venerdì 5 maggio 2017

Il 29 giugno 1952, Rinaldo Frigerio, residente a Verderio Superiore, muore a 21 anni durante una gara ciclistica

Nel 1914, l’anno in cui scoppiò la Prima guerra mondiale, l’entrata nel mondo del lavoro dei bambini e delle donne era regolata dai Regi Decreti n. 818 del 10 novembre 1907 e n. 665 del 31 agosto 1910.
L’art. 1 dell’“Estratto del Testo unico della legge donne e fanciulli” recita testualmente: “Non saranno ammessi al lavoro negli opifici industriali, nei laboratori, nelle costruzioni edilizie e nei lavori non sotterranei delle cave, miniere e gallerie i fanciulli dell’uno e dell’altro sesso che non abbiano compiuto l’età di 12 anni”.
Ancora oggi è possibile raccogliere testimonianze di persone anziane che, quando erano bambini, furono mandate a lavorare nelle filande o nelle officine, "a servizio" nelle case dei ricchi o semplicemente ad aiutare i genitori ed i nonni nei lavori dei campi. Allora era una cosa che tutti accettavano, senza chiedersi se fosse giusto o meno: era una necessità dettata dalla povertà, dalla miseria materiale e sociale, dall'esigenza di sopravvivere e portare qualche soldo in casa. La scuola era un lusso che solo alcuni potevano permettersi e molti di quelli che iniziavano a frequentarla la interrompevano presto, perché dovevano "dare una mano" alla famiglia. 
 
Età delle operaie impiegate nelle filande e nelle aziende tessili in Lombardia nei primi
anni del Novecento
Età % Note
Fino a 12 anni 5 Nelle aziende che producevano e
Dai 13 ai 15 anni 21 trasformavano la seta il rapporto della 
Dai 16 ai 21 anni 36,5 manodopera era di 40 donne per ogni uomo.
Oltre i 21 anni 37,5 La forza lavoro femminile era relegata nelle
categorie inferiori e prive di qualifica.
Orario di lavoro: le operaie lavoravano 12 ore al giorno ma durante i mesi estivi  
potevano essere utilizzate fino a 15-16 ore
al giorno.
 
Come la maggior parte dei bambini che apparteneva alle classi rurali contadine, la piccola Teresa iniziò a lavorare all’età di 12 anni. Nel 1914, anno del suo primo impiego, Teresa Colnaghi aveva appunto 12 anni, essendo nata il 22 gennaio 1902 a Verderio Superiore, da Felice e Maria Letizia Brivio. I genitori non persero nemmeno un giorno per iscrivere Teresa nel registro comunale delle donne minorenni e dei fanciulli e condurla dall’ufficiale sanitario affinché la sottoponesse a visita medica di idoneità al lavoro. Il libretto d’ammissione al lavoro fu rilasciato il giorno stesso, il 22 gennaio 1914.
Il 16 febbraio venne assunta presso il filatoio Egidio Corti di Paderno d’Adda. La ditta Corti operava nel settore della torcitura della seta e la piccola Teresa, come molte altre bambine della sua età, o poco più grandi, svolgeva l’attività di incannatrice, ossia trasferiva il filo di seta dalle matasse ai rocchetti. La torcitura, grazie ad alcuni filatoi di legno, consisteva nell'imprimere una torsione al filo di seta per ottenere filati con caratteristiche e consistenza diverse. 
Il territorio lombardo e quello comasco in particolare videro dal Cinquecento in poi un crescendo di attività legate alla seta, quali l'allevamento dei bachi, la filatura dei bozzoli, la torcitura e tessitura. Attività che si ingrandirono parecchio nel corso dell’Ottocento fino a raggiungere l’apice nei primi decenni del Novecento.
Rimase alla Corti per tre anni per poi trasferirsi in altre industrie seriche della zona. Lavorò un paio d’anni alla Giani Pasquale di Verderio Superiore e, dal 26 febbraio 1924 al 14 agosto 1925, fu assunta dalla ditta G.B. Miozzi & C. di Paderno d’Adda, la quale aveva lo stabilimento nelle adiacenze della stazione ferroviaria.
Dal “Libretto di paga” di Teresa risulta che il salario mensile variasse, in relazione alle giornate lavorate, da un minimo di 120 lire ad un massimo di 170.

