«Si vede un lusso nelle livree, carrozze, mobili di casa ed
anche vestiti, che non s’è mai visto ne’ tempi più quieti, abbondanti e ben
regolati».
Luigi Mantovani, Diario
politico-ecclesiastico, a cura di P. Zanoli, vol. III, p. 140
Recentemente
ho avuto modo di compiere alcune ricerche storiche sulle famiglie nobili e
borghesi milanesi. Oltre alla consultazione del web, pozzo senza fine di
documenti e notizie ma anche fonte di clamorose “bufale” e di informazioni che
necessitano verifiche e approfondimenti, ho preferito impostare il lavoro su
pubblicazioni attendibili e ricerche appassionate e rigorose. In particolare ho
consultato due testi: Milano le grandi
famiglie - nobiltà e borghesia, corposo volume delle Edizioni Celip di
Milano, a cura di Roberta Cordani, che racchiude la storia di grandi casati e
di personaggi che hanno lasciato un’impronta indelebile nella storia italiana,
e non solo, e Alberi Genealogici delle Case Nobili di Milano, edito da Orsini De Marzo. Ho inoltre
consultato la curiosa e interessante ricerca di Angelo Scorso,
intitolata Il blasone enologico.
Il
primo testo ripercorre un lungo e affascinante viaggio nel passato, fin dal
Medioevo dei Visconti e degli Sforza, per passare con ampie falcate al
Dopoguerra. Corredato da una iconografia particolarmente ricca, il volume
ripercorre momenti gloriosi delle famiglie milanesi, aristocratiche e borghesi.
Ognuna caratterizzata da peculiarità proprie, da tradizioni forti. La
pubblicazione in una veste particolarmente elegante e raffinata è una summa di
contributi di firme prestigiose: De Bortoli, Bagatti Valsecchi, Moratti, Melzi
d’Eril, Crespi, Borromeo, Belgioioso, Litta, Trivulzio, Cantoni, Ricordi,
Giavazzi, Turati fino ad arrivare alla Milano dei Campari e dei Motta, per fare
solo alcuni nomi.
Nel
libro trovano spazio pagine dedicate a luoghi vicini alla Bergamasca, come il
castello di Trezzo d’Adda, eretto da Bernabò Visconti, oppure il Villaggio
Crespi di Capriate, sorto per volere dell’omonima famiglia.
Probabilmente
nessuna città d’Italia è stata (e forse lo è ancora) città aperta come Milano.
Capace di formare e accogliere nuova aristocrazia dell’industria, del
commercio, delle professioni. D’altronde come spiegare altrimenti il fatto che
essa è diventata la locomotiva economica ed innovativa del Paese, la sola
capace di reggere il confronto con le città simbolo dell’Europa?
Quando Napoleone fece costruire a tempo di record la strada del Sempione pour faire passer les canons e quando il milanese senatore Jacini fece realizzare il traforo ferroviario del Gottardo vincendo le resistenze di chi temeva l’invasione dal nord, Milano e la Lombardia non videro arrivare né cannoni né turbe di protestanti e di industriali rapaci. Giunsero nuove idee, capitali, modernità: i Falck dall’Alsazia, i Toeplitz (Banca Commerciale) dalla Germania, Ginori, Jucker e Hoepli dalla Svizzera. L’apertura di Milano al progresso scientifico e tecnologico nell’Italia ottocentesca ancora largamente rurale e oscurantista ne garantì il primato che mantiene tutt’ora, seppure sotto altre forme.
Quando Napoleone fece costruire a tempo di record la strada del Sempione pour faire passer les canons e quando il milanese senatore Jacini fece realizzare il traforo ferroviario del Gottardo vincendo le resistenze di chi temeva l’invasione dal nord, Milano e la Lombardia non videro arrivare né cannoni né turbe di protestanti e di industriali rapaci. Giunsero nuove idee, capitali, modernità: i Falck dall’Alsazia, i Toeplitz (Banca Commerciale) dalla Germania, Ginori, Jucker e Hoepli dalla Svizzera. L’apertura di Milano al progresso scientifico e tecnologico nell’Italia ottocentesca ancora largamente rurale e oscurantista ne garantì il primato che mantiene tutt’ora, seppure sotto altre forme.
