lunedì 16 giugno 2014

Il paesaggio rurale della vecchia Brianza. Verderio tra luci ed ombre

Un osservatore attento, oggi, che intenda prendersi la briga di percorrere la Brianza in lungo e in largo, con la dovuta calma e la necessaria attenzione, magari in sella ad una bicicletta o per alcuni tratti a piedi, non potrà non notare lo stato di abbandono in cui versano centinaia e centinaia di edifici rurali, cascine e case contadine in primis.
 

Verderio, ciò che resta della cascina Fornacetta (cliccare sulle foto per ingrandirle)

Intanto, cosa intendiamo quando parliamo di Brianza? Quali territori e quanti comuni racchiude in sé? Quali sono i suoi confini, ammesso che possano essere identificati e tracciati? Le risposte non sono così semplici e scontate. Vi sono opinioni, seppur espresse da illustri studiosi e storici appassionati, che divergono tra loro. I pareri discordi vertono su basi tremendamente concrete, su studi storici che risalgono addirittura alla metà del Quattrocento. In buona sostanza gli studiosi si dividono su due possibilità: quelli che ritengono si debbano considerare confini più ristretti e quelli che, invece, pensano ad una Brianza più ampia.

Brianza, carta topografica dello Stato di Milano (1777)

Nel 1856, nel Saggio d’osservazioni sul dialetto brianzuolo, suddialetto del milanese, Francesco Cherubini, autore del Vocabolario milanese-italiano, scrive che “…si considera Brianza tutto quel delizioso paese che è conterminato dal fiume Lambro a ouest e dall’Adda all’est, dal torrente Ravella e dalla Vallemadrera a nord, e da quella Via postale che da Canonica di Lambro mette a Vimercato e da questo borgo a Imbersago e Brivio lungo l’Adda”.

Per quanto attiene invece la nozione di Brianza più ampia, citando don Rinaldo Beretta, Massimo Pirovano, direttore del Museo Etnografico dell’Alta Brianza di Galbiate (vedasi, a tale riguardo, il post pubblicato il 2 novembre 2013)(1), scrive che la “Brianza storica” cominciò ad essere identificata attraverso una serie di esenzioni fiscali o di privilegi che vennero concessi dai Visconti e dagli Sforza ad alcune pievi ed a famiglie della zona, per via della fedeltà politica e militare ai signori di Milano. Dal Settecento in poi, con l’aumento delle attrattive del paesaggio, la notorietà di alcuni pittoreschi angoli e borghi, la costruzione di prestigiose e lussuose ville dell’aristocrazia e della borghesia milanese portarono a quella che il Beretta ha definito “la tendenza ad allargare in modo generico l’estensione dell’antico territorio briantino”. Il fenomeno di allargamento dei confini si estese ancor più nell’Ottocento: a nord verso il Triangolo Lariano, a ovest verso il torrente Severo, a est verso l’Adda, a sud verso Monza.

Potrei citare altre fonti, ma qui mi fermo per evitare avvitamenti e aprire inconcludenti contese, oggi probabilmente incomprensibili, sui confini e sulle dimensioni del territorio in questione.

Ciò che è certo e incontrovertibile è il fatto, sotto gli occhi di tutti, che la seconda metà del Novecento, attraverso uno sviluppo urbanistico ed edilizio spesso dissennato e inarrestabile e un esagerato consumo del suolo, ha definitivamente modificato e alterato bellezze naturali e paesaggistiche della Brianza, con pochi pari in Italia. Le nuove costruzioni, dai brutali capannoni industriali alle palazzine anonime e alle villette con giardino, hanno, in grande misura, dapprima circondato e poi indistintamente inglobato l’architettura rurale locale, composta di cascine sparse, casolari di campagna, piccoli nuclei rappresentati da corti e contrade contadine. Con le dimore rurali sono scomparsi oggetti ed attrezzi d’uso quotidiano, si sono smarrite le tracce della religiosità popolare, si sono persi vecchi luoghi della socialità contadina, hanno chiuso, ormai da tempo, le tradizionali osterie.

Verderio, la cascina La Salette in una foto dei primi anni Ottanta (fonte Giulio Oggioni)

La casa contadina briantea, quindi, è il risultato di un lungo processo storico, al cui assetto attuale si è giunti attraverso diverse trasformazioni protrattesi per alcuni secoli. Per mezzo di documenti, studi, fonti storiche e testimonianze orali oggi sappiamo che nella campagna brianzola sorgevano centinaia e centinaia di cascine e di centri e borghi rurali, collegati tra loro da una fitta rete di viottoli e sentieri consortili e vicinali. Erano gli stessi contadini ed i coloni che provvedevano alla loro costruzione e manutenzione, come pure tenevano liberi i fossi ed i canali di irrigazione e scolo delle acque e puliti i letti delle rogge e dei piccoli corsi d’acqua.