Il 14 agosto 1925 Teresa Colnaghi si “licenziò spontaneamente” dalla ditta Miozzi. Si presume che il motivo di tale decisione fu dettato dall’imminente matrimonio con Guido Frigerio, classe 1901, residente a Verderio Superiore in Curt di Custont, che si affaccia su via Campestre, ove la coppia andò a stabilirsi. Ebbero tre figli: Felicita nel 1929, Rinaldo nel 1931 e Italo nel 1936. Rinaldo, il figlio di mezzo, nacque il 24 febbraio 1931. Ereditò quel nome in memoria di un fratello di suo padre, morto durante lo svolgimento della Grande Guerra.
Rinaldo Frigerio, a causa della “rigidità sociale” diffusa in quell’epoca storica, non ebbe di fronte a sé grandi opportunità per poter migliorare le proprie condizioni economiche e sociali, se non quelle di continuare le attività proprie della famiglia. Ottenne la licenza di scuola elementare e cominciò a seguire il padre ed i parenti nei lavori dei campi. Quando ebbe compiuto 12 anni, grazie all’interessamento di suo cugino Ambrogio, fu assunto alla ditta Zagni di Merate in qualità di imbianchino.

Rinaldo Frigerio

Ma la vera passione di Rinaldo era la bicicletta. Mise da parte, giorno dopo giorno, come sapevano fare le famiglie contadine e operaie, un piccolo gruzzoletto necessario ad acquistare una bicicletta “da corsa”. Era una Bianchi, un marchio prestigioso. Nome, marchio, colori inconfondibili.
Bianchi ha fatto la storia del ciclismo, una lunga, appassionata corsa iniziata che era ancora l'Ottocento e che oggi nel Duemila continua ad essere nel cuore di milioni di appassionati. Bianchi è stato uno fra i marchi più prestigiosi per la produzione di bici da corsa, che furono usate da grandi campioni del passato, a partire da Girardengo, Fausto Coppi, Felice Gimondi, Marino Basso e Marco Pantani.
Rinaldo si iscrisse alla società “Brianzola” di Arcore e, con la maglia di quella gloriosa società ciclistica, partecipò a numerose gare dilettantistiche e competizioni locali e provinciali, vincendone alcune e proponendosi come un atleta pronto a gareggiare in una categoria superiore.
Nel frattempo la sua vita continuò a scorrere secondo le dure logiche e le quotidiane necessità dell’epoca che imponevano ruoli e condotte rigorosamente responsabili. Il suo tempo era diviso tra l’attività di imbianchino ed il lavoro dei campi. Solo la domenica si dedicava alla sua grande passione, il ciclismo.
Nel 1950 fu chiamato presso il Distretto militare di Como per essere sottoposto a visita medica di leva, che, a seconda dei casi, durava da uno a tre giorni. Fu dichiarato esubero rispetto al fabbisogno da incorporare nell’esercito e, pertanto, non dovette partire per il servizio militare di leva, la cui durata, negli anni Cinquanta, era di diciotto mesi. Per sé stesso, e soprattutto per la famiglia, fu certamente una “manna piovuta dal cielo”, perché consentì il mantenimento del suo reddito nell’economia domestica. Alla luce di ciò che tragicamente avvenne meno di due anni più tardi, potremmo invece dire, col “senno di poi”, che se avesse svolto il servizio militare, forse Rinaldo avrebbe potuto vivere ancora a lungo, forse fino ai giorni nostri. Forse. Forse è nella natura umana giudicare con il senno di poi, ma il corso della vita ed i risultati ottenuti non sono mai così scontati e prevedibili.
Comunque sia, il 29 giugno 1952 il ventunenne Rinaldo Frigerio partecipò ad una importante competizione ciclistica che avrebbe consentito al vincitore, ed ai primi classificati, di acquisire punti preziosi per entrare a far parte di una categoria superiore. Era il “Gran Premio Motta” che partiva ed arrivava presso la sede della famosa azienda di panettoni, in viale Corsica a Milano.
Sul percorso di gara, tra Pandino e Rivolta d’Adda, un’auto sbucò improvvisamente da una strada laterale e investì in pieno il ragazzo che, così fu subito accertato, morì sul colpo.
La tragica notizia fece il giro del paese in breve tempo, tanto che i residenti di Verderio Superiore, gli amici ed i colleghi della "Brianzola", sgomenti e increduli, si strinsero attorno ai genitori, Guido e Teresa, ed alla famiglia intera, come sapevano fare le comunità in quel tempo.

Un momento del corteo funebre che accompagnò in chiesa la salma di Rinaldo
 
La tomba al cimitero di Verderio ex Superiore

La salma fu inumata presso il cimitero locale, accanto a quella dello zio paterno, suo omonimo. Il monumento funebre, composto da una colonna spezzata di marmo bianco, sulla quale sono incise le epigrafi, i dati anagrafici e le fotografie, si affaccia sul vialetto centrale del vecchio cimitero.  

Beniamino Colnaghi

Nota
Dedico questo post alla memoria del signor Felice Colnaghi, che ci ha lasciati alcuni giorni fa all'età di 87 anni. Cugino di primo grado di mio padre e di Rinaldo Frigerio, mi ha spesso  fornito notizie attendibili e concrete, che mi hanno consentito di scrivere e sviluppare storie e racconti su fatti e persone locali, tra cui questa.

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