L'ospedale Niguarda "Cà Granda" di Milano visto dall'alto (fonte sito dell'ospedale)
La grande borghesia imprenditoriale piantava radici nel fertile terreno
dissodato nei secoli precedenti dall’aristocrazia dei Visconti, spietati e
sanguinari ma che resero Milano grande e protagonista dell’Umanesimo, chiamando
artisti, Giotto tra tutti, e grandi scienziati. A Francesco Sforza,
protagonista di quella sottile arte delle alleanze, politiche e finanziarie, una
capacità oggi quasi del tutto scomparsa, si deve tra l’altro il primo moderno
ospedale del mondo, la Cà Granda; a Lodovico il Moro che fece di Milano l’Atene
d’Italia, chiamando Leonardo; ai Borromeo che arginarono per secoli la vincente
influenza calvinista nel centro Europa.
Nei secoli successivi compaiono altre grandi famiglie che continuano a plasmare la città e la regione nelle arti, nella politica, nell’economia: i Melzi d’Eril, che contribuirono all’affermarsi dell’idea dell’unità nazionale; i Belgiojoso, con grandi contributi all’architettura (Torre Velasca), alla democrazia (Lodovico, esponente della Resistenza, deportato a Gusen e poi ritornato); i Caproni che, con l’aviazione, portarono Milano al vertice della tecnologia mondiale (vendettero aerei pure agli americani). E poi Pirelli, Crespi, Breda, Borletti, Casati, Moratti, Mondadori, Rizzoli, Salmoiraghi.
Nei secoli successivi compaiono altre grandi famiglie che continuano a plasmare la città e la regione nelle arti, nella politica, nell’economia: i Melzi d’Eril, che contribuirono all’affermarsi dell’idea dell’unità nazionale; i Belgiojoso, con grandi contributi all’architettura (Torre Velasca), alla democrazia (Lodovico, esponente della Resistenza, deportato a Gusen e poi ritornato); i Caproni che, con l’aviazione, portarono Milano al vertice della tecnologia mondiale (vendettero aerei pure agli americani). E poi Pirelli, Crespi, Breda, Borletti, Casati, Moratti, Mondadori, Rizzoli, Salmoiraghi.
La Torre Velasca (foto nel pubblico dominio)
Di
generazione in generazione, come si evince dal lussuoso volume sopraccitato, si
tramandano valori “di laboriosa allegrezza, di dura e talora opaca disciplina,
la legittima brama del guadagno, del benessere, una solidità cordiale e civile”
(Carlo Emilio Gadda). Certo, ad aristocrazia ed alta borghesia si possono
legittimamente imputare alterigia, sfarzi, eccentricità e durezze. Ma queste
famiglie si sono distinte per il rispetto del risultato, per l’adesione ad un
codice etico condiviso, per la predisposizione a una instancabile mobilità
sociale, un’autentica civiltà che così si esprimeva: se non si dà, non si è
classe dirigente. In salute, assistenza, istruzione e formazione. “Qui, osservava
Carlo Cattaneo, il povero riceve una più generosa parte di soccorsi che
altrove”. Siamo a metà Ottocento. Milano è la capitale morale, il centro più
moderno ed evoluto del Paese. Le grandi famiglie si occupano di cose che
ritengono fondamentali: il lavoro, l’economia, i giornali, la cultura … La
politica è vista come una scienza inferiore, come qualcosa di meno nobile che
si può lasciare a Roma o a Torino. Un atteggiamento di superiorità che passa
dalla nobiltà risorgimentale alla borghesia milanese, e che alla lunga si
rivelerà disastroso per il futuro del nostro Paese.
Ogni
antica famiglia nobile milanese aveva il classico stemma araldico, allo scopo
di riconoscere e identificare in modo certo, non solo una persona del casato oppure
la famiglia stessa, ma anche e soprattutto l’identificazione delle linee di
discendenza, in quanto il blasone poteva essere trasmesso in eredità ed
esprimere il grado di parentela.
Lo
studio di Angelo Scordo, storicamente rigoroso, ma per certi aspetti curioso e
divertente, raccoglie stemmi con riferimenti all' uva e al vino di famiglie
aristocratiche italiane, tra cui alcune famiglie nobili milanesi. Si tratta
della pubblicazione Il blasone enologico,
pubblicata sul sito della Società italiana di studi araldici.
