero dell'Istruzione Pubblica (MIP), Direzione Generale per le Antichità e le Belle Arti, 6 dicembre 1898. Dalla parrocchia di Pieve di Teco, secondo l'Uff. Reg. Piemonte, erano stati venduti due quadri: uno, di forma semicircolare, del XVII secolo, rappresentava un presepio; l'altro, una tavola del XV secolo raffigurante la Madonna, era stato da tempo trasformato in tavolino mediante l'apposizione di quattro gambe. Del primo si seppe in seguito che non era stato mai venduto ma solo spostato all'interno della chiesa. Il secondo, venduto circa un anno prima al prezzo di 60 lire, fu in seguito riacquistato e ricollocato al suo posto (crf. ACS, lettera da Prefettura di Porto Maurizio a MIP, 14 gennaio 1899).
(9) L'articolo n. 434 del Codice Civile, in vigore nel 1898, recitava: "I beni degli istituiti ecclesiastici sono soggetti alla legge civile e non si possono alienare senza l'autorizzazione del governo".
(10) La scritta in latino è la seguente: ANNO - DNI - MCCCCLXXXXVIIIJ + DIE - VIGESIMA - MENSIS - MARTII + AD - HONOREM - DEI - ET - GLORIOSAE - VIRGINIS  - MARIAE - AC - SANCTI - DALMATII + COMUNITAS - PORNAXI - FIERI - FECIT - HOC - OPUS + REGENTE - DNO - PRESB. - LAZARO - BONANATO - RECTORE - DICTI - LOCI. (trascrizione di Elisabetta Parente, vedi nota 2). Nella lettera dell'Uff. Reg. Piemonte (vedi nota 8) la data trascritta è però 1490 e non 1499 come nella realtà: questo errore si trascinerà per tutta la documentazione che stiamo esaminando.

(11) ACS , minuta di lettera, da MIP a Uff. Reg. Piemonte, 14 dicembre 1898; lettera da Uff. Reg. Piemonte a MIP, 2 gennaio 1899.
(12) ACS, minuta di telegramma di stato, da MIP a Prefetto di Porto Maurizio, 9 dicembre 1898.
(13) ACS, minuta di lettera, da MIP a Ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti (MGGeC), 14 dicembre1898.
(14) ACS, lettera da Prefettura di Porto Maurizio a MIP, 14 gennaio 1899.
(15) ACS, lettera, da Vescovo di Albenga a Prefetto di Porto Maurizio, 8 gennaio 1899.
(16) ACS, Certificato rilasciato a Pornassio dalla Giunta  Municipale alla Fabbriceria della parrocchia, 14 febbraio 1899.
(17) ACS, verbale di sequestro, Regia Questura di Milano, sez. II, via Spiga 81, 15 dicembre 1898. Il documento porta le firme di Pietro Mora, Giovanni Castione, guardia, e Lodovico de Cesare, delegato di P.S.
(18) ACS, minuta di lettera, da MIP a MGGeC, 23 gennaio 1899.
(19) ACS, lettera, da MGGeC a MIP, 11 aprile 1899.
(20) ACS, due minute di lettere, da MIP a MGGeC, 19 e 26 aprile 1899.
(21) ACS, lettera, da MGGeC a MIP, 18 agosto 1899.
(22) ACS, due minute di lettere, da MIP a MGGeC, 19 e 26 aprile 1899.
(23) ACS, lettera, da MGGeC a MIP, 18 agosto 1899.
(24) ACS, minuta di lettera, da MIP a Direttore Pinacoteca di Torino, 28 agosto 1899.
(25) La Galleria Sabauda di Torino possiede un polittico dipinto da Giovanni Canavesio nel 1491. Composto da 16 scomparti ha, al centro, una Madonna in trono con il Bambino. L'opera proviene probabilmente dalla chiesa di Notre Dame des Fontaines di Briga. Cfr Mario Marchiando Pacchiola (a cura di ), Sulle orme di Giovanni Canavesio (sec.XV), Pinerolo, 1990.
(26) ACS, lettera, da Regia Pinacoteca di Torino a MIP, 31 agosto 1899.