A metà Novecento la situazione ambientale corrispondeva esattamente a quella appena descritta. Era il paesaggio delle case rurali sparse, dominato dalle linee regolari e ordinate dei campi, alternato a fasce boscose e ampie estese di prati. La trama dei campi coltivati era definita da lunghi filari di alberi, soprattutto gelsi, mentre terrazze e grandi cigli modellavano ovunque i declivi collinari. Tutti questi piccoli quadretti ambientali definivano un quadro d’insieme straordinario, un colpo d’occhio senza pari, che non presentava fratture del territorio, anzi, donava continuità e armonia.
Molte tracce della cultura delle genti brianzole sono definitivamente scomparse, altre sono in piena agonia. Nel suo insieme lo stato di conservazione degli insediamenti rurali minori è indubbiamente allarmante: interi complessi architettonici di straordinaria bellezza stanno definitivamente crollando.

Le profonde trasformazioni intervenute nel secondo dopoguerra del secolo scorso hanno provocato il declino dell’economia agricola e dell’architettura rurale e, con esse, della funzione originaria della casa contadina. Oltre alla ricerca urgente di approfondire la conoscenza di quella cultura, attraverso studi sistematici, è non di meno urgente tentare di recuperare le poche testimonianze superstiti. Ad eccezione di rari casi di recuperi ben riusciti, pensiamo alle cascine La Salette e Bergamina ed all’immobile denominato Aia di Verderio, molte altre testimonianze versano in condizioni precarie e di effettivo degrado. Altre sono definitivamente scomparse.

La Salette oggi, dopo gli interventi di recupero
 
 
Verderio, la cascina Bergamina

L'Aia

Oggi che il mutare delle condizioni economiche e delle abitudini sociali hanno reso queste strutture edilizie inattuali, si pone la necessità di individuare nuove destinazioni d’uso che ne permettano il riutilizzo e la sopravvivenza. Certo, occorre essere attenti e sensibili al fine di evitare che, come già successo, gli interventi di recupero vadano ad alterare le strutture originali e produrre irreversibili trasformazioni che nulla avrebbero a che vedere con la storia e l’architettura dei luoghi. Occorre che le istituzioni, le scuole e gli organismi più sensibili promuovano, soprattutto tra i giovani, una campagna di sensibilizzazione e di conoscenza verso le migliori testimonianze della civiltà contadina e verso azioni volte a individuare progetti di recupero, tutela e salvaguardia di quel patrimonio.

Beniamino Colnaghi
 
 

mercoledì 11 giugno 2014

Enrico Berlinguer, l'ultimo leader

Enrico Berlinguer (Sassari, 25 maggio 1922 - Padova, 11 giugno 1984)
 
 


mercoledì 4 giugno 2014

Giuseppe Pinelli  

 

Il 29 maggio scorso, il sito peacelink.it ha pubblicato l’intervista a Claudia Pinelli, il cui titolo è:  “L’impegno di mio padre e la violenza del potere”. L’intervista è stata ripresa e postata su  MicroMega-online. Coloro i quali fossero interessati a leggerne il testo, possono consultare uno dei due siti internet soprarichiamati.

Claudia Pinelli è la figlia di Giuseppe Pinelli, nato a Milano nel popolare quartiere di Porta Ticinese il 21 ottobre 1928, precipitato da una finestra della questura di Milano la notte del 15 dicembre 1969. Ferroviere di quarantun anni, storico dirigente del Circolo anarchico Ponte della Ghisolfa, Pinelli era stato fermato dalla polizia la sera del 12 dicembre, qualche ora dopo la strage avvenuta nella Banca Nazionale dell’Agricoltura, in piazza Fontana a Milano. Nella strage persero la vita diciassette persone, 88 rimasero ferite.

Per quanto riguarda la strage, ben sette processi sono stati celebrati fino ad oggi, mentre, per la morte di Pinelli, siamo rimasti al «malore attivo» della sentenza del 1975. 

 

Giuseppe Pinelli

La figura di Giuseppe Pinelli è stata ricordata da numerosi libri, da canzoni e ballate, da opere teatrali e cinematografiche, dall’apposizione di lapidi commemorative.

L’intento di questo post è solo ed esclusivamente quello di ricordare una brava persona, un innocente, al quale venne riconosciuta la totale estraneità ai fatti di Piazza Fontana. Un uomo rimasto stritolato dentro un meccanismo che in quegli anni non lasciò scampo, un "capro espiatorio" di una strategia della tensione che in Italia avrebbe prodotto centinaia di vittime innocenti ed avrebbe bloccato, come effettivamente bloccò, il cambiamento ed il rinnovamento del Paese.