domenica 20 gennaio 2019

Matera, capitale europea della cultura 2019
Quando Pasolini vi girò Il Vangelo secondo Matteo

Come nacque Il Vangelo secondo Matteo? Cosa spinse Pier Paolo Pasolini, nel 1964, un marxista non credente,  anticlericale, a realizzare un film sulla vita di Gesù così aderente al sacro testo, essenziale, privo di ideologismi?
Il regista era affascinato dal Cristo-uomo, apologeta degli ultimi, e rimase rapito dalla bellezza della Parola: ma poteva bastare, questo, a fare «il miglior film su Gesù di tutta la storia del cinema», come ha sostenuto non molto tempo fa L'Osservatore Romano, il giornale della Santa Sede? Sulla genesi del capolavoro cinematografico pasoliniano è stato detto e scritto molto, durante gli anni. Ma, si sa, lo scrittore e poeta nato a Bologna, friulano d’adozione, romano per necessità era un intellettuale complesso, non certamente facile da decifrare.
 
Pasolini sul set del film e sullo sfondo Matera

Pasolini maturò la decisione di raccontare la storia del Nazareno dopo aver riletto il Vangelo «come un romanzo», in una notte «illuminata», in occasione di un dibattito sul suo Accattone. Pasolini ambienta Il Vangelo secondo Matteo nell’Italia meridionale degli anni Sessanta, tra Lazio, Campania, Puglia e Lucania, e guarda al mondo contadino per individuare attori i cui volti rappresentino con rudezza la sofferenza dei palestinesi, si serve di amici intellettuali per gli apostoli e si rivolge a esponenti della borghesia per rappresentare i farisei, per consegnare della religione un ritratto quale strumento di dominio politico e sociale. Attraverso il suo sguardo, quindi, Pasolini ripropone quello delle scritture evangeliche e di Gesù, nel quale si rivede, tant’è che sceglie proprio sua madre, Susanna Colussi, per rappresentare la Vergine Maria, non come figlio di Dio, ma appunto come uomo fra gli uomini, portavoce e leader rivoluzionario dei più deboli, degli umili e degli oppressi palestinesi. L’autore e cineasta si era già avvicinato al mondo del sacro da una prospettiva “atea” e, anzi, solo l’anno precedente, nel 1963, era stato accusato di vilipendio della religione di Stato per l’episodio de La ricotta, laddove uno dei ladroni moriva per indigestione della ricotta rubata, tant’è che Pasolini riscontra difficoltà nel trovare un produttore che finanzi il film.
Sono anni in cui la Chiesa Cattolica, col Concilio Vaticano II e soprattutto grazie all’opera di papa Giovanni XXIII, si avvia ad una fase post-bellica, di rinnovamento e di apertura alle donne e alla sinistra intellettuale; ed è proprio alla persona del Papa che Pasolini dedica Il Vangelo secondo Matteo, poiché è a lui che pensa quando, aprendo per caso la Bibbia e leggendo il Nuovo Testamento, partorisce l’idea del film. Un ateo, anticlericale e marxista questa volta consegna una visione tutta personale del sacro, profondamente cristiana, che gli vale l’apprezzamento della parte più aperta del mondo della Chiesa. Anche se papa Giovanni era nel frattempo morto, Pasolini volle inserire una commovente dedica nei titoli di testa “Alla cara, lieta, familiare memoria di Giovanni XXIII” e il desiderio dell’autore di proiettare il film “nel giorno di Pasqua in tutti i cinema parrocchiali d’Italia e del mondo”. 
 
Una scena del film

Pasolini era un artista complesso e controverso, scandalizzava il mondo con il suo cinema e la sua letteratura, si trovava spesso in contrasto con il pensiero della Chiesa. Eppure sentiva vivo, dentro di sé, il senso religioso. La fede fu qualcosa di molto presente nella sua vita. Che l’intellettuale rivolgesse una particolare attenzione ai valori antichi radicati nella civiltà contadina, nonché al sacro, è un dato indiscutibile. La sua copiosa opera artistica e letteraria, d’altronde, rispecchia un costante impegno di denuncia nei confronti di una società consumistica risucchiata nell’abisso dell’assenza di Dio. Soprattutto, il Pasolini ateo ed anticlericale riconosceva nel Cristianesimo, essenza di quel mondo contadino che egli decantava nostalgicamente, una forza liberante dall’avvilimento borghese e dalla cultura moderna.Quello che forse rimane ancora da capire è quanti e quali spazi si era ritagliato Pasolini nel descrivere la vicenda di Cristo, pur riprendendo “punto per punto” il Vangelo, senza adattamento né sceneggiatura. E in questo sta, forse, il nocciolo della questione: riscoprire il  “destino corsaro” di un uomo, di un poeta, di un grande intellettuale, che sulla libertà si è giocato tutto. Anche la sua vita.

Beniamino Colnaghi
 

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