(27) ACS , minuta di lettera, e ASdS Milano, lettera, da MIP a Regia Pinacoteca di Brera (RPB), 14 settembre 1899.
(28) ACS e ASdS Milano, lettera da RPB a MIP, 21 ottobre 1899. Corrado Ricci (Ravenna 1858 - Roma 1934), scrittore e critico d'arte. Fu direttore della Pinacoteca di Brera e di quella di Firenze. Dal 1906 al 1919 fu direttore generale delle Antichità e Belle Arti di Roma.
(29) ACS e ASdS Milano, lettera da RPB a MIP, 29 giugno 1900.
(30) ASdS Milano, lettera, da Fabbriceria di Pornassio a RPB, 16 agosto 1900.
(31) ASdS Milano, lettera, da Fabbriceria di Pornassio a RPB, 16 febbraio 1900.
(32) ASdS Milano, lettera da RPB a Fabbriceria di Pornassio, 14 marzo 1900.
(33) ASdS Milano, lettera da RPB a Pietro Mora, 28 agosto 1900. I fratelli Annoni compaiono alle voci "Ebanisti e stipettisti" e "mobili: fabbricanti e negozianti" della Guida Savallo di Milano del 1898. Il loro indirizzo era via S. Ambrogio 61.
(34) La famiglia Gnecchi era presente a Verderio dal 1842, quando i fratelli Giuseppe e Carlo ereditarono da uno zio materno, Giacomo Ruscone, i beni che questi possedeva in paese. Giuseppina Turati (Busto Arsizio 1826 - Verderio 1899), moglie di Giuseppe Gnecchi Ruscone (Milano 1817 - 1893) aveva maturato , tra il 1897 e il 1898, l'intenzione di donare a Verderio Superiore una nuova chiesa, in sostituzione della vecchia, ormai inadeguata alle esigenze del paese. Dedicando la chiesa oltreché al patrono, S. Floriano, anche a S. Giuseppe, ella volle rendere omaggio al defunto marito (cfr. Autori vari, Verderio, la chiesa parrocchiale... cit).
(35) Al nobile Fausto Bagatti Valsecchi ( Milano1843-1914), amico della famiglia Gnecchi, si deveil disegno della chiesa parrocchiale mentre il progetto vero e proprio fu realizzato dall'ingegner Enrico Combi  (Milano 1832 - 1906).
(36) Francesco Gnecchi Ruscone (Milano 1847 - Roma 1919) era il figlio maggiore di Giuseppe e Giuseppina Turati. Noto come numismatico e pittore, fu sindaco di Verderio dal 1893 al 1919. Su di lui si può consultare: N. Parise, GNECCHI RUSCONE, Francesco, Dizionario Biografico degli Italiani (http://www.treccani.it/Portale/ricerche/searchBiografie.html).
Notizie anche in Marco Bartesaghi (a cura di) Da Verderio a Cisano, note di un antiquario: autore Francesco Gnecchi Ruscone, 1882, Archivi di Lecco, anno XXIV, n. 4, ottobre -  dicembre 2001.
All'edificazione della chiesa contribuirono anche i fratelli di Francesco: Ercole, Amalia, Carolina, Antonio ed Erminia.
(37) ACS, lettera, da F.lli Mora a MIP, senza data.
(38) Ne parla Francesco Gnecchi nella lettera al Ministro Gallo citata nel testo qualche riga più avanti.
(39) Archivio Parrocchiale di Verderio Superiore (APVS), lettera, da F.lli Mora a parrocchia di Verderio Superiore, 18 luglio 1900, Titolo VI (chiesa e luoghi sacri),cl.1,parrocchia, cart. 1, fasc.2/1.Nella lettera i Mora chiedono un atto scritto che attesti l'avvenuta compravendita di un quadro, non ancora consegnato per le condizioni edilizie della chiesa.
(40) ACS, lettera da Francesco Gnecchi a Ministro dell'Istruzione Pubblica, 28 agosto 1900. Nicolò Gallo (Agrigento 1849 - Roma 1907), avvocato e letterato, fu eletto per la prima volta in Parlamento nella XVI legislatura, come esponente della sinistra storica. Ministro dell'Istruzione Pubblica nei governi Rudini dal dicembre 1897 al giugno 1898, e Saracco, dal giugno 1900 al febbraio 1901, fu in seguito Presidente della Camera e ministro di Grazia e Giustizia.
