Il lager femminile di Ravensbrück
La
prima donna uccisa a Ravensbrück fu una zingara, detenuta in un bunker per
malati di mente. Il
lager tedesco è stato l’orrore nazista declinato al femminile, il campo di
concentramento a maggioranza femminile, aperto nel maggio 1939 a nord di
Berlino. Se Terezin(1) venne
definito il lager dei bambini, Ravensbruck lo fu delle donne. Oltre
alle prigioniere politiche e, in minima parte alle donne ebree, vi venivano
rinchiuse e torturate donne definite “asociali”: senza fissa dimora,
malate di mente, disabili, Testimoni di Geova, zingare, lesbiche, vagabonde,
prostitute, mendicanti, ladre. Donne considerate di razza inferiore
e reiette che andavano corrette, punite ed estirpate dalla società per
evitare che contagiassero gli “ariani”.
Una
storia dunque di genere, ma soprattutto di persone concrete.
Il 29 giugno
1939 giunsero al campo, provenienti dall'Austria, 440 deportate zingare insieme ai loro figli. L’internamento totale delle
zingare raggiunse le 5.000 unità.
Dopo lo
scoppio della seconda guerra mondiale e la successiva invasione nazista della Polonia, il 23 settembre 1939 cominciarono
ad arrivare nel campo le prime prigioniere polacche e dagli altri
territori occupati dell'est europeo.
Quando una
nuova prigioniera arrivava a Ravensbrück era obbligata ad indossare il Winkel,
un triangolo di stoffa colorato, che identificava il motivo di internamento;
sul triangolo era applicata una lettera che identificava la nazionalità. Le
deportate polacche, che divennero la maggior componente nazionale nel campo a
partire dal 1942, indossavano normalmente un triangolo rosso
(deportate politiche) con una lettera "P". Le donne ebree, prima del
trasferimento verso Auschwitz, indossavano un triangolo giallo, alcune volte
sovrapposto con un secondo triangolo per indicare altri motivi di internamento.
Le criminali comuni indossavano il triangolo verde, i Testimoni di Geova il triangolo viola. Le zingare, le
prostitute e le “asociali” venivano identificate da un triangolo nero.
A
Ravensbrück vennero imprigionate anche donne ritenute importanti dai nazisti,
tutte possibili merci di scambio. Furono internate la sorella del sindaco di
New York Fiorello La Guardia, una nipote del generale De Gaulle, contesse
dell’alta aristocrazia polacca, Milena Jesenská (intellettuale e scrittrice
ceca nonché “amante” di Kafka), la suora Elise Rivet ed Olga Benario(2), ebrea-comunista
e militante nella Resistenza a Berlino. L'esecuzione più massiccia, circa 200
vittime, venne realizzata contro un gruppo di giovani patriote polacche
appartenenti all'Armia Krajowa. Vi fu prigioniera Margarete
Buber Neumann, scrittrice tedesca, comunista, arrestata in Unione Sovietica,
passò anni nei gulag staliniani perché accusata di trotzkismo e fu consegnata
ai nazisti nel 1940, nel quadro dell'alleanza russo-tedesca. Sopravvisse al
lager e lasciò testimonianza nei suoi commoventi libri Prigioniera di Hitler e Stalin, edito da il Mulino e Milena, uscito con Adelphi, dedicato
alla sua amica Jesenská, morta nel campo di prigionia nel maggio del 1944.
Milena Jesenská
Nel lager si compirono
anche esperimenti chirurgici su cavie umane. Le prigioniere vennero usate come
cavie per esperimenti effettuati dai medici del campo. I primi “test”
riguardarono nuovi farmaci destinati alla cura delle infezioni delle ferite dei
soldati al fronte. Le internate vennero deliberatamente ferite e fratturate e
infettate con batteri virulenti. Per meglio simulare le infezioni in alcune
ferite furono introdotti pezzi di legno, vetro o stoffa, attendendo poi lo
sviluppo della cancrena. Le ferite venivano successivamente curate con i nuovi
farmaci per verificarne l'efficacia. Altri esperimenti si fissarono sullo
studio del processo di rigenerazione di ossa, muscoli e nervi e la possibilità
di trapiantare ossa da una persona all'altra. Alcune donne subirono
amputazioni, fratture e ferite. Tutte le donne sottoposte a esperimenti rimasero
gravemente debilitate a livello sia fisico sia psichico. Alcune di esse morirono,
altre vennero uccise successivamente nel campo. Oltre 130 donne zingare vennero
sterilizzate a Ravensbrück per saggiare l'efficacia dei nuovi metodi tedeschi,
basati su raggi X, chirurgia e diversi farmaci. Questi esperimenti di
sterilizzazione ebbero come ultimo scopo la sterilizzazione forzata di milioni
di persone considerate "indesiderabili" per il "nuovo ordine
mondiale nazista". Le donne, inoltre, erano costrette in continuazione a
spogliarsi davanti agli uomini in divisa, che le umiliavano, deridevano, mortificavano
oltre ogni limite.
