Il 23 luglio 2015 è stato postato un articolo
dal titolo “Le terre orientali dell’Impero austro-ungarico”(1), che si è occupato, seppur per sommi capi, delle regioni
orientali dell’Impero. Rispetto alla presenza di numerosi gruppi etnici e di
una variegata composizione sociale di quelle società, il testo che segue intende
analizzare ed approfondire la popolazione ebraica, componente importante e
significativa presente in quelle terre. (bc)
Un mosaico
genetico con decisivi apporti da antiche popolazioni originarie del Caucaso,
europee e mediorientali: è quanto risulta da uno studio che ha ricostruito le
origini degli ebrei dell'Europa orientale, le cui ascendenze sono ancora
oggetto di dibattito. La ricerca, condotta da Eran Elhaik della Johns Hopkins
University Bloomberg School of Public Health, e pubblicata sulla rivista Genome Biology and Evolution, permette
di fare un significativo passo avanti nella definizione della controversia fra
le due ipotesi attualmente in campo, portando dati a favore di quella che
sostiene un'ascendenza molto più complessa per gli ebrei dell'Europa orientale
rispetto a quelli dell'Europa centrale. Secondo la cosiddetta “ipotesi renana”,
infatti, gli ebrei europei discenderebbero da quelli che, nel VII secolo,
lasciarono la Palestina in seguito alla conquista musulmana, per trasferirsi in
Europa, in particolare nella Renania. Nel corso del XV secolo, circa 50.000
ebrei lasciarono poi questa regione per spostarsi verso est.
L'ipotesi
alternativa è quella “cazara”, secondo la quale la fioritura demografica degli
ebrei dell'Europa dell'Est avrebbe ricevuto un decisivo contributo dai Cazari,
una confederazione di tribù di origine turca, iraniana e mongola che vivevano
in quella che oggi è la Russia meridionale, e che fra il VII e il IX secolo si
convertirono al giudaismo. In seguito al crollo dell'impero cazaro, arrivato ad
estendersi dall'Ucraina fino al lago Aral, le popolazione cazare, amalgamatesi
anche con armeni e georgiani, a partire dal XIII secolo si dispersero in tutta
l'Europa orientale.
Uno dei primi
provvedimenti in Europa di tutela della popolazione ebraica risale al 1233,
quando l’imperatore del Sacro Romano Impero, Federico II di Svevia, concesse
uno statuto agli ebrei viennesi.
A partire dal XVI secolo
l'istituzione dei ghetti caratterizzò la vita di gran parte degli ebrei
europei.
In Italia le segregazioni coatte
degli appartenenti a un gruppo sociale iniziarono nel Cinquecento. In quel
periodo nacquero i ghetti per gli ebrei: il primo fu creato a Venezia nel 1516,
il secondo ad Ancona, il terzo a Roma e Bologna nel 1566, poi a Firenze,
Verona, Mantova, Ferrara, Torino.
Ritornando all’Europa orientale,
verso la metà del 1500 l’unione polacco-lituana fu l’unico paese nella storia
dell’Europa che riconobbe una sorta di autogoverno degli ebrei. Dopo la spartizione della Polonia gli ebrei si trovarono a
vivere in altri Stati, tra cui la Prussia e la Russia e nell’Impero Asburgico. Nel
1781 l'imperatore Giuseppe II d’Asburgo emanò i "Decreti di
tolleranza" che abolirono molte delle discriminazioni religiose nei
confronti dei protestanti, degli ortodossi e degli ebrei ma non ristabilirono
mai la precedente autonomia. Dopo la Rivoluzione francese, la nascita
dei moderni stati nazionali favorì migliori condizioni di vita delle
popolazioni e, nella maggioranza dei paesi, permise l'emancipazione civile
degli ebrei.
Nei territori
degli Asburgo, le regioni più densamente abitate dagli ebrei erano la Galizia,
la Bucovina e la Transilvania. Consistenti insediamenti ebraici si trovavano
anche in Boemia e Moravia. In Russia gli
ebrei, fino al 1917, furono confinati nelle “Zone di insediamento”, territori
annessi in seguito alla spartizione della Polonia.
Negli ultimi
decenni dell’Ottocento, con le profonde trasformazioni e modernizzazioni della
società tedesca e austriaca, l’ebraismo europeo si divise in “occidentale” e
“orientale” e si coniarono i termini, divenuti di uso corrente, Westjude e Ostjude. Gli ebrei dell’est, che già venivano criticati per il loro
modo di vivere e di comportarsi, furono ulteriormente caratterizzati in termini
negativi dagli stessi ebrei dell’Europa occidentale, in particolare dai
tedeschi assimilati, i quali tesero a evidenziare la loro lontananza dagli
ebrei osservanti dell’est. I profondi legami tra gli ebrei, la solidarietà e la
condivisione dei valori tra essi cominciarono a venire meno a causa, appunto,
del processo di emancipazione e modernizzazione che portò gli ebrei a
conformarsi allo stile di vita delle società in cui vivevano. I due stili di
vita cominciarono a confliggere e gli ebrei tedeschi iniziarono a disprezzare
gli ebrei orientali.
