venerdì 21 ottobre 2016

Il Dalai Lama a Milano - 21 e 22 ottobre 2016
 
 

Non occorre praticare yoga o seguire una dieta Ayurvedica per trarre beneficio dalle idee del Buddismo.

Ecco tre elementi fondamentali del Buddismo, le cosiddette “Nobili Verità”, che sarebbe bene applicare alla vita quotidiana. Potrebbero aiutarci a migliorare la nostra condizione.  

1. Dukkha: La vita è dolorosa ed è causa di sofferenza.

Molte persone sono portate a credere che il Buddismo sia pessimista o negativo. Si tratta di un assunto piuttosto comune, basato sul fatto che una delle Nobili Verità viene tradotta come “La vita è sofferenza”. In realtà, questa semplice frase racchiude molto di più. Non ci sta soltanto dicendo “La vita è dura, e ci devi convivere”: c’è dell’altro.
Di fatto, cercando di evitare o sopprimere quelle emozioni che consideriamo “difficili”, non facciamo altro che portare ulteriore sofferenza nella nostra vita. Le nostre vite sono inevitabilmente costellate da vari sentimenti negativi: perdita, tristezza, fatica, noia e ansietà vanno e vengono continuamente. Attaccarsi o fare affidamento su particolari aspettative, beni materiali e stati d’animo è spesso causa di frustrazione acuta, disappunto e altre forme di sofferenza. Anziché temere di soffrire o cercare una soluzione definitiva al problema (e divenire ancora più frustrati nel tentativo di trovarla), possiamo imparare, in tutta semplicità, a riconoscere la nostra sofferenza.
Come utilizzare questo concetto nella vita di tutti i giorni? Cerchiamo di non fissarci sull’idea di avere qualcosa che non va. Arriviamo a riconoscere che morte, invecchiamento, malattia, sofferenza e perdita fanno parte della vita. Pratichiamo l’accettazione di fronte al dolore. Smettiamo di aggrapparci all’idea consumistica che la vita dovrebbe essere facile e indolore, sia dal punto di vista emotivo che da quello fisico.  
La malattia, la perdita, il disappunto e la frustrazione sono parti della vita che possono essere mitigate praticando il “distacco”. Cerchiamo di abbracciare l’imperfezione, accantonando l’idea che nella vita si deve essere sempre belli, giovani, pieni di energia... 

2. Anitya: La vita è in costante movimento.

Anitya o “impermanenza” significa che la vita, come la conosciamo, è in costante movimento. Ogni momento che passa non può più essere rivissuto o replicato. Ogni giorno che passa, le nostre cellule sono diverse, i nostri pensieri mutano, la temperatura e la qualità dell’aria cambiano… ogni cosa, intorno a noi, è diversa. Sempre. 
Quando ci sentiamo particolarmente giù di morale, il concetto d’impermanenza può essere, paradossalmente, confortante. In altre parole: se nulla è permanente, abbiamo la certezza che il nostro dolore passerà. Certo, quando ci sentiamo gioiosi, l’idea dell’impermanenza può essere spaventosa, ma se accettiamo questa idea nella sua totalità, essa può rivelarsi incredibilmente liberatrice. In Occidente, circa 100 anni prima che Buddha esprimesse questo concetto, il filosofo greco Eraclito aveva già postulato qualcosa di simile con il suo famoso detto “Non si può mai entrare due volte nello stesso fiume”. Tutto ciò che abbiamo è il momento presente.
Come utilizzare questo concetto nella vita di tutti i giorni? Abbracciamo l’idea del cambiamento. Accettiamo il fatto che tutto è in costante divenire. Persino quando l’idea dell’impermanenza può sembrare spaventosa, ci aiuta ad apprezzare appieno tutto ciò che sperimentiamo nel presente: le nostre relazioni, il nostro corpo, il nostro umore, la salute, il tempo, il nostro lavoro, la giovinezza, i nostri stessi pensieri. Dunque facciamo tesoro dei momenti belli, e concentriamoci sul fatto che quelli brutti passeranno.

3. Anatma: Il nostro Io muta continuamente.

Spesso, coloro che si sottopongono a terapie per migliorare la loro vita dichiarano di voler ritrovare se stessi.  La nostra cultura ci ha portati a credere che esista un “Io” concreto e costante, nascosto da qualche parte dentro di noi. Si trova tra il cuore e il fegato? O in qualche sconosciuto recesso del nostro cervello? Chi lo sa!
Il Buddismo, ad ogni modo, asserisce che non esiste alcun “Io” fisso e costante. In linea con il concetto di impermanenza, le nostre cellule, i ricordi, i pensieri, e le storie personali, tutto ciò che in definitiva racchiude le nostre identità, cambiano con il passare del tempo.
Certamente tutti abbiamo una nostra personalità (anche se può mutare nel tempo). Abbiamo un nome, un lavoro e altri titoli che utilizziamo per identificare noi stessi, per sperimentare un senso dell'”Io”.
Ma l’idea dell’Io costante non è altro che l’ennesima storiella che ci è stata raccontata dalla nostra cultura. Si tratta di una storia che possiamo cambiare, così come possiamo accettare l’idea che noi stessi possiamo cambiare, in qualsiasi momento e in qualsiasi situazione. Come dice Thich Nhat Hanh, “Grazie all’impermanenza, tutto è possibile.”
Come utilizzare questo concetto nella vita di tutti i giorni? Anziché concentrarci sul “trovare noi stessi”, dobbiamo focalizzarci sul creare continuamente la personalità che desideriamo avere in ogni momento. Oggi possiamo essere (e sentirci) diversamente rispetto a ieri. Se oggi ci sentiamo depressi, non significa che saremo depressi per sempre. Una volta accantonata l’idea di un “Io” costante, abbiamo la possibilità di approcciarci in modo più sereno e “confortevole” alla presenza di un costante cambiamento in ogni aspetto delle nostre vite. In ogni nuovo momento, noi stessi siamo “nuovi”.

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