(41) ACS, minuta di lettera, da MIP a Uff. Reg. Piemonte, 9 settembre 1900.
(42) ACS, lettera, da F.lli Mora a MIP, 29 agosto 1900.
(43) Enrico Panzacchi (Ozzano dell'Emilia 1840 - Bologna 1904), poeta e narratore, fu docente di storia dell'arte all'Università di Bologna. Eletto deputato ricoprì la carica di sottosegretario all'Istruzione Pubblica. Emilio Visconti Venosta (Milano 1829 - Roma 1914), fra i partecipanti alle 5 Giornate di Milano, fu in seguito perseguitato dal governo austriaco e costretto ad espatriare in Piemonte. Eletto deputato nel 1860 e Senatore del Regno dal 1886, tra il 1863 e il 1901 ricoprì la carica di Ministro degli Esteri in diversi governi. Giulio Prinetti (Milano 1848 - Roma 1908), ingegnere e industriale, fu eletto in Parlamento nel collegio di Lecco nel 1882 e restò deputato fino alla morte. Fu Ministro dei Lavori Pubblici nel governo Rudini, dal luglio 1896 al dicembre 1897, e Ministro degli esteri nel governo Zanardelli, dal febbraio 1901 al febbraio 1903.
(44) ACS e ASdS Milano, telegramma, da Corrado Ricci a MIP, 11 ottobre 1900.
(45) ACS e ASdS Milano, telegramma, da MIP a Corrado Ricci, 12 ottobre 1900.
(46) ACS e ASdS Milano, telegramma, da Corrado Ricci a MIP, 12 ottobre 1900. Sul telegramma conservato in ACS c'è la seguente annotazione a penna: "Sta bene. G - È il quadro del quale si sono occupati S.E. il M.se Visconti Venosta e S.E. Panzacchi".
(47) ACS, minuta di telegramma di stato, Da Ministro Gallo a Corrado Ricci, 15 ottobre 1900.
(48) L'ultimo documento conservato in ACS è una minuta di lettera inviata, il 29 ottobre 1900, da MIP a destinatario ignoto. In essa lo scrivente fa sapere che l'on. Prinetti è stato informato della cessione  "al cav. Gnecchi" della pala di Canavesio e delle condizioni dell'accordo.
(49) ASdS Milano, lettera, da avv. Giovanni Tacconi a signor Viganò, segretario RPB, 4 novembre 1903.
(50) ASdS Milano, lettera: "Oggetto Convenzione Gnecchi (Allegato n.4)", da R. Avvocatura Erariale a RPB, novembre. Alla lettera è allegato il foglio intitolato : "MINUTA DI ATTO", trascritto nel presente testo.
(51) Archivio Parrocchiale Verderio Superiore (APVS), Titolo X, Fabbriceria, Cart.6, Fasc. II, Atti: lettera, da avv. Giovanni Tacconi a Fabbriceria, 30 gennaio 1904.
(52) ASdS Milano, lettera, da avv. Giovanni Tacconi a signor Viganò, segretario RPB, 20 marzo 1904.
(53) APVS, Titolo II, Arcivescovo, Cl.1, Visite Pastorali, Cart.1, Fasc. 6/1.
(54) APVS, Liber Cronicus 1897/1913, ottobre 1905. Il libro che di Siegfried Weber scrisse nel 1911, intitolato "Die Bregunder der Piemonteser Malerschule im XV und zu Begin des XVI Fahrhunderst",  risulta essere la prima analisi puntuale dell'opera di Canavesio (cfr. Elisabetta Parente, Il polittico con Madonna e Santi... cit. pag. 232).
(55) Pinacoteca di Brera, 9 volumi, direttore scientifico Federico Zeri, collana Musei e Gallerie di Milano, Milano.


Marco Bartesaghi


Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista Archivi di Lecco, n.2, anno XXXII, aprile-giugno, 2009

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