Perché
mai, potremmo chiederci noi uomini “moderni”, spesso pigri e superficiali, le
antiche e nobili famiglie milanesi avrebbero inserito nei loro stemmi araldici
i simboli della vite e dell’uva? A Milano? In piena Pianura Padana? Sì, proprio
a Milano, perché Milano è la sola metropoli a possedere tracce documentate dell’esistenza
di una vigna nel proprio centro. Leonardo Da Vinci vendemmiava a pochi passi da
corso Magenta (Santa Maria delle Grazie, il Cenacolo, il palazzo delle Stelline…)
dove Ludovico il Moro gli aveva donato un terreno coltivato a vitis vinifera. Estimatore di quello che
definiva odorifero e suave licore, Leonardo
si ingegnò ad inventare il predecessore del cavatappi e quello del decanter, da
lui chiamato caraffatto. In quel tempo i vigneti prosperavano dall' Adda al
Sesia, come testimoniava Carlo Porta nei suoi canti dialettali. Un antico
proverbio meneghino recitava che Milan
può far, Milan può dir, ma non può far dall' acqua il vin. Ma la città
lombarda si ingegnò per procurarselo. Nel XIII secolo Bonvesin De La Riva,
milanese di Porta Ticinese, magister,
o doctor gramaticae, scriveva:
“Sembrerà stupefacente che nel contado di Milano più di 600.000 carri di vino
vengano messi in botte”. Il vino scorreva copioso alla tavola dei Visconti e
degli Sforza e nel Cinquecento viaggiava in barili trasportati ogni giorno sulle
chiatte lungo il Naviglio.
La Darsena
Tra
simboli, linee e figure Scordo ha suddiviso gli stemmi per soggetto: un ceppo
di vite, con un tralcio che attraversa il tronco, su quello della Famiglia
Balsamo-Crivelli. Un ceppo accollato a una colonna per la Famiglia Gallarati,
un ceppo sradicato i Vitali, due ceppi con tralci di per l'antica Famiglia
Balsamo, due ceppi i Gallarati Scotti. Sull' arma degli Ottolina e dei Rocca è
disegnato un tralcio di vite, su quella dei Raimondi una foglia. Flaconi da
vino appaiono sugli stemmi dei Radaelli, dei De Regibus e dei Fossati-De
Regibus. Sul blasone della Famiglia Bussero si vede una coppa da vino coperta e
su quello dei Maioli sono disegnati tre bicchieri di vetro colmi di vino. Anche
l'antica casata dei Fostoracio aveva nell'arma araldica due tralci di vite,
quella dei Vitalba due tralci descritti come fruttati e pampinosi, quella dei
Bottigella un bariletto retto da un grifone. Altra famiglia di antiche origini
sono i Roscia di Vitalbero sul cui stemma appare un angelo che sorregge due
grappoli. Una menzione a parte per i Rasini. Derivano il nome dalla parola raisin che significa uva.
Tracce
dell'idillio tra gli abitanti e il vino si individuano in altri curiosi cognomi
che appartengono a famiglie non blasonate originarie di Milano o che comunque
vi risiedono. Alcuni sono espliciti come Vigna, Vino, Bicchieri, Bottiglia,
Barile, Tino, Grappoli, Grappa, Botte, Torchio, Vendemmia, Moscato, Verdicchio,
Brunello, Liquori. Altri si sono modificati nel tempo, come ad esempio
Piccaluga o Pittaluga, che derivano dal beccare o piluccare l'uva, Bottarelli,
Bottazzi, Caraffini e Carafa, Panvini, Passavino.
Secondo
l'osservatorio marketing della Bocconi, la città di Milano è al primo posto in
Italia per consumo di vini. Del
resto, come scriveva già Aristofane 400 anni prima di Cristo: “Bevendo gli
uomini migliorano, fanno buoni affari, vincono le cause, sono felici e
sostengono gli amici”.
Forse
oggi, alla luce di numerosi fatti di cronaca, questo aforisma sarebbe perlomeno
da aggiornare.
Beniamino Colnaghi
Cinque giornate di Milano: http://colnaghistoriaestorie.blogspot.it/2014/08/hin-staa-i-sciouri-sono-stati-i-ricchi.html
I Navigli di Milano: http://colnaghistoriaestorie.blogspot.it/2013/10/milano-dal-naviglio-al-duomo-attraverso.html
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