Ovunque, in
Europa occidentale, l’ebreo dell’est, Ostjude,
divenne un personaggio inquietante e da deridere. La necessità, per l’ebreo
tedesco, di superare la diffidenza dei popoli occidentali nei suoi confronti,
lo porta, per essere accettato, a esternare il disprezzo per il suo pari orientale,
che incarnava tutti i tratti negativi tradizionalmente attribuiti agli ebrei.
Joseph Roth, scrittore
e giornalista austriaco, testimone letterario d'eccezione della fine dell'Impero
austro-ungarico, nato in Galizia, in una sua esemplare, quanto
caustica intervista, affermò: “Quanto più occidentale è il luogo di nascita di
un ebreo, tanti più sono gli ebrei che guarda dall’alto in basso. L’ebreo di
Francoforte disprezza l’ebreo di Berlino, l’ebreo di Berlino disprezza l’ebreo
di Vienna, e quello di Vienna disprezza l’ebreo di Varsavia. Poi vengono gli
ebrei della Galizia, che tutti guardano dall’alto in basso; e di lì vengo io,
l’ultimo di tutti gli ebrei”.
Ebrei dei territori orientali dell'Impero Asburgico (Ostjude) |
Nella seconda
metà dell’Ottocento l’espressione Ostjude
diventa il termine che viene usato per definire “l’ebreo del ghetto”. Per
meglio precisare il concetto, con questa espressione non si intendeva chi stava
fisicamente nel ghetto, ma si intendeva uno stato mentale perché chi stava nel
ghetto era considerato uno straniero in Europa.
Karl
Emil Franzos, nato in Galizia, fu uno scrittore ebreo liberale di lingua
tedesca, le cui opere ebbero grande diffusione nell’Impero austro-ungarico e in
Germania. Raggiunse il successo con numerosissimi romanzi e racconti che
risultarono efficaci soprattutto nella colorita rievocazione del mondo ebraico
dell'Europa orientale. Franzos descrisse le composite stirpi della vecchia
Austria e la tragica odissea delle comunità israelitiche. In particolare
scrisse sulla scialba esistenza delle piccole città della Podolia, nelle quali
gli ebrei giungevano in autunno a Belz da tutta la Volinia e da tutta la
Podolia per trascorrere le festività religiose nella vecchia sinagoga e sognare
la lontana patria del Giordano. Compì una distinzione netta tra l’Europa, che
era “avanzamento, umanità, cultura” e l’Asia, l’Est, ossia tutto ciò che invece
era sordido, barbaro, selvaggio. Descrisse gli ebrei dell’est come arretrati,
superstiziosi, miseri, mentre, secondo il suo parere, avrebbero dovuto
riscattarsi abbandonando lo yiddish e le loro tradizioni secolari, assimilandosi
alla cultura tedesca.
Per nulla
d’accordo con questi concetti era un gruppo di intellettuali che ritenne,
invece, fosse da rivalutare la specificità della cultura ebraica orientale
perché depositaria dei valori unitari del popolo ebraico, come la lingua, lo
yiddish, la mistica, il chassidismo, la letteratura e la musica.
Il chassidismo,
la letteratura, la lingua yiddish, le tradizioni ebraiche furono considerate da
questo movimento di rinascita come il vero nucleo dell’anima ebraica. Martin
Buber, appartenente a quel movimento, scrisse che “le masse ebraiche di lingua
yiddish che vivevano nei villaggi dell’Europa orientale erano la dimostrazione
che gli ebrei non erano soltanto, come gli ebrei occidentali, una somma di
individui sradicati… Essi erano anche popolo, e popolo allo stesso titolo dei
tedeschi, perché, come i tedeschi, avevano una tradizione, una lingua e una
letteratura popolari…”. Kafka, lo scrittore ebreo praghese, non fu tuttavia
d’accordo con Buber, perché non considerò mai lo yiddish una lingua ma un gergo,
un dialetto popolare.
Il rapporto tra
comunità e lingua ebbe una grande importanza nel classificare quelle aree
centro-orientali. A cavallo tra Ottocento e Novecento, in quello spazio, il
tedesco, seppur non si sostituì alle lingue nazionali, ma convisse con esse, era
parlato da grandi fette di popolazioni, ben oltre i confini dello stesso impero
asburgico e della Germania. Il tedesco costituiva la lingua colta, parlata da
scrittori e intellettuali e praticata in molte comunità ebraiche. Il tragico
amore per la lingua tedesca unirà molti scrittori ebrei, anche nei ghetti,
prima, e nei lager nazisti, poi. Per quegli scrittori il tedesco era la lingua
della patria, della casa, dell’identità, in quanto legame con la propria
comunità.
