martedì 10 marzo 2020

Il paesaggio romanico lombardo nel Triangolo lariano

di Alberto Novati (architetto)

Volendo studiare il romanico non possiamo sottrarci alla necessità di intrecciare i temi dell’urbanistica con quelli dell’architettura. Solo in questo modo si riuscirà a fornire qualche contributo apprezzabile alla ricostruzione storica del definirsi del romanico nel cosiddetto triangolo lariano. Invece, utilizzando nei fatti un ampio spettro di indagini, si potranno restituire le modalità insediative e i processi di civilizzazione di lunga durata che caratterizzano l’evo medio.
Dobbiamo subito chiederci: dopo il declino dell’impero romano, come la cristianità ha voluto e saputo costruire il proprio consistere nel pagus e nel castrum e come ha reinterpretato globalmente l’insediamento umano?  
Collochiamoci, da subito, in un preciso orizzonte macrourbanistico: la direttrice est-ovest proveniente da Aquileia e da Ivrea passante per il ponte di Olginate, nelle diverse alternative e varianti locali, si interfaccia nel territorio lariano con la direttrice europea nord-sud che metteva in comunicazione il bacino del Reno con la Lombardia e il mar Mediterraneo.
Flussi di merci, uomini e idee connessi non solo dalla città di Como ma da una serie di porti che, seppur di dimensioni ridotte, come il porto di Nesso(1), costituivano i nodi di interscambio dell’altopiano lariano. Altri porti, posti su entrambi i rami del lago, costituivano una valida alternativa al porto di Nesso.

Su questo assetto macrourbanistico si innesteranno le reti dei villaggi del romanico realizzando, nei fatti, un sistema insediativo completamente diverso da quello del castrum romano. E’ una vicenda antica. La struttura territoriale a rete, a grafi, radicalmente diversa da quella derivata in quache modo dalla modellistica gravitazionale (geocentrica tolemaica o eliocentrico copernicana-newtoniana) era, fin dall’antichità, ampiamente conosciuta e utilizzata nella costruzione del paesaggio umanizzato come testimonia Tucidide a proposito della città-villaggio di Sparta. Infatti, l’occupazione militare romana del bacino lariano del 196 a.C., tramandataci dallo storico Tito Livio, ha reso visibile la forma preesistente a rete dell’organizzazione territoriale, come testimoniano anche gli studi di Giorgio Luraschi. Con questa premessa urbanistica, fu compito della Pieve organizzare e utilizzare appieno le potenzialità di quei nodi urbanistici innestando e integrando le funzioni dei centri plebani con quelle dei porti.
Quel lago, quei luoghi, quelle cose, quegli animali, quelle donne e quegli uomini furono i soggetti dei dipinti di Giuseppe Canella e di Giovanni Segantini.
Il lavoro e quelle armature urbane resero possibile la costituzione del surplus economico che venne gestito dalla Pieve e utilizzato per la costruzione degli apparati monumentali dei centri plebani e delle tappe intermedie degli itinerari. Fu così che, in alternativa alla città romana-vescovile, si costruirono veri e propri santuari extraurbani frequentati da popolazioni che si andavano, pian piano, riorganizzando dopo il tracollo dell’impero romano. Primari centri monumentali che non furono mai subalterni al castrum comense. Si pensi a San Pietro al Monte o a Galliano, dove sono ancora ben visibili quei cicli pittorici capaci di interpretare, di qua delle Alpi, quello spirito nuovo europeo che si andava affermando nelle scuole pittoriche al di là delle Alpi, come alla Reichenau o a Müstair.
Lo scritto del monaco Raoul Glaber (985 circa – 1047 circa) ha la capacità di ben sintetizzare dati quantitativi e qualitativi del candido manto di chiese che ammantò la nascente Europa agli inizi dell’anno Mille. Così scrive: “Si era già quasi all’anno terzo dopo il mille quando nel mondo intero, ma specialmente in Italia e nelle Gallie, si ebbe un rinnovamento delle chiese basilicali… Pareva che la terra stessa, come scrollandosi e liberandosi della vecchiaia, si rivestisse tutta di un candido manto di chiese.”
Come si attuarono quelle strategie insediative? Furono le parole dell’antico linguaggio architettonico ad interpretare e costruire lo spazio pieno europeo non univocamente incentrato sulla città romana. Fu così che la costituzione del nuovo paesaggio  del romanico venne condotta dalle figure matrici della basilica, della crociera, della pianta centrale, dell’abside, del portale, della cripta, del recinto, del tumulo, della tomba a torre, del masso avello e dalle matrici urbanistiche dell’agorà, dell’acropoli e della piazza sagrato.

Lasnigo, chiesa di Sant'Alessandro

Secondo Virgilio Gilardoni (Il Romanico, Mondadori, 1963), “Lo spirito di rigorosa coerenza stilistica ha trascinato a sua volta un rivolgimento generale dei modi e delle concezioni costruttive, d’altronde richiesto dalle nuove esigenze tecniche e tettoniche, ha sollecitato il paesaggio dal sistema conglomerato della costruzione romana a quello elastico romanico.”
Sulla scrittura architettonica romanica “nessun ordine riveste più l’edificio: scompaiono le colonne sovrapposte, le antiche trabeazioni, sostituite da una sola colonna, da una parasta o da fasci di colonne e di paraste, da bande e da segna piani suggeriti sempre dalle masse stesse o da ragioni comunque costruttive. Predilezione cosciente che si afferma nella genuina dichiarazione delle forme costruttive… Lo spazio acquista misure narrative e drammatiche, si scioglie in elementi e volumi che non rinunciano alla propria individualità: l’atrio, il nartece, la centrale, le navatelle, i bracci del transetto, il presbiterio, la cripta, l’abside, le cappelle, le torri scalarie, il tiburio, la cupola, la torre o le torri finestrate del transetto; ma tosto, appena liberate nella loro individualità, le parti si riconnettono nell’unità del ritmo segnato dalle paraste, dalle archeggiature, dalle fasce di archetti pensili, dalle cornici, che rispondono allo scheletro interno di pilastri e di arcate e che dichiarano, nella nudità del loro sforzo, la tensione di spinte e controspinte, l’organamento dei corpi murari, il conflitto misurato, calcolato, delle masse costruttive e delle masse atmosferiche.”

Albese con Cassano, San Pietro

Anche oggi possiamo abitare quei paesaggi e quelle architetture del romanico, ancora prodotte, quasi per filiazione, da quell’antico linguaggio architettonico che ha dato forma al mondo.
Scrive Giovanni Testori: “Ormai i soli nomi che riesco a scrivere senza essere sopraffatto da un’impressione di falsità, sono i nome dei luoghi d’origine della mia famiglia: Lasnigo, Sormano… Per me, deve esistere sempre, mentre scrivo una precisa incarnazione, o co-incarnazione. Col passare del tempo… mi accorgo che in tutto questo corre qualcosa di fondamentale, di decisivo”.
 
Bibliografia
Alberto Novati, Francesco Sala, Tra i due rami del lago di Como: paesaggi del romanico lombardo, GWMAX, Erba 2016.
 

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