Nel più grande campo femminile della Germania nazista era naturale che si presentasse il problema del soprannumero dei neonati e dei bambini. I neonati e i bambini fanno parte a sé. I primi nascono qui da donne che arrivano incinte, gli altri giungono con le madri. C'è una sala operatoria che funge anche da sala parto. All'inizio vi vengono praticati aborti su "ariane", rimaste incinte da "razze inferiori"; successivamente per far abortire tutte le prigioniere inviate al lavoro. Serve anche per sterilizzare donne e bambine zingare ed ebree, per impedire la riproduzione di quel gruppo etnico.
I primi
bambini raggiunsero il campo nel 1939, insieme
alle loro madri zingare provenienti dal campo di Burgenland, in Austria. In seguito molte madri ebree olandesi, francesi, ungheresi giunsero insieme ai figli. Dal 1942 le donne che
erano incinte al momento dell'internamento erano obbligate all'aborto appena la
gravidanza veniva scoperta oppure venivano selezionate per l'immediata
uccisione. Ciò per non disturbare la produzione. L'aborto era praticato fino
all'ottavo mese e il feto bruciato in un forno. Dal 1943, le autorità SS del
campo permisero alle donne incinte di portare a termine la gravidanza, ma i
neonati venivano subito strangolati o annegati in un secchio d'acqua davanti
alla madre.
I nazisti
furono attentissimi alla non proliferazione delle “razze sub-umane” e ai
matrimoni o accoppiamenti misti con tali razze, per evitare il pericolo di
"contaminare" l'unico germe sopravvissuto puro della razza ariana,
quella germanica. Essa invece, secondo le vagheggianti visioni hitleriane, era
destinata come "razza eletta" a ripopolare il mondo e riportarlo alla
bellezza primordiale in un nuovo mondo ripulito con il genocidio dalle
"razze inferiori", evitando così la "corruzione biologica"
del genere umano che era invece avvenuta nei secoli passati fino a quel
momento. I bambini di queste razze rappresentavano perciò, per i nazisti, il
pericolo primario della continuazione futura della specie degli
"indesiderabili". A centinaia
di migliaia vennero immediatamente uccisi: soffocati dal gas insieme alle loro
madri, uccisi con iniezioni di veleno, bruciati, massacrati a bastonate,
fucilati, gettati vivi nelle fosse comuni o usati come tiro al bersaglio. Le
donne incinte dovevano sparire dalla faccia della terra.
Lo sterminio
dei bambini nei lager avveniva in tanti modi a seconda dei modi vigenti nei
campi. A Ravensbrück esisteva una saletta adibita a "Kinderzimmer" in
cui i piccoli venivano abbandonati a morire di fame e lasciati in pasto ai
topi. La parola "kind" era sinonimo di raccapriccio nel campo.
Statistiche certamente
incomplete riportano in 882 il numero totale di bambini deportati a
Ravensbrück, non comprendenti tuttavia quelli nati nel campo, che pare fossero
sui 500. Solo cinque sopravvissero alla prigionia grazie a catene umanitarie.
Prigioniere al lavoro (fonte Wikipedia.it da Archivio di Stato Tedesco)
All’apice
del suo funzionamento, il campo era popolato da 45mila detenute. In totale si
stimò che passarono circa 120mila donne, su un totale di 130mila internati. Un
numero considerevole, anche se non paragonabile, certo, alle fabbriche della morte
di Auschwitz-Birkenau o di Treblinka. Tra la fine del 1944 e l’inizio del 1945,
i nazisti, consci del fatto che stavano perdendo la guerra, stabilirono l'eliminazione
giornaliera di gruppi di prigionieri. Ciò faceva parte dei piani di evacuazione
del lager in vista dell'arrivo dell'Armata Rossa. Si doveva liquidare la
popolazione del campo in fretta sterminando, oltre alle detenute inabili al
lavoro, anche quelle che non potevano camminare per lunghe marce, le intrasportabili,
testimoni delle atrocità naziste o donne politiche scomode. Nel ’44 venne
costruito un terzo forno crematorio e nel mese di gennaio ’45 il comandante del
campo, per riuscire ad eliminare tutte le numerose deportate selezionate per lo
sterminio, decise di usare il gas. Fece iniziare in tutta fretta la costruzione
di una camera a gas in una baracca di legno vicino, per ovvie ragioni
logistiche, al crematorio. La grande morìa di prigioniere però era soprattutto
dovuta allo sfinimento fisico per lavoro, dissenteria, fame e alle epidemie che
infuriavano nel campo.
Il 30 aprile
1945 il campo di Ravensbrück fu finalmente liberato dalle forze dell’Armata
Rossa. I sovietici vi trovarono 3.000 prigioniere scampate all'evacuazione e
circa 300 prigionieri uomini, per la maggior parte gravemente ammalati e
completamente denutriti. Poche ore dopo le unità sovietiche in avanzata,
salvarono anche le scampate alla marcia della morte.
Beniamino Colnaghi
Note
1 Il campo di concentramento di Terezin: http://colnaghistoriaestorie.blogspot.cz/2012/03/terezin-il-lager-dei-bambini-in-ricordo.html
Relativamente al Giorno della Memoria, nel blog sono presenti anche altri post sul tema:
Il tappeto di Łódź: http://colnaghistoriaestorie.blogspot.cz/2014/01/27-gennaio-giorno-della-memoria.html
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