Nella maggior
parte delle città della Mitteleuropa,
da Praga a Vienna fino a Budapest, avviene il processo di abbandono
dell’ebraismo tradizionale e dello yiddish, che si spostano sempre più ad est.
La comunità ebraica di Praga si assimila alla comunità tedesca, soprattutto
nella lingua e nei costumi.
I centri della
cultura tradizionale ebraica divennero, dunque, gli insediamenti ebraici
dell’Europa orientale, i piccoli villaggi, abitati da povere persone che
vivevano nella miseria e nella sporcizia. Le comunità di quei luoghi erano
comunità autonome dalle solide basi, che possedevano proprie concezioni di
valori, proprie tradizioni e leggi che si discostavano molto dalle realtà
occidentali.
Golcuv Jenikov (Rep. Ceca). Il ghetto ebraico in una foto del 1914 e il cimitero ebraico oggi |
La grave crisi
che colpì l’Europa tra le due guerre mondiali costrinse molti ebrei di quei
territori orientali ad emigrare o a spostarsi nelle grandi città. La Shoa
perpetrata dai nazisti, che sterminò la gran parte degli ebrei, e le epurazioni
staliniane cancellarono gran parte di quella cultura. I sopravvissuti
lasciarono la Mitteleuropa e migrarono verso gli Stati Uniti, la Palestina
prima e Israele poi. Lo sterminio
degli ebrei cancellò quel mondo.
Yitzhak Katzenelson,
ebreo, dapprima nascosto nel ghetto di Varsavia e poi fuggito in un paesino in Francia,
scrisse Il canto, monumento funebre
agli ebrei d’Europa. Venne individuato e trasferito ad Auschwitz, dove troverà
la morte. Terminata la guerra il suo manoscritto fu pubblicato: “Ahimè, non c’è
più nessuno… c’era un popolo, ora non c’è più… c’era un popolo… e ora è
scomparso!”
La fine della
Seconda guerra mondiale segnò così un duplice tramonto: quello delle culture
degli Ostjuden(2) e dei Volksdeutscher(3). Il duplice tramonto, ossia lo sterminio
degli ebrei e la pulizia etnica dei tedeschi dall’Europa centro-orientale.
Mentre la Seconda
guerra mondiale stava terminando e soprattutto dopo la sua
cessazione, ad essere vittime furono le popolazioni germanofone dell’Europa
centro-orientale. Non si trattò pressoché di nazisti, ma indiscriminatamente
vennero colpiti tutti i Volksdeutsche, popolazioni germanofone che si erano
insediate in quei territori da secoli, a partire dalla colonizzazione della
parte orientale dell’Europa, attuata dai popoli germanici: una grande
migrazione, nel corso della quale i tedeschi fondarono insediamenti nelle
regioni meno popolate dell’Europa centro-orientale e orientale. Nel 1945, e
nell’immediato dopoguerra, saranno vittime di espulsioni, trasferimenti
forzati, deportazioni accompagnate da ogni sorta di brutalità, dovute ad un
forte risentimento anti-tedesco, soprattutto nelle regioni che furono occupate
militarmente dalle forze naziste durante la guerra.
Beniamino Colnaghi
Bibliografia,
sitografia e note
Attilio Milano, Storia degli ebrei in Italia, Torino,
Einaudi, 1992.
Robert
S. Wistrich, Gli ebrei di Vienna,
Milano, Rizzoli, 1994.M. Barbagli, M. Pisati, Dentro e fuori le mura, Bologna, Società editrice il Mulino, 2012.
Massimo Libardi, Fernando Orlandi, Mitteleuropa, mito, letteratura, filosofia, Silvy Edizioni, 2011.
Giuliano Baioni, Kafka, letteratura ed ebraismo, Torino, Einaudi, 1984.
Yitzhak Katzenelson, Il canto del popolo ebraico massacrato, Firenze, Giuntina, 1998.
Ebrei
in Boemia: http://colnaghistoriaestorie.blogspot.cz/2012/11/gli-ebrei-in-boemia-praga-la-capitale.html
Il
ghetto di Golcuv Jenikov: http://colnaghistoriaestorie.blogspot.cz/2012_03_01_archive.htmlWikipedia enciclopedia libera: http://it.wikipedia.org/wiki/Storia_degli_ebrei_in_Europa
Wikipedia enciclopedia libera: http://it.wikipedia.org/wiki/Impero_austro-ungarico
(2) Ostjuden, ebreo dell’Europa centro-orientale.
(3) Volksdeutsche
è una parola tedesca che significa "cittadino di etnia tedesca". Il
termine venne usato nei primi decenni del Novecento per indicare i cittadini di
etnia germanica che vivevano al di fuori del Reich. Volksdeutsch indica quindi i tedeschi etnici fuori dalla Germania
ma senza la nazionalità tedesca, mentre la parola Reichsdeutsch indica i tedeschi etnici
con nazionalità e cittadinanza tedesca.
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