Placido
Rizzotto nacque a Corleone, in Sicilia, il 2 gennaio 1914.
Fu
dirigente socialista, partigiano e segretario della Camera del Lavoro, nonché
capo del movimento contadino siciliano.
Partito
militare e dopo aver combattuto in Carnia, Rizzotto passò alla
Resistenza, militando nelle Brigate Garibaldi. Iscritto all’ANPI, la sua storia
è dunque quella di uno dei tanti “ragazzi di montagna” che hanno cercato un nuovo orizzonte politico
e democratico, socialmente più avanzato, un riscatto nazionale dalla tragedia in
cui il regime fascista aveva spinto il Paese. Ma, a differenza di tanti altri
partigiani, egli aveva dovuto continuare una battaglia che in Sicilia non si
combatteva solo con le ragioni della politica e con metodi democratici.
Nel
1948 fu ucciso dalla mafia a Corleone ed il suo corpo fu gettato in un anfratto
della Rocca Busambra, la montagna che sovrasta la città. Quel corpo fu volontariamente
occultato dai mafiosi per evitare che anche da morto Placido Rizzotto potesse
continuare ad essere il simbolo della battaglia contro la mafia e per il
lavoro, la giustizia e la libertà.
Placido Rizzotto
Perché,
a distanza di 64 anni dalla sua uccisione, si avverte nel popolo italiano una
speciale attenzione per la sua figura? E perché il ritrovamento dei suoi resti
ha generato così tanta emozione nell’opinione pubblica?
Una
prima importante ragione sta nel fatto che il ritrovamento e l’identificazione
sono una rivincita contro chi aveva voluto cancellare, insieme al corpo, anche
la memoria di questo giovane. Il capo mafia locale, Michele Navarra, non si era
limitato solo ad ordinare di eliminare Rizzotto e fare sparire il suo cadavere,
ma aveva provveduto ad uccidere l’unico testimone dell’omicidio, un pastorello
di appena 13 anni.
Le
indagini, condotte dal giovane capitano dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla
Chiesa, avevano condotto all’identificazione degli esecutori materiali, che in
un primo momento avevano confessato il crimine, salvo poi ritrattare tutto nel
corso del procedimento giudiziario, che sfociò in una clamorosa assoluzione per
insufficienza di prove.
Un’altra
ragione è dovuta al fatto che questa storia si svolge a Corleone, il paese
salito alla ribalta per essere stato il centro da cui il “capo dei capi”, Totò
Riina, lanciò, negli anni ’80, la sanguinosa offensiva volta a rinsaldare il
controllo centralistico sulla varie famiglie mafiose inaugurando, al contempo,
quella sanguinosa strategia terroristica diretta a colpire tutti coloro che si
opponessero all’egemonia dei corleonesi.
Non
è però un caso se Corleone sia stato al centro di tutto ciò. Corleone non è un
paese come tutti gli altri.
Corleone
Negli anni novanta dell’Ottocento proprio da Corleone partì quella grande agitazione contadina per la riforma dei patti agrari, nota come “i fasci siciliani” e proprio in questo comune il movimento socialista conobbe importanti affermazioni grazie a Bernardino Verro, capo del fascio cittadino e primo sindaco socialista, poi ucciso dalla mafia nel 1915.
E
ancora di nuovo nel 1946, grazie a Placido Rizzotto, Corleone diventò uno
dei più importanti centri dell’agitazione sindacale per il diritto alla terra,
che divenne contemporaneamente agitazione politica, socialista e comunista ed epicentro di un terremoto politico che portò all’affermazione della sinistra
alle elezioni regionali siciliane del 1947.
Questi
cambiamenti comportarono, da parte dei mafiosi, uccisioni in serie di
sindacalisti e dirigenti della sinistra, fino al compimento, il 1 maggio 1947,
dell’eccidio di Portella della Ginestra, la prima strage dell’Italia
repubblicana.
Portella della Ginestra
Ancora
oggi quelle fila di contadini che egli guidava all’alba con le zappe in spalla
e le loro bandiere rosse per occupare i feudi, così come quella cooperativa che
egli aveva fatto nascere per gestire i feudi occupati, ci ricordano che i
diritti non fioriscono da soli, spontaneamente, come le bellissime agavi del
paesaggio siciliano. Che essi hanno bisogno, per nascere e crescere, di
esperienze politiche condivise, e talvolta di una lotta che non si è sviluppata
solo attraverso la propaganda e il dibattito delle idee, ma purtroppo anche
attraverso la sopraffazione e la violenza.
La
storia di Placido Rizzotto ci ricorda tutto questo.
Beniamino
Colnaghi
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